Audizione del Ministro per gli affari regionali, turismo e sport Piero Gnudi sulle linee programmatiche del suo dicastero

COMMISSIONE I 

AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico della seduta di mercoledì 25 gennaio 2012

Audizione del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, Piero Gnudi, sulle linee programmatiche in materia di affari regionali.

Ministro Piero Gnudi

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, ai sensi dell’articolo 143, comma 2, del Regolamento, l’audizione del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, Piero Gnudi, sulle linee programmatiche in materia di affari regionali. Do, quindi, la parola al Ministro Gnudi per la sua relazione.

PIERO GNUDI, Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. Grazie, presidente. Mi limiterò a fare una breve carrellata di tutti i provvedimenti che stiamo studiando o che sono stati già approvati, ma che comportano altri passaggi parlamentari.

Vorrei iniziare dall’istituzione della Commissione paritetica mista governo, regioni, enti locali che è stata deliberata dalla Conferenza unificata il 13 settembre scorso con il compito molto ampio di elaborare, entro novanta giorni dal suo insediamento – un termine abbastanza breve -, una proposta di riordino istituzionale che prenda in considerazione la legislazione vigente e i provvedimenti in itinere di rango costituzionale e ordinario che impattano sull’assetto ordinamentale di regioni, province e comuni, un’analisi dei costi di tutte le istituzioni e una proposta di revisione delle regole del Patto di stabilità.
Ho provveduto a convocare questa Commissione. La prima riunione si è tenuta l’11 gennaio su richiesta di regioni, province e comuni, ma in particolare su richiesta delle regioni su cui ha inciso l’articolo 23 del decreto-legge n. 210 del 2011, il decreto «salva Italia». Il tema, come si può vedere, è ampio. Si tratta sostanzialmente della riforma di gran parte dello Stato italiano. In novanta giorni non è possibile fare tutto, ma credo che si possa utilizzare questo tempo per individuare alcuni punti su cui cominciare a lavorare. E così è stato nel corso della prima riunione, individuando alcuni punti sui quali iniziare a lavorare.
Il primo punto su cui si è trovato l’accordo è l’analisi del quadro macroeconomico al fine della revisione del Patto di stabilità. Un altro punto riguarda l’esercizio associato delle funzioni da parte degli enti territoriali e i problemi attuativi dell’articolo 23 del decreto «salva Italia». Riunendo la Commissione, abbiamo anche evitato che le province disertassero la Conferenza unificata, rendendola quindi praticamente inoperante. Dopo aver convocato questa Commissione, infatti, la Conferenza unificata ha ricominciato a operare normalmente.

Altro importante provvedimento che abbiamo varato è quello sulla riforma dei servizi pubblici locali. Nei servizi pubblici locali lavorano circa 137.000 persone. Il fatturato è di 35 miliardi, con un’incidenza sul PIL di circa il 3 per cento. È un importante settore della nostra economia.
A livello di principi, abbiamo ritenuto che non basti liberalizzare e privatizzare perché in primo luogo la gestione dei servizi pubblici è affidata a centinaia di piccole aziende che lavorano in certi casi anche in modo proficuo. Quello che si pone è un problema di scala. Alcune aziende di trasporto, ad esempio, hanno cinquanta dipendenti. Che siano gestite da un privato o dal pubblico, non potranno mai essere efficienti perché la dimensione è inefficiente. Il primo obiettivo che ci siamo posti è dare a queste aziende una dimensione efficiente. Abbiamo, dunque, introdotto nel decreto-legge il principio secondo cui la dimensione minima è quella provinciale.

In secondo luogo, bisogna tener conto delle problematiche del subentro affinché, passando dal pubblico al privato, non si producano problemi di occupazione. Credo che la cosa migliore sia un passaggio graduale e per questo abbiamo introdotto il criterio del price cap. In altre parole, concederemo a chi gestirà i servizi un certo lasso di tempo per renderli più efficienti compatibilmente con gli attuali assetti organizzativi.
Si tratta naturalmente di un punto di partenza. Il procedimento sarà molto complesso e complicato, così come convincere i comuni ad aggregarsi. Nella norma infatti prevediamo anche la possibilità di nominare dei commissari. Occorrerà il buonsenso di tutti perché, così facendo, potremo creare aziende efficienti, in grado di diventare dei campioni nazionali.

Nei comuni che hanno sperimentato le privatizzazioni, gran parte degli appalti sono stati aggiudicati ad aziende straniere, soprattutto tedesche. Al di là del proprietario, è importante che l’azienda che gestisce il servizio sia efficiente. Che sia pubblica o privata non importa: le aziende tedesche che vincono le gare in Italia sono in gran parte pubbliche.

È un primo percorso. Credo però che quest’anno, grazie al decreto appena approvato e alle altre norme varate nei mesi scorsi, si potrà dare una svolta a tutto il comparto dei servizi pubblici locali. Come ripeto, è uno strumento di efficientamento di tutto il Paese perché un servizio pubblico locale non efficiente rappresenta un costo per la comunità. Nel caso del trasporto, ad esempio, c’è un costo diretto, vale a dire la spesa di gestione, ma c’è anche un costo indiretto, perché l’inefficienza del trasporto pubblico fa perdere tempo ai cittadini e risorse all’economia nazionale.

Un ulteriore problema da affrontare è quello delle concessioni balneari. Siamo obbligati da una norma europea a modificare il procedimento delle concessioni attuato sinora e passare alla procedura delle aste. Bisognerà trovare un sistema che non distrugga il settore della balneazione, che rappresenta una fetta molto importante del turismo nazionale. È necessario, anzi, trovare un meccanismo che conceda a coloro che vogliono investire in questo settore tempi di ritorno sul capitale sufficienti a giustificare gli investimenti.
È stato ipotizzato un periodo di quattro anni, ma in quattro anni non si ammortizzano nemmeno le sedie a sdraio e gli ombrelloni. Ci vuole più tempo. Credo che dobbiamo trovare un meccanismo compatibile con le norme europee, ma che consenta un ritorno agli imprenditori che vogliono investire nel settore.

L’investimento è importante. Bisogna far sì che il nostro sistema balneare sia sempre più competitivo.
Non è un problema semplice da risolvere. Io vi parlo anche come Ministro del turismo. In questo settore stiamo perdendo terreno e purtroppo ne perderemo sempre di più per la concorrenza dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Quando avranno superato i noti problemi politici, questi Paesi diventeranno molto più aggressivi e i nostri operatori balneari dovranno inventare nuovi modi per offrire servizi e diventare più allettanti per il turismo, così da superare il gap fra i nostri e i loro costi.

L’ultimo decreto approvato ha prorogato al 31 marzo – il termine prefissato era il 31 gennaio – la scadenza per il provvedimento che stabilisce gli standard per i servizi pubblici. Si tratta di un intervento importante e complicato perché gli standard devono essere oggettivi e permettere di confrontare l’efficienza dei servizi pubblici erogati dai vari enti locali. In questo provvedimento pensiamo di inserire meccanismi di trasparenza. Vogliamo cioè che tutte le aziende che gestiscono servizi presentino bilanci intelligibili e confrontabili. Con questo meccanismo potremo istituire dei benchmark per verificare l’efficienza delle aziende.

I fattori per stabilire l’efficienza o l’inefficienza di un servizio sono tanti, soprattutto nel trasporto. Per esempio, influisce la configurazione orografica del comune. Tuttavia, avendo in mano tutti i dati relativi a quel servizio, il benchmark è possibile e si può arrivare a stabilire se un’azienda è efficiente o spreca del denaro.

La questione su cui il Ministero sta lavorando maggiormente è l’esame di tutte le leggi regionali, che devono passare al vaglio dei ministeri interessati e naturalmente del Ministero delle regioni. Purtroppo, a ogni Consiglio dei ministri dobbiamo impugnare alcune leggi regionali. Penso che se le regioni interagissero di più con i ministeri competenti, forse il numero di impugnative si ridurrebbe.

È un discorso che credo abbiate sentito fare tante volte da altri ministri e dalle regioni, ma credo che non ci si debba mai stancare di farlo. Sono risorse sprecate. L’impugnativa richiede tempo e delle risorse vanno distrutte. Anche i ministeri dovrebbero farsi carico di una maggiore diligenza, ma, se le regioni riuscissero a spiegare ai ministeri competenti i termini delle leggi che intendono approvare, riusciremmo a ridurre sensibilmente il numero delle leggi impugnate.

Infine, c’è il problema della legge che regola le conferenze Stato-regioni e unificata. Le conferenze hanno avuto grande importanza dopo il 2000 con la riforma del Titolo V della Costituzione, ma la norma che le disciplina è del 1997. La legge, quindi, copre in modo insufficiente le funzioni che le conferenze svolgono realmente. Tale carenza è stata in parte ovviata con l’uso, ma forse sarebbe meglio rivedere la legge e adattarla ai compiti che le conferenze, soprattutto la Conferenza unificata, svolgono attualmente. Alcune procedure vengono attuate anche se la normativa non le prevede. Per creare maggiore aderenza all’effettivo funzionamento delle conferenze, forse qualche modifica normativa dovrebbe essere operata.
Ho cercato di mantenere il mio intervento in termini molto contenuti perché credo che questi incontri siano multo utili se c’è uno scambio di opinioni.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Gnudi e do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

LINDA LANZILLOTTA. Ringrazio il Ministro per l’illustrazione delle linee di azione del suo dicastero.
Partirei dall’ultimo argomento toccato, vale a dire il funzionamento della Conferenza unificata perché nell’ambito delle competenze del Ministero delle regioni è, a mio avviso, un punto strategico.
Mi permetterei preliminarmente di dissentire dall’interpretazione che lei, signor Ministro, ha dato sul fatto che l’assenza delle province ne determinerebbe l’impossibilità di operare. È un’interpretazione che personalmente, in qualità di ministro, ho contestato anche in via di prassi. Credo che, trattandosi di un organo istituzionale a cui la legge attribuisce delle competenze, uno dei corpi che ne fa parte non può condizionare il funzionamento dell’istituzione. Poiché la Conferenza ha l’obbligo di esprimere pareri e può quindi condizionare l’iter di una serie di procedure del governo, credo che sarebbe utile riflettere e riprendere quella prassi in modo che la protesta in chiave politica di una delle componenti non determini il blocco della funzionalità di questo organismo istituzionale.

Sulla Conferenza unificata il Ministro Fitto aveva presentato un disegno di legge su cui la Commissione aveva cominciato a ragionare e discutere. Credo che la dilatazione del ruolo della Conferenza sia largamente dipesa – è elemento acquisito dal dibattito politico e istituzionale – dal mancato adeguamento della Costituzione al nuovo modello federalista e, quindi, dall’assenza del Senato federale.
Il ruolo acquisito dalla Conferenza unificata ha, anzi, costituito un’anomalia perché essa incide sulle prerogative sia del governo sia del Parlamento al di là di quanto dovrebbe invece rappresentare come sede di concertazione interistituzionale. Credo, quindi, che la riforma della Conferenza, più che cristallizzare la prassi, dovrebbe riportarla alla coerenza del quadro costituzionale.
Vedo, invece, il luogo della Conferenza come punto centrale del raccordo delle politiche pubbliche. Il ruolo che ha acquisito e che, a mio parere, sempre più dovrebbe acquisire è di raccordo tra governi e tra le azioni dei vari livelli istituzionali, che peraltro dovranno essere semplificati.
Per quanto riguarda il lavoro della Commissione paritetica e il termine dei novanta giorni a cui lei faceva riferimento, credo che, trattandosi di materia costituzionale, se vogliamo fare qualcosa i tempi dovrebbero essere accelerati. Inoltre, mi permetto di dire che la sede della consultazione è sicuramente importante, ma il Governo dovrebbe interloquire soprattutto con il Parlamento, chiamato a intervenire in una serie di riforme costituzionali. Quella delle province è già all’ordine del giorno e sarebbe utile anche l’interlocuzione con il Governo.

Voglio esprimere un apprezzamento per le norme sui servizi pubblici locali contenute nel cosiddetto decreto-legge «cresci Italia». Sono sicuramente un completamento e un avanzamento interessante e positivo. Credo che, quando verrà il decreto, sarà utile cercare di capire cosa significhi il sistema del price cap, che è comprensibile nei settori regolati da autorità, come quello dell’energia, perché dovrebbe porre un tetto ai margini di profitto, calcolando una serie di componenti di costo standardizzate.
Qui ci troviamo, invece, in una condizione in cui il problema, ad esempio nel trasporto pubblico locale, è arginare le perdite piuttosto che i profitti. Occorrerebbe, quindi, porre un tetto alle perdite e calcolare in che misura possano essere coperte da tariffe e fiscalità. Il problema delle tariffe, infatti, è la loro elasticità massima alle inefficienze delle aziende. Raccomando, anche ai fini della discussione parlamentare, una riflessione su questo punto, a me non chiarissimo.

Per quanto riguarda i costi, non ho ben capito, Ministro, se si riferisse al lavoro sui costi standard richiesto dai decreti attuativi in materia di federalismo. Il tema è molto interessante perché il costo standard di tutti i servizi esternalizzati porta all’emersione dell’inefficienza delle gestioni. Eventualmente, in sede di Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, potrà aggiornarci sullo stato dell’arte.
Tornando alla questione dei servizi pubblici locali, lei, signor Ministro, faceva riferimento al fatto che, laddove si fanno gare, vincono gli stranieri. Gli stranieri sono europei e, poiché noi siamo per l’allargamento del mercato unico, potrebbe essere un’opportunità anche per gli italiani. Raccomanderei, quindi, di valutare se nella legge di conversione del decreto non si possa inserire una clausola, usata in altri provvedimenti in passato, sulla questione della reciprocità nell’apertura del mercato dei servizi pubblici locali.

Non in tutti i Paesi europei – lei faceva riferimento alla Germania – esiste un sufficiente grado di apertura. Mentre ritengo che il mercato unico possa essere in prospettiva una grande opportunità per le nostre aziende di servizio pubblico locale per internazionalizzarsi, dobbiamo pretendere che altrettanto avvenga nei Paesi europei in attuazione della direttiva Bolkestein.

Sulla questione delle concessioni balneari, l’unica annotazione che vorrei fare è che per l’ammortamento degli investimenti, pur importante, non possiamo concedere tempi analoghi a quelli delle grandi infrastrutture. Bisognerebbe anche ammortizzare le perdite che lo Stato ha subito in tutti gli anni in cui le concessioni sono state praticamente a costo zero, per non dire abusive.

PIERLUIGI MANTINI. Vorrei ringraziare il Ministro e fare anche io qualche considerazione. Peraltro, questa giornata ci ha già visti impegnati insieme al Ministro in un convegno con buoni esiti.

Com’è noto, il gruppo dell’UdCpTP sostiene convintamente le iniziative in materia di servizi pubblici locali sulla via di una intelligente liberalizzazione. Lei, signor Ministro, ha, però, toccato due temi: la dimensione ottimale dei servizi pubblici locali, da allocarsi probabilmente a livello di provincia (in molte regioni c’è già il precedente degli ambiti territoriali ottimali per i servizi a rete) e la difficoltà di sostenere l’aggregazione dei comuni, forse prevedendo anche i commissari. Le chiedo allora se queste materie saranno di sua competenza o anche del Ministro della funzione pubblica.

Esprimo pieno sostegno anche all’intervento intelligente relativo al price cap e agli standard prestazionali per i servizi pubblici locali dal punto di vista sia dell’efficienza, sia del benchmark e della trasparenza dei bilanci. Personalmente credo poco a meccanismi iper vincolanti e automatici. Ritengo, invece, importanti i parametri di accompagnamento.

Come lei sa, abbiamo una lunga tradizione di standard prestazionali che va dalla carta dei servizi, quando era ministro Cassese, ai costi standard, al dibattito più recente sul federalismo. Ritengo giusto procedere su questa strada, sapendo però che probabilmente non giungeremo mai a prezzi determinati in modo assoluto. Sarebbe già sufficiente avere degli indicatori dell’efficienza e sistemi di valutazione partecipati, anch’essi da considerare come indicatori di efficienza.

Sulla questione delle gare vinte da società pubbliche straniere, vorrei fare una mezza osservazione in più, che lei coglierà con molto senso pratico. Ritengo che sia una grande questione, quasi epocale. A mio avviso non basta la formula di reciprocità. Nei servizi in particolare, la formula di reciprocità già esiste se vengono rispettate le direttive europee. La società della metropolitana di Milano, che è prevalentemente pubblica, vince già a Rotterdam, ma la questione è più ampia e il Ministro fa benissimo a metterla in questi termini.
Noi privatizziamo a volte con grande sforzo, come nel caso delle farmacie di Bologna, e poi a vincere le gare sono società pubbliche, a volte veri e propri pezzi di Stato con capitale pubblico al 100 per cento e nomina governativa dei consiglieri. Tecnicamente si ripubblicizza in altra lingua.

Mi sembra che vi sia una grande questione, che va sicuramente al di là delle mie forze e che bisognerebbe porre anche in Europa. Noi ci basiamo sulla fictio giuridica della totale equiparazione tra società pubbliche e private. Anche una società pubblica può fallire, ma con molta più fatica perché ha ben altri ausili di una società privata. Questo dogma europeo va rimesso in discussione. Dal mio punto di vista, a certi livelli le società pubbliche, quando ricevono sostegni pubblici, rappresentano un aiuto di Stato e una concorrenza scorretta.

Credo che questo tema vada oltre la questione del rispetto della reciprocità. La conseguenza inevitabile è quella che lei denunciava. Non potremo farci niente, secondo me, se non rimetteremo in discussione questo principio. Poiché l’interesse nazionale è essere massicciamente presenti su certi terreni, questo porterà alla creazione di società pubbliche, che rispetto ai settori privati sono sempre più forti.

Sulle concessioni balneari non ho nulla da dire. Ne abbiamo parlato anche nel convegno di questa mattina, ma condivido il suo pensiero. Ci vuole un punto di equilibrio tra investimenti e direttive europee volte alla concorrenza.

Per quanto riguarda il dispendio di energie nell’impugnare le leggi regionali, nessuno di noi vuol tornare al commissario di governo, perché ormai è un istituto superato, ma in via del tutto creativa non escludo che, riflettendoci meglio perché i temi sono delicati, si possa stabilire qualcosa di simile a un parere, certamente facoltativo e non vincolante, del governo su certe proposte di legge, prima della loro approvazione nei consigli regionali, solo per il profilo di costituzionalità, alla stregua di un parere della nostra Commissione in punto di costituzionalità. Lo dico ai colleghi perché so benissimo che si tratta di una materia che sta nelle mani del governo.

Parlo di un parere preventivo, informale e non vincolante, tale da anticipare, in una fase ancora utile prima del voto finale, l’opinione del governo. È chiaro che le regioni sono perfettamente autonome e vanno avanti come vogliono nella conferma dei testi, ma perlomeno sarebbe una possibilità di segnalare per tempo eventuali profili di incostituzionalità.

Un’ultima domanda secca a proposito delle conferenze dei livelli territoriali, Conferenza unificata e Stato-regioni. Cosa pensa il Governo del Senato delle regioni o delle autonomie e della necessità di compiere questa riforma costituzionale?

SALVATORE VASSALLO. Ringrazio anch’io il Ministro Gnudi per averci fornito il resoconto dei temi presenti nella sua agenda.

Vorrei riprendere i due argomenti, peraltro già citati dai colleghi che sono intervenuti prima di me, che hanno un aggancio diretto con i temi che noi stiamo trattando, e verosimilmente tratteremo, e un elevato profilo costituzionale, ossia la questione delle conferenze e quella delle province.

Su entrambi i temi presumo che sia legittimo chiedersi se il Governo ritenga di svolgere un ruolo nel necessario coordinamento tra la legislazione ordinaria e gli eventuali interventi di riforma costituzionale di cui si discute da molto tempo, quale sia l’interlocutore all’interno del Governo che specificamente segue ciascuna di queste due materie e se esista un indirizzo del Governo che consenta di collegare gli interventi di legislazione ordinaria e gli eventuali interventi di carattere costituzionale.

Tale collegamento sarebbe auspicabile per tutte e due le materie. Nel primo caso, come è stato già rilevato dai due colleghi che mi hanno preceduto, laddove fosse vera l’intenzione da molte parti evocata di una riforma del sistema bicamerale, la revisione delle competenze e della composizione delle conferenze dovrebbe essere pensata alla luce di un ridisegno del sistema bicamerale e quindi, come ha voluto segnalare anche il collega Mantini, della configurazione di un Senato espressivo delle regioni e degli enti locali.

È chiaro che questo attenuerebbe in parte e riproporrebbe in maniera diversa il problema posto dalla collega Lanzillotta a proposito di una certa espansione progressiva delle competenze delle conferenze. Forse si potrebbe pensare a un disegno più razionale nel quale le conferenze sono specificamente la sede della concertazione tra i governi, a monte del processo legislativo, mentre il Senato delle regioni e delle autonomie locali potrebbe essere la sede della verifica e del confronto, a valle del processo legislativo, tra le arene legislative, nazionali e regionali.

Questo collegamento sarebbe davvero auspicabile e sarebbe splendido se riuscissimo a fare questo nel prossimo anno e mezzo. Capisco che si tratta di un’impresa consistente, anche in considerazione delle fortissime resistenze interne ai corpi politici che occorrerebbe superare, ma di certo sarebbe un notevole segno di rinnovamento e un’eredità che la situazione straordinaria nella quale ci troviamo potrebbe consegnare alle prossime legislature.

Come ripeto, il quesito è se il Governo intenda riflettere sul collegamento tra i due aspetti e se ci sia un indirizzo. Un quesito simile si pone riguardo alle province. Come lei sa, signor Ministro, la Commissione sta esaminando da tempo progetti di legge di revisione costituzionale ed è attivo un comitato ristretto su questa materia. Parallelamente è attivo un comitato ristretto nella Commissione affari costituzionali del Senato sulla Carta delle autonomie.
Anche in questo caso c’è un problema di coordinamento ancora irrisolto. Mi sembra di poter riferire che, nell’ambito della discussione che si è svolta qui in Commissione, si intravede la possibilità di una riforma costituzionale nella direzione di ridefinire significativamente il profilo delle province, prevedendole solo sopra una certa soglia demografica, tendenzialmente assottigliandone le competenze e trasformando gli organi rappresentativi in organi di secondo grado.

Questa al momento è una mia mera interpretazione, e forse più un auspicio che un resoconto oggettivo. Tuttavia, potrebbe essere questo un esito laddove è stata scartata più volte l’ipotesi dell’abolizione totale, che invece sembra a prima vista la direzione indicata dal Governo con le norme contenute nel decreto-legge «salva Italia». Anche se si andasse nella direzione che ho appena citato, più vicina all’indicazione implicitamente data dal Governo rispetto allo status quo, ci sarebbe un problema di coordinamento tra questa iniziativa costituzionale, che si sta svolgendo alla Camera, e l’iniziativa sulla legislazione ordinaria che si sta svolgendo al Senato.

Anche in questo caso, le chiedo se il Governo intenda agire attivamente per promuovere il coordinamento tra la normazione ordinaria e gli interventi di natura costituzionale, chi è l’interlocutore che dentro il Governo dovrebbe presiedere a queste materie e se esista un indirizzo sia riguardo alla questione delle conferenze e del Senato delle autonomie, sia riguardo alla questione del cambiamento del profilo delle province.

GIUSEPPE CALDERISI. Ringrazio il Ministro per la sua esposizione.
La mia domanda è di carattere generale e riprende alcune questioni che sono state già sollevate da altri colleghi a proposito delle conferenze e del Titolo V della parte seconda della Costituzione. Il Governo ritiene utile e necessario fare il punto sullo stato di attuazione del nostro «federalismo» a dieci anni e più ormai dall’approvazione del nuovo Titolo V della nostra Costituzione?

Credo che ci sia bisogno di fare il punto della situazione. Il mio giudizio sul Titolo V è molto negativo. Un costituzionalista come il professor Augusto Barbera a suo tempo lo definì sgangherato. Ha provocato guasti che sono stati parzialmente risolti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, ma ha comunque prodotto l’esautoramento del Parlamento, schiacciato a monte dal sistema delle conferenze e a valle dalle sentenze della Corte, visto l’enorme contenzioso che si è aperto.

A parte questo giudizio, noi dobbiamo capire a che punto è il disegno del Titolo V. Ha dato alle regioni una quantità enorme di poteri legislativi e regolamentari che le regioni di fatto non applicano e non sono interessate ad applicare, e che viene utilizzato in gran parte solo per esercitare poteri di veto. Il progetto era quello di realizzare una sorta di federalismo orizzontale, in cui ciascuna regione utilizzasse i poteri legislativi e regolamentari per un proprio disegno di autonomia. Di fatto, al posto di un federalismo orizzontale, se ne è realizzato uno verticale.

Le regioni agiscono come un unico corpo che si contrappone allo Stato in sede di Conferenza Stato-regioni. È emersa in maniera sempre maggiore la questione della penuria delle risorse e lo Stato fa giustamente il gendarme rispetto a questo profilo, ma di fatto, salvo una differenziazione fra regioni più o meno virtuose, abbiamo un federalismo verticale che contrappone le regioni nel loro complesso allo Stato.

È un disegno completamente diverso da quello immaginato col Titolo V e bisogna prenderne atto per capire se ci sta bene così o se va rivisto e come. Questa questione non la pongo soltanto a lei, Ministro. I colleghi sono testimoni del fatto che avevo cominciato ad affrontare il discorso anche con il ministro del precedente Governo. Non credo di essere sospettato di parzialità. È un’esigenza che sento.

Il sistema delle conferenze ha assorbito le funzioni che in Germania sono svolte dal Bundesrat, ma questo è avvenuto senza alcuna trasparenza e democraticità. Fu compiuto l’errore di non istituire il Senato federale contestualmente al Titolo V e ciò ha prodotto le conseguenze che ho accennato. Dobbiamo prendere atto di questa realtà e capire in che modo procedere e quali riforme costituzionali fare o non fare.
Sinceramente comincio a nutrire profondi dubbi sul fatto che noi si possa approvare una riforma costituzionale sul modello tedesco del Bundesrat, ma ora non voglio anticipare questo tema. Io rivedrei profondamente il Titolo V e in parte abbiamo già cominciato a toccarlo con la modifica dell’articolo 81 della Costituzione, ma quantomeno andrebbe prevista una clausola di supremazia nazionale. L’aveva proposto anche l’Unione nel 2006: era l’unica riforma costituzionale esplicitamente menzionata nel programma dell’Unione del 2006. Da parte del centrodestra, siamo sempre stati favorevoli. Io stesso ho presentato come primo firmatario la proposta di legge costituzionale C. 4051.

Il problema è capire se sia in corso una riflessione di carattere generale su tutte le problematiche che riguardano l’attuazione del Titolo V, lo stato del nostro federalismo, il sistema delle conferenze. La questione delle province, su cui non voglio tornare, è già stata affrontata da altri colleghi e richiede indicazioni e indirizzi precisi perché la Commissione sta svolgendo un’attività di riforma costituzionale. Vorrei, quindi, sapere se il Governo senta o meno l’esigenza di fare complessivamente il punto per capire come procedere e in che modo indirizzare l’attività delle Camere.

Io mi auguro che il processo di riforma vada avanti, ma seguendo una linea ben concepita e ben studiata.

PAOLO FONTANELLI. Non vorrei riprendere i temi che finora sono stati richiamati dagli altri interventi. Sarà utile ascoltare le risposte e capire in che modo si ponga il Governo rispetto a tematiche di riforma così impegnative, avendo di fronte tempi che realisticamente dobbiamo considerare molto limitati, dal momento che alla fine della legislatura manca poco più di un anno. Inoltre, la situazione è obiettivamente segnata dall’emergenza legata alla vicenda economica e finanziaria e al carattere dell’esperienza su cui è nato questo Governo.

È interessante, quindi, conoscere le idee e le valutazioni del Governo in relazione alla riforma istituzionale.

La questione delle province è stata inserita nel decreto «salva Italia» in modo un po’ affrettato e confuso, ma se non altro ha posto al Parlamento la necessità di lavorare per risolvere in modo adeguato il problema del riordino del sistema degli enti locali, con particolare riferimento alle province. Su questo però non mi voglio trattenere.

Tenendo conto del tempo limitato a disposizione di questo Governo e del particolare rapporto fra i diversi livelli istituzionali che una situazione di emergenza richiede, credo che l’esigenza di realizzare questo particolare rapporto riguardi soprattutto il dialogo con le regioni, a cominciare da queste settimane in cui si discutono i nuovi provvedimenti.

Penso che lo spirito giusto sia quello di sviluppare al massimo le possibilità di confronto, il che non significa piegarsi a una logica di trattativa senza conclusioni o inesauribile. Significa ragionare con l’idea che i problemi si risolvono se si riesce a rimettere sui binari giusti il confronto tra i diversi livelli istituzionali e in modo particolare quello fra governo e regioni, che negli ultimi tempi non ha sempre funzionato come vorremmo. Con riferimento al decreto sulle liberalizzazioni, ad esempio, abbiamo osservato alcuni comportamenti da segnalare.

Non possiamo proseguire con la logica delle impugnazioni da parte del governo e dei ricorsi alla Corte costituzionale da parte delle regioni che ha segnato tutta questa esperienza. Non è un metodo consono a una situazione di emergenza, come quella che stiamo attraversando. Credo che questo sia il primo elemento di cui dobbiamo avere consapevolezza e su cui occorra ragionare. Per comuni ed enti locali esiste una situazione di emergenza reale legata ai bilanci e lei, signor Ministro, ha fatto riferimento alla necessità di rivedere il Patto di stabilità. È una questione che anche noi abbiamo posto con forza. Penso, però, che sia soprattutto necessario cercare di mutare il clima dei rapporti con le regioni attraverso un’iniziativa straordinaria.

La domanda che le pongo è se serva riprendere il percorso di riforma del sistema delle conferenze. Se la riteniamo una strada utile da percorrere in tempi rapidi, penso che si dovrebbe procedere. Lo chiedo al Governo perché il confronto costruttivo con le regioni oggi è centrale per gestire questi provvedimenti e quelli che verranno. Nel comparto della sanità, ad esempio, le regioni segnalano una difficoltà reale, tanto più che nel 2013-2014 andrà a regime un taglio di circa 9 miliardi di euro, ed è tuttora in corso l’esperienza dei piani di rientro delle regioni che avevano sforato il Patto per la salute.

Io credo che questa esperienza abbia dato alcuni risultati positivi perché l’incremento della spesa sanitaria è stato inferiore all’incremento della spesa pubblica in generale. Significa che è stato realizzato un contenimento. Tuttavia, va detto che alla politica di contenimento della spesa non ha corrisposto il miglioramento dei servizi. Il divario tra il nord e il sud del Paese non si è attenuato, ma semmai si è aggravato. Le inefficienze e gli sprechi non sono stati risolti.

Di per sé, quindi, la riduzione delle risorse finanziarie non produce un miglioramento. Non possiamo rinunciarvi, ma dobbiamo attivare strumenti che consentono di far crescere la qualità. In un processo di contenimento della spesa dobbiamo anche mettere in campo meccanismi di emulazione che favoriscano il miglioramento del servizio.

La materia è difficile perché la competenza esclusiva delle regioni è molto ampia. Penso che una politica di risanamento non sia possibile, se non in un quadro nazionale. Per questo sostengo che occorra sviluppare il confronto. Ritengo che dopo i piani di rientro dovremo studiare uno strumento di carattere nazionale attraverso cui le regioni e il governo inneschino, adottando soluzioni eccezionali, meccanismi di riqualificazione delle realtà inefficienti e costose, così da favorire una ricomposizione qualitativamente convergente e unitaria del sistema sanitario e produrre un risparmio senza sacrificare la tutela della salute dei cittadini.

Io credo che occorra dare un segnale straordinario nel rapporto fra governo e regioni. Se serve, possiamo anche mettere all’ordine del giorno la riforma delle conferenze. Se invece si ritiene che manchino tempi e modi, troviamo un’altra strada. Mi sembra che la priorità sia questa.

PIERGUIDO VANALLI. Ringrazio il Ministro e mi scuso per non essere stato presente durante la sua illustrazione. Sono comunque riuscito a cogliere alcuni spunti, per esempio sulla questione del Patto di stabilità. Una sua revisione non può che trovarci d’accordo perché, pur essendo stati al Governo e avendo cercato di modificarlo più di una volta, non ci siamo riusciti.

Tutti ci sono testimoni del fatto che abbiamo provato innumerevoli volte a ottenere un allentamento di questa stretta sugli enti locali.

Riallacciandomi agli ultimi interventi, mi sembrava di aver capito – poi lei mi smentirà – che il Governo si era insediato sulla spinta di un momento di crisi e per la necessità di imprimere una svolta economica a questo Paese, mentre sulle questioni più complesse, che si trascinano da anni e sulle quali il Governo non avrebbe avuto modo di incidere, come ad esempio le riforme costituzionali in genere, avrebbe lasciato tempo e spazio al Parlamento per esprimersi, valutare, di proporre e trovare soluzioni.

Adesso si chiede al nuovo Governo di dare corso a iniziative che dovrebbero essere del Parlamento, ma che il Parlamento non è riuscito a realizzare. Ricordo al collega Calderisi che eravamo noi in maggioranza. Il Governo era espressione della parte politica che aveva vinto le elezioni e aveva titolo per portare avanti le riforme costituzionali che aveva proposto. La richiesta che viene rivolta al vostro Governo, Ministro, mi sembra forzata, anche rispetto agli impegni che avevate assunto nel momento in cui vi siete insediati. Come ripeto, credo di ricordare bene quello che è stato detto in quel frangente.

Le chiedo se, come ministro, si sente in grado di impegnarsi a proporre progetti di modifica costituzionale in termini di bicameralismo o di revisione dei rapporti tra Stato e regioni, piuttosto che di legge elettorale. Se la sua risposta fosse positiva, le suggerirei, così da portare a termine il vostro mandato, che è quello di contenere il più possibile i costi, di cominciare abolendo lo Stato. Se eliminando le province risparmieremmo tanti soldi, abolendo lo Stato risolveremmo forse tutti i problemi.

Non credo che il mio consiglio sarebbe accolto, ma la domanda resta. Personalmente vuole prendere impegni diversi da quelli che il Governo aveva espresso nel suo complesso?

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi e do la parola al Ministro Gnudi per la replica.

PIERO GNUDI, Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. Anzitutto voglio ringraziare per le domande interessanti e stimolanti che mi sono state poste.

Vorrei fare una premessa. Credo che tutti noi siamo d’accordo sul fatto che in Italia sarebbe necessaria una riforma della Costituzione e un diverso ordinamento. Io purtroppo ho i capelli grigi e quest’anno celebriamo il trentesimo anno da quando il Parlamento ha cominciato a porsi questo problema e a istituire commissioni per la riforma della Costituzione. Il nostro Governo avrà un anno e qualche mese di vita. Credo che, al di là degli impegni assunti, sarebbe velleitario pensare che possa cambiare in questi pochi mesi la Costituzione quando in trent’anni non si è riusciti a farlo.

Che la riforma sia necessaria è indubbio. Io sono anche Ministro del turismo e forse l’onorevole Mantini converrà con me che aver dato alle regioni la competenza esclusiva sul turismo pone oggi problemi non piccoli di fronte a una concorrenza internazionale molto più agguerrita che in passato. Qualche riflessione è indispensabile, ma di certo, come giustamente ha rilevato l’onorevole Vanalli, non è un impegno di questo Governo. Anche se lo fosse, i tempi non sarebbero compatibili con una riforma di questo genere.

Per quanto riguarda il Senato federale, certamente, se ci fosse, le conferenze Unificata e Stato-regioni andrebbero modificate. Trovo giusti i suggerimenti che sono stati avanzati. Potrebbero essere la sede per affrontare taluni problemi prima dell’esame del Senato, ma è uno scenario futuribile e non attuale.

È stata posta, inoltre, una domanda sull’efficienza della Conferenza unificata Stato, regioni ed enti locali. Io svolgo il mestiere di Ministro delle regioni da poco più di un mese. Prima ero solo Ministro del turismo. Ho, quindi, un’esperienza assolutamente acerba, ma mi sembra che funzioni abbastanza bene e che riesca sempre a trovare una certa concordia. Ciò non vuol dire che non serva una riforma. Come dicevo prima, il quadro legislativo è stato pensato nel 1997 ed è completamente diverso da quello attuale. Perciò forse la Conferenza andrebbe adattata alle nuove esigenze.

Per rispondere all’onorevole Lanzillotta, io penso che la Commissione paritetica sia utile. Poiché un lavoro di riorganizzazione costituzionale va compiuto, ritengo giusto e utile cominciare dal basso, sentendo il parere dei primi interessati, cioè i comuni, le province e le regioni. La Commissione non delibera nulla. Esprime dei pareri che saranno inviati al Parlamento, che deciderà se utilizzarli, non utilizzarli o utilizzarli in parte.

La revisione del Patto di stabilità è la prima richiesta avanzata da questa Commissione paritetica. Valuteremo le opinioni che emergeranno e vedremo come affrontare il problema. Credo che la Commissione abbia anche il compito di censire i vari provvedimenti che circolano tra Camera e Senato per provare a conferirvi un minimo di unicità. Mi pare un’operazione giusta.

Non vorrei sbagliare, ma quando furono create le regioni si pensava che le province avrebbero dovuto essere abolite. Tuttavia, non va mai dimenticato che il nostro Stato è stato fondato su base provinciale. Ogni provincia comporta dei costi, ma comporta anche l’esistenza di un certo numero di organismi statali che forse costano molto più dei consigli provinciali. Quando si porrà mano a questo problema, forse si dovrà ridisegnare l’ordinamento dello Stato. Se, per esempio, fosse stata imboccata la strada dell’unificazione delle province, avremmo avuto più prefetture o più questure in ciascuna provincia. Sono problemi che vanno affrontati nella loro globalità.

Quanto al price cap, non l’abbiamo inventato noi, esiste da anni. Credo che prima di tutti lo abbiano utilizzato in Inghilterra nel processo di privatizzazione del settore elettrico. Se non sbaglio fu proposto dal rapporto Littlechild. Per come lo interpreto io, chi si farà carico di un servizio pubblico locale vorrà certamente un contributo economico perché non sarà in grado di coprire i costi del servizio solo attraverso le tariffe. Il problema sarà quantificare quanto vorrà il privato per erogare il servizio. Siccome inizialmente l’azienda rilevata avrà delle inefficienze, sia a livello di personale che a livello organizzativo, che non sarà possibile risolvere dalla sera alla mattina, col price cap si disegna un percorso tale per cui ogni anno il privato deve realizzare delle efficienze che siano in grado di ridurre il costo che l’ente o l’azienda assegnataria sostiene per la gestione del servizio.

Forse ho usato in modo improprio il termine straniero. Ha ragione l’onorevole Lanzillotta a dire che siamo in Europa e che nessuno è straniero. La mia preoccupazione non è che a gestire i servizi pubblici italiani arrivi uno straniero o un comunitario perché lo trovo assolutamente naturale. Vorrei che fosse possibile anche l’inverso e cioè che anche le nostre aziende siano in grado di acquisire all’estero quote di servizi pubblici.

Abbiamo già degli esempi virtuosi in questo senso. L’ente pubblico elettrico che operava in Italia è stato riorganizzato e adesso è presente in quarantadue Paesi del mondo. Bisognerebbe replicare questo esempio virtuoso anche in altri settori. Io credo si possa fare anche nel trasporto pubblico, ma certamente non con quelle dimensioni. 

Per quanto riguarda il monitoraggio del percorso del decreto-legge che interessa i servizi pubblici locali, certamente noi siamo stati artefici del decreto, ma il monitoraggio competerà anche ad altri Ministeri. Non ci sono gelosie. Sarà coinvolta ogni struttura competente nei vari settori presenti in questa legge. Il regista di questa precisa norma sarà comunque il Ministero delle regioni.

PRESIDENTE. Mi scusi, Ministro. Do la parola all’onorevole Lanzillotta che ha chiesto di intervenire per un’ulteriore domanda.

LINDA LANZILLOTTA. Nel decreto-legge «cresci Italia» c’è una norma relativa al monitoraggio della legislazione regionale ai fini pro-concorrenziali che prevede una sorta di diffida per le regioni a provvedere all’abrogazione delle norme in contrasto con il principio della concorrenza e l’attivazione dei poteri sostitutivi in caso di inadempimento. Sarà gestito dal Dipartimento per gli affari regionali?

PIERO GNUDI, Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. La norma parla di Presidenza del Consiglio. Deciderà il Presidente del Consiglio chi se ne occuperà.

Penso di aver risposto all’onorevole Vassallo a proposito della riforma delle province. Se fosse chiesto il mio parere, io sarei assolutamente favorevole a una riforma del sistema a tutto tondo, non limitandosi alle province. Il vero problema delle province ha cominciato a manifestarsi quando l’istituto è stato dilatato e sono state create tante piccole province, che francamente non avevano la dimensione per essere tali, con i relativi costi.

È stato calcolato che tutte le province in Italia costano 200 milioni di euro, una cifra significativa che però non sposta gli equilibri. Credo che il problema del costo delle province stia nel fatto che l’istituzione di una provincia comporta l’apertura di un certo numero di uffici statali che costano molto di più, ad esempio, del consiglio provinciale. Fatto 100 il costo di una provincia, l’ente come tale non credo pesi più del 10-15 per cento.

Come ho già detto, la mia esperienza con la Conferenza unificata è positiva, ma ritengo, come aveva chiesto l’onorevole Calderisi, che si possa migliorare. Proveremo a fare qualcosa in questa direzione tenendo presente che abbiamo un anno di tempo. A febbraio del prossimo anno saremo già vicini alle elezioni e credo che assumere dei provvedimenti in quel periodo sarà molto difficile. Mi pare di aver risposto a quasi tutti gli interrogativi.

PRESIDENTE. La ringrazio molto, a nome di tutti i componenti della Commissione, per la disponibilità manifestata. Mi auguro che questo scambio possa continuare entro un lasso di tempo che ci consenta di rimanere aggiornati sull’agenda degli impegni di sua competenza.

PIERO GNUDI, Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. Se posso, presidente, vorrei aggiungere che mi sarebbe piaciuto illustrarvi i provvedimenti che abbiamo adottato.

PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l’audizione.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *