India e pirateria dopo il caso Lexie

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Sullo sfondo del caso del mercantile italiano Enrica Lexie e delle connesse questioni di riserva di giurisdizione nazionale e di immunità dei nostri militari che l’Italia porta avanti con pacata fermezza, si intravedono le mosse dell’India per sottoporre al proprio controllo il transito in zone extraterritoriali a rischio pirateria di mercantili stranieri con armati a bordo.

Ben prima dell’episodio del mercantile italiano l’India aveva infatti intrapreso azioni per far arretrare verso ovest la zona a rischio pirateria che nell’Oceano Indiano giunge sino al limite delle sue acque territoriali.

In quest’area, a 22.5 miglia (mg.) dalla costa, si trovava la Lexie il 15 febbraio 2012. Ed in questa stessa area il medesimo giorno è stato depredato, stando all’International Maritime Bureau (Imb), un altro mercantile all’ancora. Quali gli scopi dell’iniziativa dell’India che tende ad escludere dall’area a rischio la sua Zona economica esclusiva (Zee) che si estende sino a 200 mg. dalla costa? Perché l’India si muove autonomamente sulla scena marittima ?

Rischio pirateria

La superficie delle aree al largo delle coste della Somalia infestate dai pirati si è fatta sempre più vasta, a partire da quando, nel 2008, le Nazioni Unite hanno certificato la gravità della situazione del Corno d’Africa. Le statistiche della pirateria dell’Organizzazione marittima internazionale (Imo) e dell’Imb indicano un continuo espandersi della minaccia nell’Oceano Indiano verso le Seychelles e le coste sud occidentali dell’India.

Sta di fatto che lo scorso anno l‘International Transport Workers Federation (Itf) ha definito una zona ad alto rischio pirateria che dalle coste somale arriva ad est sino al meridiano 76 e verso sud al parallelo 16, all’interno della quale:

  1. i mercantili sono invitati ad adottare le misure di autoprotezione raccomandate dall’Imo (Best Practice) tra cui la registrazione ed il riporto al Centro di controllo marittimo della Missione navale dell’Unione europea ed a quello britannico operante in Bahrein;
  2. i marittimi imbarcati percepiscono un raddoppio delle indennità giornaliere;
  3. gli armatori pagano premi di assicurazione maggiorati nella misura stabilita dai Lloyd’s per i “War Risk”.

Lo status giuridico delle acque di questa zona è vario, nel senso che comprende sia aree di alto mare sia di Zee. Le Best Practice raccomandate all’armatoria privata riguardano tutti i mercantili, compresi quelli che imbarcano guardie private e nuclei militari; in proposito l’Imo prevede difatti che “the provision of Military Vessel Protection Detachments (VPDs) deployed to protect vulnerable shipping is the recommended option when considering armed guards”.

Libertà di navigazione
È noto che la pirateria costituisce una minaccia alla libertà di navigazione la quale vale non solo negli spazi aperti a tutte le nazioni come l’alto mare ma anche nella Zee il cui status è quello delle acque internazionali. Mentre nell’alto mare la libertà degli Stati incontra l’unico limite nel pari diritto degli altri Stati, nella Zee la navigazione internazionale è condizionata dall’obbligo di rispettare i diritti funzionali dello Stato costiero, tra cui vi è quello di pesca.

Ciononostante non è corretto qualificare come transito inoffensivo il passaggio nella Zee straniera, poiché questa nozione si riferisce al solo transito nelle acque territoriali e non ad aree in cui vige libertà di navigazione. È vero invece che la pesca illegale è vietata nella Zee e legittima l’adozione di misure di polizia verso i contravventori da parte dello Stato costiero che può adoprare la forza in modo minimo e proporzionale. Secondo l’Unclos, la forza può anche essere usata nella Zee da navi da guerra di altri paesi o da mercantili con guardie armate o Vpd per contrastare la pirateria: il fondamento del diritto sta anch’esso nel principio della libertà di navigazione.

Zee indiana

A prescindere dalla giusta rivendicazione del diritto di vietare la pesca illegale nella propria Zee, I’India sembra pretendere anche il controllo sulla navigazione. Il problema starebbe nel fatto che i numerosi pescatori che affollano le zone costiere del Kerala usano avvicinare minacciosamente i mercantili in transito temendo il taglio delle lunghe reti derivanti: perciò corrono il rischio di essere scambiati per pirati. Questo tra l’altro è stato adombrato da fonti della Guardia costiera indiana poco ore dopo il caso Lexie.

Ad evitare simili errori e per proteggere la vita dei propri pescatori da atti di violenza di personale armato imbarcato per la protezione dei mercantili, l’India richiede che gli stessi mercantili comunichino i loro dati durante il transito nella Zee. In parallelo l’India ha intrapreso azioni perché la sua Zee sia depennata dalle zone a rischio pirateria in modo da allontanare il traffico marittimo dalle sue coste. Nulla risulta invece sull’adozione di misure per informare i pescatori del pericolo di incidenti tipo Lexie, per renderne riconoscibile la presenza o per raccomandare ai mercantili di evitare le zone in cui più intensa è la pesca.

Interessi strategici
Apparentemente la pretesa indiana può apparire legittima e fondata, ma guardandola dal punto di vista della libertà di navigazione e della tutela della confidenzialità dei dati commerciali e della sicurezza dei mercantili, numerosi sono i dubbi che possono sorgere. A cominciare da quello che alla base vi sia l’interesse strategico ad assoggettare de facto la Zee ad un regime di sovranità nel cui ambito la Guardia costiera indiana possa adottare misure di enforcement verso i mercantili stranieri.

Non a caso fonti indiane, sulla scia del dibattito processuale in corso presso l’Alta Corte del Kerala, reclamano strumentalmente l’applicazione della Convenzione di Roma del 1988 sul terrorismo marittimo nei confronti di chi sia sospetto di aver commesso in alto mare e nella Zee atti di violenza di qualsiasi genere (quindi anche colposi o protetti da immunità funzionale) verso cittadini indiani.

Da non dimenticare, peraltro, per comprendere quanto sia sensibile il tema della libertà di navigazione nella Zee, che quando l’Australia nel 2004 istituì, ai fini della sicurezza marittima, una Zona di identificazione marittima simile a quella immaginata dall’India, fu costretta a ritirare l’iniziativa perché non approvata dall’Imo. Del resto sia l’Italia che la Germania, nel ratificare l’Unclos, hanno depositato dichiarazioni volte a contrastare l’allargamento della giurisdizione (fenomeno della “creeping jurisdiction”) nelle Zee al di là delle materie stabilite dall’Unclos.

Maggiore apertura
Potenza economica emergente e grande paese animato da forte spirito nazionale, l’India sembra procedere risolutamente per la sua strada, convinta di essere nel giusto. L’approccio seguito per il caso Lexie ce lo conferma. Ma l’adozione di iniziative marittime richiede il consenso della comunità internazionale soprattutto quando può intaccare legittimi interessi commerciali e consolidati principi di diritto internazionale.

Certo, tra la vita dei pescatori e la libertà di navigazione, la bilancia pende dalla parte dei primi. Ma anche la vita dei marittimi è messa a repentaglio dalla pirateria. Dunque è auspicabile che l’India allarghi il suo orizzonte diplomatico coordinandosi meglio con gli altri paesi impegnati nel contrasto alla pirateria del Corno d’Africa. In questo modo fugherà qualsiasi sospetto di voler “demilitarizzare” e “territorializzare” la propria Zee.

 

Fabio Caffio, Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo.

 

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