Il nostro redattore Marco Mantini candidato a L’Aquila

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L’etica dell’esserci

La sfida storica della ricostruzione ha bisogno di noi, dei cittadini aquilani, di una sana etica dell’esserci, della partecipazione.  Solo per questo ho trovato la forza di candidarmi e di chiedere la vostra fiducia, il tuo voto.

Meno politica e più cultura amministrativa, una politica seria, di governo nazionale, di centro e una cultura basata sulle competenze professionali, sui progetti, sull’innovazione. Per questo mi definiscocivico e centrista, sono contrario agli estremismi, sono per la politica della collaborazione, del gioco di squadra…

… L’Aquila smart city, Capitale Europea della Cultura 2019, “dove era e come era” nei suoi monumenti, nelle chiese, nei tessuti storici, ma più bella di prima per il resto, una capitale storica del terzo millennio, della green economy, dell’architettura contemporanea, dei servizi a banda larga, delle eccellenze per il lavoro … E ora vogliamo semplificazione amministrativa, far partire le E, e i principali appalti pubblici entro il 2012.

Ma i programmi, come diceva don Luigi Sturzo, “non basta scriverli, occorre viverli”.

  

L’Aquila smart city, Capitale Europea della Cultura 2019. Concepito come un mezzo per avvicinare i vari cittadini europei, la Città europea della cultura venne lanciata nel 1985 dal Consiglio dei Ministri su iniziativa del Ministro della cultura greco Melina Mercouri. Da allora l’iniziativa ha avuto sempre più successo tra i cittadini europei e un crescente impatto culturale e socio-economico sui numerosi visitatori che ha attratto; le città europee della cultura sono state designate su basi intergovernative fino al 2004; gli stati membri selezionavano unanimemente le città più adatte ad ospitare l’evento e la Commissione europea garantiva un sussidio per le città selezionate ogni anno.

Dal 2005 le istituzioni europee prendono parte alla procedura di selezione delle città che ospiteranno l’evento. Nel 1999, la Città europea della cultura è stata ribattezzata Capitale europea della cultura ed è ora finanziata attraverso il programma Cultura 2000. Tre sono le città italiane che sinora hanno beneficiato della selezione: Firenze nel 1986, Bologna nel 2000 (per un’edizione straordinaria che prevedeva numerose città contemporaneamente capitali) e infine Genova nel 2004.

Con la decisione 1622/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio, è stato istituito un calendario, che assegna a rotazione a due Stati membri dell’UE per ogni anno il titolo di Capitale della cultura. L’Italia (insieme alla Bulgaria) avrà nuovamente diritto ad ospitare la Capitale Europea della Cultura nel 2019.
Si è costituito un comitato d’onore di alto profilo tra personalità delle istituzioni, dell’economia e della cultura a sostegno della candidatura della città di L’Aquila a Capitale europea della cultura 2019.

La designazione di L’Aquila 2019 a Capitale europea della cultura è una scelta di grande profilo per molte ragioni. L’Aquila ha una storia rilevante nel panorama europeo: Acculi, da luogo d’acqua, nasce con diploma di Corrado IV nel 1254 e le prime fasi di consolidamento della città, nata, dal conurbamento delle popolazioni del contado, nelle terre che avevano visto le civiltà di importanti popolazione italiche quali i Vestini e i Sabini, vedono il susseguirsi di eventi importanti, primo tra tutti la sua trasformazione a sede episcopale grazie alla bolla di papa Alessandro IV, nel 1254.

La città che ne derivò fu una realtà molto articolata caratterizzata dall’insediamento di questi nuovi cittadini nei «locali» intra moenia, cioè le aree di identificazione nelle quali fu divisa la città, in corrispondenza dei castelli di provenienza, i quali mantennero una loro popolazione di base. I locali furono poi raggruppati nei quattro quartieri di San Giorgio, San Giovanni, Santa Maria e San Pietro. È importante ricordare questa configurazione, che avrà molto peso nelle successive disposizioni amministrative e costituzionali della città nei secoli XVI e XVII.

Questo rapporto così intenso con il territorio fuori dalle mura costruì la morfologia dell’immagine urbana come un corpo con le sue membra: il contado in realtà fu, per secoli, il polmone dell’Aquila, il luogo dove, in virtù di una fiorente attività armentizia, i pascoli rendevano ottimo bestiame e pregiata lana, sfruttando i locali erbaggi, ma anche i pascoli della Capitanata, raggiunta attraverso la transumanza delle greggi.

La particolare e preziosa coltivazione dello zafferano aveva poi instaurato un mercato ricco e assiduo con acquirenti italiani e tedeschi, favorendo la nascita di un ceto mercantile attivo e molto abile nell’imprenditoria. Altre arti, tra cui florida e attiva fino alla fine del ‘600 fu quella della lana che la pose al centro di traffici con Firenze, vennero poi ad affermarsi e tra queste quella delle pelli e dei metalli: pertanto, all’inizio del Trecento, L’Aquila, che aveva redatto i suoi Statuti del Comune poteva già vantare un progredito sistema corporativo, che la avvicinava alle forme politiche organizzate e complesse dei comuni dell’Italia centrosettentrionale, di ben più consolidata tradizione.

Un successo suggellato anche dal grande evento costituito dall’incoronazione di Pietro Angelerio, salito al soglio pontificio con il nome di papa Celestino V il 29 agosto del 1294, con forte appoggio angioino; un segnale di grande impatto emotivo e politico che, oltre a dare inizio al ruolo di intensa spiritualità della città in relazione a Roma, rafforzerà la centralità dell’Aquila nei percorsi del Giubileo e delle grandi fiere del meridione della penisola, con l’istituzione della Perdonanza celestiniana.

L’Aquila, infatti, si era dimostrata una comunità forte e, spesso, riottosa e, anche dopo la conquista aragonese del Regno, aveva mantenuto sempre una fazione filoangioina, pronta a riprendere il controllo politico. Il potere centrale, conscio della posizione strategica della città abruzzese e della ricca fonte tributaria che rappresentava, aveva concesso numerosi privilegi (ASA, ACA, ms., Regia Munificentia erga aquilanam urbem variis privilegiis exornatam, Aquila 1639, b. S55). Infatti dopo la fase incerta, seguita alla morte di Alfonso d’Aragona nel 1458, Ferrante d’Aragona conferì alla città il suo placet, con il quale consentì alla comunità aquilana di avere liberi commerci con le altre realtà urbane e numerose agevolazioni in materia fiscale.

L’Aquila, grazie al placet, si arricchì della presenza di uno Studio cuiuscumque doctrine, equiparato a quelli di Bologna, Siena e Perugia. L’insediamento di una delle prime stamperie della penisola e d’Europa ad opera dell’allievo di Gutenberg, Adamo de Rottweill nel 1481 fecero della città il punto di riferimento per la diffusione di opere di pregevolissimo valore e di unico esempio quali le Vite di Plutarco e altre.

Nonostante i sanguinosi conflitti e le palpabili tensioni di fine secolo, la città, negli ultimi decenni del Quattrocento, assisterà al momento della sua più significativa espressione culturale. La predicazione di San Bernardino da Siena e di San Giovanni da Capestrano fecero dell’Aquila il crocevia di una delle forme di spiritualità più raffinate e attraenti del XV secolo in Europa. Tra i secoli XIV e XV la città fu sottoposta a molti terremoti che spesso ne modificarono l’impianto senza mai sconvolgere la morfologia urbanistica. La città tendeva sempre a riedificarsi su se stessa

Le iniziative cittadine, l’attivismo dei mercanti-imprenditori, la morfologia della città, che si andava affermando architettonicamente tra gli esempi più raffinati di arte rinascimentale, faranno dell’Aquila uno dei centri di convergenza anche di personalità artistiche straniere, oltre che di letterati e cronachisti locali, quali Francesco Angeluccio da Bazzano e Vincenzo Basilii, che, dalla tradizione di Buccio di Ranallo, avevano proseguito l’opera di memorialistica cittadina. A questi si aggiunsero nei decenni successivi gli Accursio, gli Jaconelli, i Fonticulano, Salvatore Massonio, Bernardino Cirillo e tutti coloro attraverso i quali ben si può respirare il clima di consolidato spessore umanistico che ormai la città era capace di offrire.

Opere importanti diffonderanno l’immagine dell’Aquila, come il trattato di Girolamo Pico Fonticulano che, nella Breve descrittione di sette città illustri d’Italia (I.P. Fonticulano, Breve descrittione di sette città illustri d’Italia, Aquila, 1582, appresso Dagano e Compagni), fa emergere i caratteri della disposizione urbanistica che già lui stesso aveva evidenziato per Roma e Napoli, attraverso le osservazioni tipiche dei coevi trattati di architettura. Il Forte spagnolo progettato da Luis Escrivà, continuò a rappresentare a lungo l’unico esempio di fortificazione militare in città mai attaccato da forze nemiche. Un’opera colossale sia sotto il profilo dell’architettura che del valore simbolico, oggi studiato in tutta Europa.

La scuola giuridica aquilana, che vide in insigni trattatisti e giuristi come Accursio, Vivio, Rustici, Crispomonti, Massonio, Cirillo esponenti di spicco della cultura politica del Regno di Napoli favorì la circolazione di idee e di modelli anche grazie alla successiva nascita del Collegium Aquilanum, voluto dal Gesuita Sartorio Caputo nel 1596 e nerbo della futura Università dell’Aquila. Il tardo-rinascimento, spesso solo identificato con i conflitti con la monarchia spagnola, fu l’età della corte di Margherita d’Austria, figlia dell’imperatore spagnolo Carlo V, la Madama che volle la ristrutturazione del Palazzo del Senato che di lei porta il nome e che a L’Aquila si insediò nell’attuale Palazzo del Comune, Palazzo Margherita, appunto. In questo, gli artisti della sua corte provenienti dalle Fiandre, di cui lei era governatrice, e anche da Firenze, da Napoli, da Parma e Piacenza di cui era duchessa farnesiana, arricchirono il clima cittadino di fasto e opere insigni, collocando la città all’interno di una visibilità che la vedevano spesso meta di ingressi trionfali di principi e personaggi illustri.

Ma anche che ponevano L’Aquila sulle rotte europee: qui giunsero l’urbanista e architetto di fortezze il bolognese Francesco de Marchi (autore della prima relazione sull’ascesa sul Gran Sasso), il pittore fiammingo Art Mitthens, il musicista Rinaldo del Mel, i fratelli organisti Vinck, mentre Raffaello donò la sua Natività alla Chiesa di San Silvestro, oggi conservata a Madrid al Museo del Prado e le maestranze lombarde e locali prepararono l’ingresso del fratello della duchessa Giovanni d’Austria, vincitore, nel 1571 della battaglia di Lepanto contro i Turchi.

La duchessa inoltre insediò una Cascina, primo esempio di imprenditoria femminile, in cui importò i bovini delle Fiandre nel Meridione d’Italia che portarono buoni utili e soprattutto controllò il mercato dello zafferano, l’oro rosso, con i mercanti di Norimberga e del nord Europa.

Un tardo Rinascimento, quello aquilano, all’insegna dello splendore e del valore culturale di una delle città più significative della Monarchia spagnola. Le Accademie dei Fortunati, così come quella dei Velati e poi lo studio dell’Oratorio dei Padri Filippini diffusero modelli e opere letterarie e di retorica segno di una maturità culturale frutto dell’osmosi con la corte di Napoli e, soprattutto, con quella di Roma.

Tutto si sarebbe arrestato al grande sisma del 2 febbraio del 1703, che dimezzò la popolazione e rase al suolo molta parte della città. Sebbene gli interventi del viceré Fernandéz Pacheco Cabrera, marchese di Villena, si dimostrarono rapidi al fine di una politica di sgravi fiscali che potesse,aiutare la popolazione nella ricostruzione, la ripresa della città nel suo complesso fu lunga e articolata in molte fasi.

Il progetto di fare risorgere la città favorì lo sviluppo di una patriottica mobilitazione dei cittadini, che consentì una rapida ripresa dell’immagine urbana. Anche lo sviluppo edilizio intensificò l’impegno occupazionale degli imprenditori interessati da questo processo, con circolazione di capitali e disegni speculativi che stimolarono una conseguente immigrazione dal contado e avvantaggiarono corporazioni e maestranze competenti nel settore, quali quelle lombarde, già presenti in città da più di un secolo. Il terremoto del 1703 rappresentò un campo di speculazione affaristica che connotò le attività di numerosi gruppi familiari. Inoltre, il fenomeno della ruralizzazione delle famiglie legate al ceto dirigente rafforzò il possesso di casali e castelli extra moenia, con un consistente possesso immobiliare che, nel caso settecentesco aquilano, servì a veicolare i linguaggi di nobilitazione con l’acquisto di titoli associati al possesso delle terre, come nel caso dei Dragonetti, poi divenuti Dragonetti de’ Torres e dei Rivera (G. RiVERA, Relazione storica, cit., p. 47). Un fenomeno che attraversò tutto il Settecento fino all’editto intorno alla formazione dei registri delle Nobiltà del Regno, emanato il 25 aprile 1800 in cui «da piazza nobile dell’Aquila fè domanda per essere riconosciuta Piazza Chiusa»). Un rimpasto sociologico che ridisegnò nuove configurazioni, ma che nei decenni successivi permise anche una ristrutturazione raffinata figlia della ottima collaborazione con grandi artisti di scuola romana che importarono a L’Aquila le forme più raffinate del barocco che si è potuto ammirare fino a qualche mese fa. L’ostinazione della popolazione, il consolidarsi di un ceto dirigente moderno e colto portarono fino alle soglie dell’Ottocento e dell’Unità d’Italia, una città con una identità densa di molteplici configurazioni.

L’Aquila è dunque città di grandi testimonianze culturali di rilievo europeo, in primis sotto il profilo architettonico (circuito delle Basiliche di Collemaggio, S. Maria del Suffragio e S. Bernardino, le chiese, la famosa fontana delle 99 cannelle, i numerosi castelli e palazzi disseminati sul territorio). Tuttavia, L’Aquila è anche sede di uno dei 18 teatri stabili in Italia, vanta una tradizione musicale e operistica ragguardevole, ed è attiva anche nel campo cinematografico.

Il 2019 rappresenta un orizzonte temporale congruo per procedere alla riqualificazione del patrimonio architettonico, capace di offrire alla popolazione una prospettiva certa sui tempi della ricostruzione complessiva della città.

Lle risorse già stanziate per la ricostruzione si trasformerebbero da un mero «contributo alla ricostruzione», in un effettivo investimento di sviluppo, grazie all’effetto promozionale che un grande evento come la Capitale europea della cultura potrebbe generare.

Come solitamente accade in occasione dei grandi eventi, la Capitale europea della cultura costituirebbe un potente «driver» di cambiamento, capace di riorientare la vocazione del territorio anche verso nuove forme di specializzazione (cultura, turismo, e altro), con effetti positivi anche sul tessuto imprenditoriale;
l’impegno di numerose istituzioni internazionali e paesi stranieri (Germania, Spagna, Francia, USA) nella ricostruzione, fanno dell’Aquila un prototipo di collaborazione internazionale in ambito culturale, affermando la dimensione europea della città.

La riflessione recentemente avviata finalizzata alla candidatura della città dell’Aquila a Patrimonio mondiale dell’UNESCO ne risulterebbe ulteriormente rafforzata.

L’Aquila verrebbe rivitalizzata anche come città universitaria, sede di eccellenza di saperi e conoscenze diffusi, come testimoniato dal programma OCSE discusso in occasione del G8, capace nuovamente di attirare studenti dal resto dell’Italia e, potenzialmente, da tutto il bacino del Mediterraneo.

In sintesi, la ricostruzione dell’Aquila diventerebbe un paradigma della capacità di progettare il futuro attraverso un’attenta rilettura del proprio passato, individuando un equilibrio urbanistico, antropico e culturale capace di coniugare storia e modernità, rigore costruttivo e rispetto di un territorio a forte rischio naturale, trasformando un elemento potenzialmente distruttivo per la collettività locale in un’opportunità di cambiamento per tutto il territorio. 

 

 Marco Mantini, Redazione fareCentro

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