Avvio in surplace delle riforme istituzionali

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Il governo può fare un disegno migliore della mozione

di Pierluigi Mantini

Con la discussione in Parlamento della mozione di indirizzo sulle riforme istituzionali si è avviato ufficialmente il percorso delle riforme nella XVII legislatura. Sarà davvero una legislatura costituente, l’alba della terza repubblica?
Il ministro Quagliariello ben ricorda i precedenti e non disdegna di fare gli scongiuri.

Veni Spiritus Creator” : l’invocazione di Benedetto Croce sull’Assemblea Costituente fu generosamente accolta nei lavori che portarono alla Carta Costituzionale del 1948.

Non altrettanto però può dirsi nei tentativi di grandi riforme costituzionali dell’ultimo trentennio, dal cosiddetto “Decalogo Spadolini” (1982), dal Comitato Riz-Bonifacio (VIII legislatura), dalla Commissione Bozzi (IX legislatura), dalla Commissione De Mita-Iotti (XI legislatura), dal Comitato Speroni (1994), dalla Commissione D’Alema (XIII legislatura) fino al disegno di legge della c.d. “devolution”, approvato dalle Camere nel 2005 e respinto dal corpo elettorale nel referendum.
Solo la riforma del Titolo V nel 2001, confermata dal referendum, è andata in porto, sebbene figlia di un’improvvisa accelerazione della decisione politica, che ne ha depotenziato la qualità, e di una maggioranza di quattro voti.
Le uniche riforme costituzionali scaturite da “larghe intese”, con maggioranze parlamentari qualificate, sono state quelle di tipo puntuale, sui singoli temi o articoli, quale il voto e la rappresentanza parlamentare degli italiani all’estero (art. 56 Cost.), la parità di genere nell’accesso alle cariche pubbliche (art. 51 Cost.), il nuovo art. 111 sul “giusto processo” e, nell’ultimo anno, il nuovo art. 81 sull’obbligo del pareggio di bilancio. Per il resto, solo fallimenti.
Ora però, con il governo Letta e delle “larghe intese”, c’è una condizione nuova, particolare. Non più “due tavoli” distinti, quello del governo e quello delle grandi riforme, ma un solo tavolo politico e una lunga istruttoria alle spalle, un’agenda in larga misura condivisa.
Insomma, governo e riforme istituzionali si sostengono a vicenda, il bipolarismo è in stand-by.
Ma vi è anche una seconda condizione favorevole. I testi sono oramai scritti. Sulla “riforma della riforma del titolo quinto”, il superamento del bicameralismo, la riduzione dei parlamentari, i nuovi regolamenti parlamentari per l’efficienza del procedimento legislativo, quasi tutto è già pronto, condiviso, compresa la decisione di non toccare i nodi più spinosi sulla giustizia.
Insomma, siamo in una situazione molto diversa dai tempi della Bicamerale presieduta da D’Alema.
Eppure, a ben vedere, la soluzione della Convenzione ora “Comitato bicamerale” è molto simile.
La mozione parlamentare votata impegna il governo a presentare, entro giugno, un’altra riforma costituzionale per “una procedura straordinaria” rispetto a quella di cui all’art. 138 Cost. (che prevede doppia votazione, con maggioranza qualificata e , in assenza, referendum confermativo).
Era necessaria o costituisce un inutile vulnus, come sostengono Onida, Zagrebelski e diversi altri?
Il Comitato bicamerale dei 40, composto da 20 deputati e 20 senatori designati tra i componenti delle commissioni Affari costituzionali in modo proporzionale (e già questo è un problema), secondo la mozione dovrebbe favorire “una ampia convergenza politica” e la ” certezza dei tempi” (non oltre i 18 mesi).
Non ha compiti redigenti, tutto sarà emendabile: come farà? Il Comitato bicamerale é senza poteri particolari ma, inoltre, dovrà proporre anche la riforma elettorale coerente con la nuova forma di governo. Una grana in più.
Dunque niente modifiche “mirate” del porcellum e apertura al semipresidenzialismo, con referendum finale.
Forse non era necessaria la doppia modifica della Costituzione, sul metodo e sui contenuti.
Meglio, molto meglio concentrarsi sulle cose da fare più che sulle procedure. Non si può sbagliare. Il vero nodo da sciogliere è il semipresidenzialismo. Meglio un Capo dello Stato arbitro o attore? Forse è proprio questo il referendum da fare.
Il credito dato al governo con il voto amministrativo è a tempo, sulle riforme istituzionali non si può tirare a campare.Il governo può fare un testo migliore della mozione con zero vincoli sulle modifiche del porcellum e un po’ di potere redigente al Comitato. Molti lo pensano, Renzi e anche Scelta Civica lo hanno detto.
Veni Spiritus Creator.

 

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