Da Londra agli Usa: dove la trasparenza è regola

 

I dati patrimoniali Il confronto In Gran Bretagna tutti i dati dei ministri sono pubblici. In Francia la legge «salva» gli immobili

 

Il politologo Nicola Pasini: «In Italia si fatica a fare un passo oltre l’ ordinario»

 

Per chi vuole sapere quanto guadagni un ministro, in Gran Bretagna basta un click sul sito del Parlamento. Persino i movimenti finanziari dell’ attuale premier britannico David Cameron sono online: situazione patrimoniale, investimenti, i benefit di cui gode, eventuali iscrizioni a circoli e club privati con relativa fee (tassa) pagata annualmente. Una regola che vale per Cameron come per tutti i parlamentari inglesi. Ma attenzione: nel Regno Unito non esiste nemmeno una legge che regolamenti il conflitto di interessi. Semplicemente è radicata nell’ opinione pubblica la necessità di una trasparenza dei comportamenti in chi svolge mansioni di governo.

In Francia, nella primavera del 2011, è stato compiuto un primo passo verso la trasparenza. Il primo ministro, Francois Fillon, ha inviato infatti una lettera ai ministri nella quale annunciava la presentazione a giugno di un progetto di legge che avrebbe dettato, da quel momento in poi, le regole etiche per chi svolgeva funzioni pubbliche. Così è nata la «dichiarazione d’ interesse»: ciascun ministro o membro di gabinetto avrebbe dovuto consegnare la propria, dichiarando il reddito ed eventuali partecipazioni azionarie, compresi incarichi pubblici di familiari e parenti. Il tutto messo online, sul sito del governo. Eppure i francesi hanno criticato il provvedimento, per l’ assenza delle proprietà immobiliari da queste dichiarazioni.

In Germania invece la situazione è molto simile a quella del Regno Unito: molte informazioni, dunque, sono reperibili online. E funziona così anche negli Stati Uniti, dove i parlamentari sono obbligati a rendere pubblici i rapporti economici che intrattengono con imprese, gruppi economici o altro.

Per Nicola Pasini, docente di Sistemi politici e amministrativi all’ Università di Milano, il problema tuttavia è di altro tipo: «Premesso che la pubblicazione degli stipendi chiesta dal premier Monti è meritoria, mi domando perché in Italia non si riesca mai a fare un passo avanti rispetto all’ ordinario. Insomma, il conflitto di interesse dei dipendenti pubblici è ben regolamentato dal Codice Bassanini, che invita appunto alla trasparenza politici, dipendenti pubblici e grandi cariche dello Stato». Non solo. Secondo il professor Pasini «anche la legge Frattini è intervenuta sul conflitto di interesse, sancendo che entro 30 giorni dall’ assunzione di una carica di governo debbano essere dichiarati gli interessi finanziari all’ antitrust. Anche gli interessi privati».

Negli Usa, poi, succede da molto tempo che tutte le informazioni siano online. «Anche perché gli Stati Uniti – spiega Pasini – hanno un ufficio governativo che si occupa solo di controllare eventuali conflitti di interesse». Per intenderci, se un parlamentare ha un regalo a Natale, l’ ufficio lo sa e segnala la cosa in modo da indagare sull’ ipotesi di corruzione. Non solo. Sempre negli Usa esiste un organismo indipendente che è il Gao ( www.gao.gov/ ): un’ agenzia «no partisan» che lavora esclusivamente per il congresso americano, definita spesso il «cane da guardia» dei politici americani.

Quello che sia Pasini sia Emilio D’ Orazio, direttore del centro studi «Politeia», tengono a sottolineare, è come in Italia manchi «una struttura di questo tipo. Bisognerebbe invece fare in modo che nasca e che controlli, in modo organico, quanto avviene negli organismi pubblici e al governo».

 

 

In Gran Bretagna è tutto online: tutti gli stipendi e i movimenti finanziari dei membri del governo sono pubblici e disponibili online

In Francia  dalla primavera 2011 c’ è la «dichiarazione d’ interesse»: ogni membro del governo deve sottoscriverla e poi va online

Negli Usa stipendi e rapporti finanziari sono online. Esiste poi un’ agenzia governativa indipendente che vigila su eventuali conflitti d’ interessi

 

Angela Frenda, Corriere della Sera, 21 febbraio 2012

 

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