Audizione del Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi, sulle linee programmatiche

COMMISSIONE I

AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE

Seduta di mercoledì 11 gennaio 2012

Ministro  Riccardi

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, ai sensi dell’articolo 143, comma 2, del Regolamento, l’audizione del Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi, sulle linee programmatiche.

A nome mio e di tutta la Commissione ringrazio il Ministro per la sua presenza e gli do subito la parola.

ANDREA RICCARDI, Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione. Signor presidente e onorevoli deputati, vi ringrazio per il vostro invito. Per me è un’occasione importante per avviare nel confronto la mia esperienza ministeriale, che definirei acerba.

La domanda che mi vorrei porre è come la cooperazione e l’integrazione possano divenire aspetti essenziali del nostro sistema tali da meritare, in un momento di crisi, una specifica responsabilità politica. Me lo sto chiedendo mentre sto costruendo – lo confesso, non senza fatica – una realtà che tiene insieme questi due aspetti. Lo sto, anzi lo stiamo facendo, in un tempo di crisi. Questo tempo di crisi, però, può essere un tempo di integrazione oppure, se mi permettete il termine, di ulteriore o di pronunciata disintegrazione?

Io credo che storicamente – lasciatemi esprimere una considerazione consona alla mia professione di storico – i momenti di crisi abbiano sempre coinciso con grandi intuizioni. Basta pensare alla Seconda guerra mondiale e alla nascita dell’idea di Europa. Noi ci troviamo davanti a una stagione molto importante, in cui dobbiamo passare da una considerazione emergenziale dell’immigrazione alla maturazione dell’idea di integrazione. Peraltro, vi ricordo che l’idea di integrazione nasce proprio dai temi della disabilità e non da quelli dell’immigrazione.

I dati Eurostat degli ultimi due anni collocano il nostro Paese tra le quattro nazioni europee che hanno il più elevato flusso migratorio. Si tratta di un’immigrazione che proviene da 192 Paesi, il che fa la grande differenza con altri Paesi che hanno un’immigrazione non diversificata. Pensate alla Germania con i turchi, anche se all’interno dell’immigrazione turca va poi considerata la differenziazione con i curdi.

Come parlare degli immigrati? Capisco che esiste un linguaggio che è stato legato all’emergenza immigrazione nel nostro Paese. È esistito un linguaggio emergenziale, che può divenire talvolta preoccupato e talvolta aggressivo, ma io credo che la questione dell’immigrazione e della presenza di gente di altra storia rispetto agli italiani sia ormai un fatto consolidato, che dura da quarant’anni.

Personalmente sono convinto, ed è una convinzione maturata in diversi decenni, che nel nostro tempo la questione migratoria o della presenza di immigrati in Italia sia una questione capitale, come lo era nello Stato otto-novecentesco la questione dei confini. Essa richiederebbe quindi una riflessione attenta e cauta rispetto all’interesse nazionale.

Il tema che voglio affrontare è la presenza di cittadini stranieri nel nostro Paese. Quello dei flussi è solo uno degli aspetti dell’immigrazione e forse non il più importante. Se si prende in esame il Rapporto dell’ISMU (Iniziative e Studi sulla Multi Etnicità) di Milano, esso ci informa che negli ultimi anni c’è una diminuzione tendenziale dei flussi di ingresso.

Guardiamo, in particolare, agli stranieri residenti nel nostro Paese. Le attività del mio ministero dovranno dare impulso all’applicazione dei capi IV e V della legge cosiddetta Turco-Napolitano e poi Bossi-Fini, che ha lasciato sostanzialmente invariate le sezioni IV e V del Testo unico sull’immigrazione di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, e dovranno raccogliere le diverse disposizioni sparse nella decretazione d’urgenza. Finora le competenze sono state estremamente suddivise. Si tratta di ripensare una politica unitaria. Lasciatemi chiedere: qual è la condizione, lo stato dell’arte in materia di integrazione? Non possiamo essere pessimisti. I cittadini stranieri sono inseriti nel tessuto sociale e il merito di questo risultato va alle iniziative e alla buona volontà di tanti italiani.

Negli ultimi mesi sono stati pubblicati diversi studi che evidenziano la permanenza e la stabilità della metà degli stranieri in Italia da più di cinque anni, l’aumento di ditte gestite dagli stranieri e la loro propensione ad assumere italiani, l’aumento delle rimesse nei Paesi d’origine, con 2 milioni di famiglie in Italia che hanno almeno un componente straniero e un milione di bambini stranieri, di cui il 65 per cento nati nel nostro Paese.

Di fronte a questo panorama complesso, positivo ma con alcune criticità, ci sono alcuni obiettivi a breve e medio termine. Innanzitutto vi è il rischio che i cittadini stranieri diventino irregolari. Il rischio è forte. La Caritas conta in circa 600 mila i permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro subordinato, lavoro autonomo, motivi di famiglia e attesa di occupazione, che in un anno, tra il 2009 e il 2010, sono scaduti e non sono stati rinnovati. Pur ammettendo che una parte di queste persone siano ritornate – me lo auguro – nel loro Paese, c’è comunque una percentuale non trascurabile, che si può stimare intorno a 350 mila persone, che rischia di finire nel circuito dell’irregolarità.

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