Doppio scudo per l’euro

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Prima è arrivato il bazooka della Bce con il piano Draghi per acquisti condizionati ma illimitati di bond sovrani di concerto con il fondo salva-Stati. Più che l’arma, decisivo il bersaglio conclamato: il salvataggio dell’euro nella sua integrità.

Poi, ieri, è arrivato anche l’imprimatur (sia pure con qualche paletto) della Corte di Karlsruhe su fiscal compact ed Esm, il quasi-Fondo monetario europeo da 500 miliardi, dichiarati compatibili con la Costituzione tedesca. In meno di una settimana sono stati costruiti solidi contrafforti a sostegno delle troppo gracili mura che circondano la moneta unica, finora esposta a tutti gli attacchi speculativi. In breve, ha vinto la linea Merkel, cioè la volontà politica del Governo tedesco di non sperperare il patrimonio dell’euro e dell’Europa, nella sopravvenuta convinzione che simili tentazioni nel mondo dell’economia e della competizione globali sarebbero puro autolesionismo.

L’euforia ha contagiato i mercati, gli spread spagnoli e italiani sono scesi, i rendimenti tedeschi e nordici sono aumentati, l’euro è ai massimi dal maggio scorso. È la fine dell’incubo, l’alba di una nuova Europa più matura, responsabile e coesa dopo un triennio da dimenticare?

I segnali lanciati sono forti e convincenti ma gli incerti sulla strada della ricostruzione collettiva sono ancora troppi. Le macerie della crisi molto ingombranti se è vero che oggi, secondo il sondaggio del Marshall Fund pubblicato ieri, il 57% degli europei, la maggioranza, ritiene l’euro un cattivo affare per il proprio paese. Se è vero che il 63% dei tedeschi, il 64 dei francesi e il 73 degli olandesi approva la politica Merkel che invece è bocciata dal 63% di italiani e spagnoli e dal 61% dei portoghesi: percentuali opposte ma speculari, la conferma del divorzio tra l’Europa e i suoi cittadini.

Della profonda frattura tra Nord e Sud dell’euro che per salvarsi ha invece un disperato bisogno di convergere: nelle strutture dei conti pubblici, delle economie, della finanza, del fisco, del lavoro e del welfare ma anche, e prima di tutto, nella testa della gente.

Il cantiere della ricostruzione europea, indispensabile per garantire il futuro della moneta unica nel dopo-crisi, potrebbe aprirsi già in dicembre, con l’inizio dei lavori per una nuova riforma dei Trattati Ue, a soli 3 anni dalla ratifica di quello di Lisbona. Obiettivo, costruire un’unione bancaria e una di bilancio per approdare alla fine all’unione politica.

Lo schema porta la firma di Angela Merkel. Governi e istituzioni Ue ci stanno lavorando sopra ma sono i contenuti dietro le etichette a creare antagonismi e trappole diffuse. José Barroso ieri a Strasburgo ha presentato la sua proposta di unione bancaria per rompere il legame perverso tra crisi finanziaria e debitoria e centralizzare per gradi a Francoforte la supervisione di tutti i 6000 istituti di credito Ue.
Il presidente della Commissione vede l’unione politica come una federazione di Stati nazionali. Per arrivarci, avverte, bisognerà battere l’euro-indifferenza, male peggiore dell’euro-scetticismo. Ma come, quando i 17 dell’eurozona come i 27 paesi dell’Unione restano ripiegati sul proprio ombelico, incapaci di guardare oltre gli interessi nazionali?

Si fa presto a strapazzare i “popoli-bue”. A proclamare vertici contro le pericolose derive anti-europee che però altro non sono che il risultato di miopie, ottusità, scelte di comodo e fallimenti delle attuali classi dirigenti, prigioniere di vecchi schemi mentali totalmente sfasati con i tempi. Non a caso la Merkel che prova a guardare lontano e promuove l’integrazione bancaria è la stessa che punta i piedi sulla supervisione centralizzata per tutti nel tentativo di risparmiare ai suoi deboli istituti regionali i rigori della sferza europea. Idem sulla mutualizzazione dei rischi, altro tabù intoccabile. Però in questo esercizio il cancelliere tedesco è di sicuro in grande e ottima compagnia.

Non a caso, sciogliendo la riserva sull’Esm, i giudici di Karlsruhe hanno bloccato al tetto attuale l’esposizione finanziaria tedesca: salvo diversa decisione del Bundestag in nome della salvaguadia della sua sovranità sul bilancio. A tutela, cioè, della dinamica democratica tedesca. Ma quando, in nome di un’europeizzazione ormai obbligata delle politiche e delle strutture economiche, la Germania chiede ai partner di sottoscrivere l’unione fiscale, cioè di rinunciare alle rispettive sovranità sulle leve dei bilanci nazionali, come possono i suoi giudici applicare una logica diametralmente opposta? Si chiama doppiopesismo. O cieco nazionalismo. La verità è che, nonostante l’euro, l’Europa resta provinciale, non è entrata nella cultura politica, socio-economica e giuridica dei suoi paesi membri. Il crescente euroscetticismo dei suoi popoli non ne è la causa ma l’effetto nefasto. Recessione e sfiducia reciproca fanno il resto.

Per questo, nonostante le luci appena accese a Francoforte e Karslruhe, sarà molto faticoso riuscire a illuminare il buio oltre la siepe di questa crisi.

 

Adriana Cerrettelli, Il Sole 24 Ore

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