Intervento in Siria: non si può, o invece sì?

syria-civil-war L’opinione di Natalino Ronzitti docente di Diritto Internazionale e consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali

Le stragi che si susseguono in Siria hanno proposto all’attenzione della comunità internazionale i possibili rimedi per far fronte alla situazione. Che fare? Fino a qualche tempo fa il regime siriano, che manteneva il potere con i soliti metodi dispotici e polizieschi, non aveva sollevato le proteste degli occidentali, tanto che dal ministro Frattini la Siria veniva indicata come un paese stabile avviato verso la modernizzazione (febbraio 2011).

Di fronte alle proteste popolari e alla dura repressione di questi ultimi mesi però non si potevano più chiudere gli occhi, neppure da parte italiana, malgrado i rilevanti interessi per l’importazione di greggio.

Si è fatto troppo poco
Le misure finora adottate dalla comunità internazionale si sono dimostrate insufficienti e non hanno scosso più di tanto il regime, che gode ancora dell’appoggio russo e cinese e, in Medio Oriente, di quello iraniano, mentre la Lega Araba ha ormai abbandonato Assad, pur dichiarandosi contraria a eventuali prove di forza. Taluni stati arabi, come Arabia Saudita e Qatar, aiutano i ribelli con forniture di armi e di danaro. Per non parlare della Turchia, dove si sono rifugiati alcuni transfughi del regime e militari che hanno abbandonato Assad, dando origine ad un esercito di liberazione, che per ora sembra piuttosto un guscio vuoto.

L’embargo petrolifero decretato dall’Ue, l’espulsione degli ambasciatori siriani dichiarati “persone non grate” e altre misure prese fuori dal quadro delle Nazioni Unite non hanno sortito l’effetto desiderato e posto un freno al regime.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione (n. 66/253) di condanna il 16 febbraio 2012. Il Consiglio di sicurezza (Cds) ha adottato due risoluzioni a breve distanza l’una dall’altra: la 2042 del 14 aprile e la 2043 del 21 aprile. Ambedue risultano edulcorate e prive di nerbo, a causa dell’opposizione della Federazione Russa (e della Cina), che ha minacciato il veto nei confronti di risoluzioni più incisive.

Concretamente le misure adottate riguardano l’incarico affidato all’ex Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan e l’invio di osservatori. Il 27 maggio, dopo la consumazione di una delle tante stragi, il Cds non è riuscito neppure ad approvare una risoluzione di condanna, ma si è dovuto accontentate di un comunicato stampa.

Il piano Annan, in sei punti (riconoscimento delle aspirazioni del popolo; cessazione della violenza; assistenza umanitaria alle aree coinvolte nei combattimenti; rilascio delle persone arbitrariamente arrestate; libertà di movimento dei giornalisti; libertà di associazione e di dimostrare pacificamente) è ormai giunto al capolinea, quantunque sia ancora mantenuto in vita con il sostegno della Lega Araba e del suo Segretario generale che, insieme ad Annan, sono incaricati di trovare una soluzione soddisfacente.

Quanto agli osservatori Onu (disarmati), il fallimento della missione è sotto gli occhi di tutti: contro di loro sono stati anche sparati colpi di arma da fuoco! Una missione del Consiglio dei diritti umani attende invano di poter entrare in Siria, nonostante la richiesta dello stesso Consiglio della Lega Araba, reiterata nella risoluzione di Doha del 2 giugno 2012.

Esistono alternative più muscolose, con o senza l’Onu
Due altre ipotesi sono state ventilate: un intervento militare e il deferimento dei responsabili delle stragi alla Corte penale internazionale. Il primo postula un’autorizzazione del Cds, per ora impensabile a causa della ferma opposizione della Russia e della Cina che, in quanto membri permanenti, porrebbero il veto e bloccherebbero la risoluzione.

Un intervento militare, sul modello libico, non avrebbe neppure il sostegno della Lega Araba, al contrario di quello che si è verificato in un primo tempo con la Libia. Ma un’autorizzazione del Cds è, dal punto di vista giuridico, strettamente necessaria per intervenire? A nostro parere sì, poiché l’intervento d’umanità, senza l’autorizzazione del Cds, è contrario alla Carta delle Nazioni Unite. Ma non è questa la posizione tradizionalmente tenuta dagli occidentali, che altre volte sono intervenuti (ricordiamoci il Kosovo) senza essere autorizzati dal Cds.

La proposta di intervenire mediante l’apertura di corridoi umanitari era già stata prospettata dalla Turchia e dalla Francia nel novembre scorso, ma non è stata accolta. Il ricorso all’opzione militare è stato respinto anche dal nostro ministro degli Affari esteri. Sulla stessa linea la Nato e gli Stati Uniti, i quali hanno affermato che un intervento umanitario è inammissibile senza l’assenso delle Nazioni Unite. Ma l’autorizzazione del Cds sta diventando la foglia di fico dell’impotenza occidentale, che rischia d’inferire un colpo mortale ad una dottrina che proprio gli occidentali si erano andati costruendo a partire dall’apertura di corridoi umanitari in Kurdistan nel 1991. È inutile gridare al genocidio, come fa lo stesso ministro Terzi, se poi non si propongono misure efficaci per fermare la mattanza!

Comunque la possibilità di un intervento umanitario resta remota, che si voglia rispettare o meno la lettera della legge. La Siria non è la Libia. A parte ogni considerazione sugli interessi economici di questa o quella potenza, motore dell’intervento anglo-francese in Libia, l’opposizione al regime siriano è altamente frammentata e il c.d. esercito di liberazione manca di una base territoriale come quella degli insorti di Bengasi. Occorrerebbe inoltre una stabile presenza sul terreno, per un arco di tempo non facile da prevedere. Le difficoltà economiche in cui si dibatte attualmente l’Occidente impediscono nuove avventure militari.

Facciamo fare ai giudici?
La seconda soluzione (che non è esclusa dalla prima) consiste nel deferire la situazione siriana alla Corte penale internazionale (Cpi), sul modello di quanto è stato fatto per la Libia. La Siria non è membro dello Statuto della Cpi e quindi la Corte non ha giurisdizione sui cittadini siriani responsabili dei crimini in Siria, tranne che non vi sia un deferimento dei colpevoli da parte del Cds.

Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha espresso una dura condanna nei confronti della Siria , con una risoluzione adottata il 23 marzo con i voti favorevoli di 41 membri e con quelli contrari di Cina, Cuba e Russia. Una nuova risoluzione è stata votata il 2 giugno in cui si condanna il massacro di Houla e si chiede l’identificazione dei responsabili. Lo stesso Alto Commissario dei diritti umani ha ventilato l’auspicio che i crimini contro l’umanità di cui si è macchiato il regime siriano siano giudicati dalla Corte dell’Aja.

Tuttavia, per il deferimento della situazione alla Cpi, l’adozione di una risoluzione del Cds è assolutamente necessaria e inaggirabile, e la Russia porrebbe sicuramente il veto, memore dell’esperienza libica e della consequenzialità tra l’attribuzione di competenza alla Cpi e la successiva autorizzazione dell’intervento. Tra l’altro la “soluzione yemenita” proposta dall’Italia e da altre diplomazie, cioè la partenza di Assad da Damasco, non depone a favore di un deferimento del dittatore alla Cpi.

Guardiamo indietro e studiamo i precedenti storici
Si deve quindi assistere impotenti alle stragi? La comunità internazionale è già intervenuta in Siria. Accadde nel 1860 con l’intervento francese, autorizzato dal Concerto d’Europa e con il consenso dell’Impero ottomano, allora sovrano del territorio. Il precedente è considerato come uno dei primi esempi di intervento umanitario.

Questa volta la soluzione del problema è, in gran parte, nelle mani della Russia (la cui proposta di convocare una conferenza con l’inclusione dell’Iran al momento non aiuta). Rassicurare la Russia significa tener conto dei suoi interessi nella regione, inclusa l’unica base navale, il porto di Tartus, che le è rimasta in Mediterraneo.

La partenza di Assad – la “soluzione yemenita” – dovrebbe essere accompagnata da un dispiegamento di forze di pace in Siria, quantomeno per un periodo limitato, con l’assenso del nuovo governo. Solo così si avrebbe una soluzione “yemenita plus”. È bene rispolverare il precedente del 1860!

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