Decreto legge contro il sovraffollamento delle carceri

 

Come noto il disegno di legge di conversione del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211 “Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri”, c.d. “svuota carceri”, in corso di esame alla Camera dei Deputati, introduce una serie di misure volte a mitigare la tensione carceraria determinata dalla condizione di sovraffollamento.

Gli ultimi dati nazionali forniti dal sindacato UIL penitenziari parlano di oltre 68 mila reclusi, a fronte di una capienza degli istituti di pena di 44.385 posti, quindi vi è un’eccedenza di 23.632 personein più di quanto le carceri italiane possano contenerne.

 

Le principali innovazioni alla normativa vigente contenute nel testo sono le seguenti:

  • il ricorso, solamente in via residuale, alla detenzione in carcere dell’arrestato in flagranza di reato per illeciti di competenza del giudice monocratico, in attesa dell’udienza di convalida dell’arresto e del rito direttissimo; si prevede pertanto: in via prioritaria, che sia disposta la custodia dell’arrestato presso l’abitazione; in subordine, che sia disposta la custodia presso idonee strutture della polizia giudiziaria; solo in via ulteriormente subordinata, che sia disposto l’accompagnamento nella casa circondariale. Si intende così ovviare al problema delle cd. “porte girevoli” (casi di detenuti condotti nelle case circondariali per periodi brevissimi: nel 2010, 21.093 persone trattenute per un massimo di 3 giorni);
  • il dimezzamento (da 96 a 48 ore) del termine entro il quale deve avvenire l’udienza di convalida;
  • l’estensione da 12 a 18 mesi della soglia di pena detentiva, anche residua, per l’accesso alla detenzione domiciliare, prevista dalla legge n. 199 del 2010;
  • un’integrazione delle risorse finanziarie, pari a circa 57,27 milioni di euro, per l’adeguamento, potenziamento e messa a norma di infrastrutture carcerarie;
  • il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, di cui si prevede la chiusura entro il 1° febbraio 2013;
  • l’estensione della partecipazione al dibattimento a distanza alla testimonianza di persone detenute;
  • l’estensione del regime delle visite in carcere (senza autorizzazione dell’amministrazione penitenziaria) ai parlamentari europei;
  • l’introduzione di un nuovo caso di illecito disciplinare dei magistrati, per inosservanza delle disposizioni relative al luogo di svolgimento dell’udienza di convalida.

 

Le ragioni della necessità di questa norma.

 

Nell’ultimo decennio, l’aumento della popolazione carceraria ha generato un forte sovraffollamento degli istituti di pena (gli ultimi dati nazionali forniti dal sindacato UIL penitenziari parlano di 68 mila persone, a fronte di una capienza di 44.385 posti, 23.632 in più di quanto gli stessi potrebbero contenerne.) che ha contribuito ad un notevole deterioramento della qualità di vita dei detenuti, già provati per le condizioni di limitata libertà.

I numeri (bisogna ricordare, inoltre, che oltre 28 mila persone risultano detenute in attesa di giudizio, costituendo il 42 per cento del totale dei carcerati) testimoniano dunque che chiamarlo disagio è riduttivo: siamo infatti più vicini ad una tragedia quotidiana.

Condizioni igienico sanitarie inadeguate, malattie, assenza di riscaldamento, suicidi, violenza, allarmanti condizioni di lavoro degli operatori penitenziari, abbandonati a loro stessi per sottodimensionamento e carenza di mezzi: sono soltanto alcuni dati che confermano come ci si trovi di fronte ad una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile.

Le carceri si riempiono, giorno dopo giorno, ogni oltre tollerabile misura: ergastolani, tossicodipendenti, insani di mente, minori, stranieri, autentici criminali o miseri malcapitati (che difficilmente avrebbero scelto di vivere insieme) si trovano a convivere in una realtà confusa e disordinata, dove diviene indistinto ogni limite e la stessa identità personale rischia di perdersi.

Il carcere sottrae all’individuo la cura di se stesso, lo priva della sua autonomia, della sua libertà, lo separa dal proprio mondo, dalla propria realtà sociale, dai propri affetti, dai propri ruoli ed esercita su di lui un’azione totale e spersonalizzante; così, sempre più frequentemente, qualcuno crolla e cerca nella morte la liberazione dal dolore (l’anno scorso si sono uccisi in carcere oltre 60 detenuti)

“In soli tre o quattro anni – denuncia il portavoce di Sant’ Egidio Marazziti – con l’aggiunta della crisi economica, si è creata una accelerazione nel numero dei carcerati che non ha precedenti nella storia d’Italia e che non ha nessuna corrispondenza con il tasso di criminalità. Eppure quasi tutti i reati sono in diminuzione da circa due decenni, salvo poche eccezioni”.

Più volte si è cercato di ridurre le tensioni causate dal sovraffollamento attraverso indulti o amnistie, ma, in difetto di azioni mirate sulla durata dei processi e sulla introduzione di misure alternative alla detenzione (a nulla è servito il monito del Presidente della Repubblica e di Benedetto XVI i quali, da tempo e con parole angosciate, sollecitano la coscienza morale di tutto il Paese su questa emergenza), nessun miglioramento sarà possibile.

A tutto ciò si aggiunge anche una emergenza di pubblica sicurezza, considerando che l’incremento del numero dei detenuti non è accompagnato da un proporzionale aumento delle forze dell’ordine penitenziarie; da tempo si denuncia questa situazione, senza mai avere risposte reali, concrete ed efficaci.

Negativo anche il bilancio della sperimentazione dei braccialetti elettronici, non soltanto per i costi, ma soprattutto per l’inidoneità tecnica.

Stipare 68.000 detenuti in condizioni logistiche adeguate ad un numero nettamente inferiore contrasta palesemente  con i principi della Carta costituzionale, in particolare l’articolo 27 (secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato) e l’articolo 32 (che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività), principi che non possono ammettere deroghe nemmeno in nome delle difficoltà economiche.

In una sentenza del 16 luglio 2009, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato per la prima volta l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (divieto di tortura e delle pene inumane e degradanti), proprio in ragione delle condizioni di sovraffollamento sopra descritte.

Infatti, secondo gli standard di riferimento utilizzati dalla Corte di Strasburgo, ogni detenuto ha diritto a 7 metri quadrati di spazio in cella singola e 4,5 metri quadrati in quella multipla: questa è la ragione per cui il nostro Paese è stato condannato al risarcimento di mille euro per aver inflitto un danno morale al cittadino bosniaco Sulejmanovic, un rom condannato per furto nel 2002.

Cambiare cultura, dunque, anche sul carcere: questo uno dei passaggi più importanti della relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2011 del primo presidente della Cassazione, in cui ha fatto appello alla politica, alla magistratura, nonché all’opinione pubblica e all’informazione.

“L’emergenza carceraria – ha osservato Lupo – chiama perciò in causa innanzitutto il legislatore che pare troppo condizionato dalla perdurante concezione panpenalistica che assegna alla risposta penale la sanzione di ogni comportamento deviante…Il difetto endemico del nostro sistema, a causa dell’eccessiva distanza temporale tra condanna ed esecuzione della pena, comporta sovente la spinta ad anticipare, in corso di processo o di indagini, il ricorso al carcere al fine…di offrire una risposta illusoriamente rassicurante alla percezione collettiva di insicurezza sociale…L’appello ai giudici a essere innanzitutto garanti della libertà e della dignità delle persone, va accompagnato da un altrettanto fermo appello all’opinione pubblica e, soprattutto, a chi ha responsabilità di informarla, formarla e orientarla. Non si può a giorni alterni, sotto la spinta di diverse emozioni, invocare la presunzione di innocenza contro i provvedimenti di cautela processuale per taluni indagati e indignarsi per la mancata adozione di misure carcerarie per altri indagati, anche in assenza dei presupposti di legge”.

Voltaire affermava che “Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”.

Per questo è giunto il momento di affrontare l’emergenza ed individuare interventi strategici che consentano, anche nel nostro Paese, un miglioramento strutturale di una situazione dannosa che umilia la dignità umana dei detenuti e degli operatori, inadeguata ad una nazione di grande civiltà e cultura giuridica come l’Italia.

Il decreto “svuota carceri”, preceduto da quello “salva Italia” (che ha riavviato il programma di edilizia carceraria) rappresenta senza dubbio un primo ed importante passo in avanti in tale direzione.

Finalmente si affronta un tema da sempre dimenticato e ridotto a un problema di mera edilizia penitenziaria o, peggio, strumentalizzato in chiave securitaria, secondo una logica che identifica nel reo un nemico pubblico da escludere, privo di diritti e garanzie, anziché un trasgressore della legge da rieducare ai valori della legalità.

Particolarmente significativa in tal senso è l’estensione a diciotto mesi del residuo di pena che consente ai detenuti di essere ammessi alla detenzione domiciliare (si potrebbe pensare di farli lavorare in vari settori socialmente utili, una volta liberati); questa disposizione non si applica ai reclusi per reati particolarmente gravi o soggetti al regime di sorveglianza particolare ed è comunque disposta caso per caso dal giudice  che acquisisce una relazione dal carcere sulla condotta penitenziaria del condannato.

Bisogna, tuttavia, fare attenzione che questa misura non comporti un aggravio eccessivo per le forze dell’ordine che, senza le risorse sufficienti per monitorare i detenuti domiciliari, rischiano di dover pagare penalmente il possibile aumento delle evasioni: ciò costituirebbe un’ingiustizia inaccettabile!

Il bilanciamento – realizzato da tale norma – tra difesa sociale ed esigenze di rieducazione (del condannato) è quindi, in un certo senso, la “cifra” del decreto-legge che è uscito dal Senato ulteriormente migliorato, soprattutto nelle parti volte a evitare le cosiddette “porte girevoli”, ossia l’ingresso in carcere di soggetti in attesa della convalida dell’arresto e che spesso vengono subito rilasciati a piede libero e, talora, addirittura senza che questo sia convalidato.

L’esigenza di arginare il fenomeno è del resto necessario non solo in funzione deflattiva della popolazione degli istituti penitenziari, ma anche e soprattutto perché, come dimostrano le statistiche, il maggior numero di suicidi in carcere si verifica proprio nei primi giorni di ingresso, quando i detenuti sono in attesa di giudizio e per giunta presunti innocenti.

Va dunque evitato il più possibile che, laddove non vi siano esigenze di difesa sociale, soggetti non pericolosi siano tradotti in carcere nella fase pre-cautelare.

In questa direzione, il testo prevede un sistema di custodia graduale, ispirato al principio della residualità della detenzione in carcere.

In sintesi, quale misura ordinaria da disporsi in caso di arresto per reati di competenza del tribunale monocratico (esclusi furto con strappo, in abitazione e rapina) si prevedono gli arresti domiciliari; solo in caso di indisponibilità di un domicilio o di luoghi di cura ovvero di pericolosità dell’arrestato, egli sarà condotto in strutture idonee nella disponibilità della polizia giudiziaria o, in caso di necessità, in carcere.

Il testo originario del decreto aveva sottostimato grandemente l’impatto della previsione della custodia presso le sole camere di sicurezza nella disponibilità delle forze di polizia, notoriamente inidonee a contenere stabilmente i detenuti in attesa di convalida; inoltre c’era il rischio che nei grandi tribunali il GIP dovesse peregrinare da un commissariato all’altro con inevitabili e pericolosi ritardi.

Questa previsione è un’importante conquista sul terreno delle garanzie: prevedere in prima istanza, e salvi i soggetti pericolosi, l’arresto domiciliare, serve infatti non solo a deflazionare le carceri, ma anche e soprattutto a non immettere nel circuito penitenziario persone che ne uscirebbero dopo due giorni, ma gravemente segnate da quell’esperienza, a dir poco traumatica.

Non si può non sottolineare che anche l’incremento dell’uso delle celle di sicurezza e della detenzione domiciliare, senza che gli stessi siano stati messi nelle migliori condizioni per farvi fronte (data l’esiguità di risorse umane e strumentali) richiede una vigilanza continua, distogliendo le forze dell’ordine dalle funzioni istituzionali, con particolare riferimento all’attività di controllo del territorio, laddove oggi la richiesta di maggiore sicurezza è una priorità assoluta; sarebbe quindi opportuno un innesto di nuovo personale, in relazione alla natura di questi compiti che richiedono operatività ed efficienza fisica.

Pienamente condivisibili risultano l’integrazione delle risorse finanziarie pari a circa 57,27 milioni di euro per l’adeguamento, potenziamento e messa a norma di infrastrutture carcerarie; l’estensione della partecipazione al dibattimento a distanza alla testimonianza di persone detenute; l’applicazione del regime delle visite in carcere (senza autorizzazione dell’amministrazione penitenziaria) ai parlamentari europei.

Da sempre, l’Unione di Centro auspica una rapida adozione di quelle misure organiche che in via strutturale vadano a modificare il sistema giudiziario, quali la depenalizzazione dei reati minori (cosiddetti bagatellari) e l’incentivazione delle pene alternative alla detenzione.

Opportuno, infine, sottolineare un’altra piaga del sistema carcerario, la situazione sanitaria: nonostante la legge sul riordino della medicina penitenziaria attribuisca a detenuti e internati diritti ben precisi, i morti per problemi di salute aumentano di anno in anno.

Finalmente superato, nella speranza che il termine di chiusura fissato al 1 febbraio 2013 sia sufficiente, degli ospedali psichiatrici giudiziari, in favore di strutture a vocazione essenzialmente terapeutica, garantite tuttavia dalla presenza all’esterno della polizia penitenziaria, così da coniugare esigenze di difesa sociale e diritti alla salute e alla dignità per gli internati.

Anche questo è un passo importante di civiltà giuridica, atteso da anni e non più rinviabile, segno di una rinnovata attenzione alle garanzie e ai diritti fondamentali, che speriamo possa essere il tratto caratterizzante di questa stagione politica.

In primo luogo, ma non solo, sul terreno della giustizia.

 

Contenuto normativo del testo del Decreto Legge

Il decreto-legge, nel testo trasmesso dal Senato, è composto da 9 articoli.

L’art. 1, al comma 01 introdotto dal Senato, integra il contenuto del comma 4 dell’art. 386 c.p.p., in materia di doveri della polizia giudiziaria in caso di arresto o di fermo, precisando che sono fatte salve le disposizioni di cui all’art. 558 sulla convalida dell’arresto e il giudizio direttissimo nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica. La disposizione chiarisce che per i reati di competenza del tribunale in composizione collegiale si può fare ancora ricorso in via prioritaria alla custodia in carcere dell’arrestato o del fermato.

Il comma 1, lett. a), dell’art. 1 riformula il comma 4 dell’articolo 558 c.p.p., in materia di convalida dell’arresto e giudizio direttissimo innanzi al tribunale in composizione monocratica, dimezzando da 96 a 48 ore i tempi massimi previsti per la convalida dell’arresto.

La lett. b) del comma 1 dell’art. 1 del decreto-legge è stata modificata dal Senato, in modo da  aggiungere due commi (4-bis e 4-ter) all’art. 558 c.p.p. Stabilisce, come regola generale, che il PM disponga la custodia dell’arrestato presso il domicilio (o in altro luogo di privata dimora o luogo pubblico di cura o assistenza). Per gli stessi reati, di competenza del tribunale in composizione monocratica, il PM dovrà, invece, ordinare la custodia del soggetto in idonee strutture nella disponibilità degli ufficiali o agenti della polizia giudiziaria, nel caso di mancanza, indisponibilità o inidoneità dell’abitazione ovvero nel caso in cui l’abitazione sia ubicata fuori dal circondario in cui è stato eseguito l’arresto ovvero ancora qualora l’arrestato sia ritenuto pericoloso. Sarà, invece, disposta la custodia nel carcere circondariale di esecuzione dell’arresto nei casi di mancanza, indisponibilità o inidoneità delle strutture della polizia giudiziaria ovvero se ricorrano altre specifiche ragioni di necessità o urgenza.

E’ previsto il ricorso alla custodia dell’arrestato in flagranza presso le camere di sicurezza del circondario quando la misura debba essere disposta per i delitti di scippo e furto in abitazione, salvo ricorra l’attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale, di rapina ed estorsione.

L’art. 2 reca modifiche alle norme di attuazione del c.p.p. Prevede che anche l’interrogatorio delle persone che si trovino, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione (e quindi non più soltanto l’udienza di convalida dell’arresto e del fermo) debba avvenire nel luogo dove la persona è custodita. Eccezione a tale regola è l’ipotesi che l’arrestato sia custodito presso la propria abitazione.

Il Procuratore capo della Repubblica dovrà predisporre le necessarie misure organizzative per assicurare il rispetto dei tempi previsti dal novellato art. 558.

Un’ulteriore modifica introdotta dal Senato concerne il comma 1-bis dell’art 146-bis delle disposizioni di attuazione del c.p.p. in tema di partecipazione al dibattimento a distanza: ove possibile e salva diversa motivata disposizione del giudice, è prevista l’audizione a distanza di testimoni in dibattimento a qualunque titolo detenuti presso un istituto penitenziario.

Si prevede poi che l’arrestato o fermato, ove abbia bisogno di assistenza medica o psichiatrica, debba essere preso in carico dal Servizio sanitario nazionale.

L’art. 2-bis, introdotto dal Senato in sede di conversione, modifica l’art. 67 dell’ordinamento penitenziario inserendo i membri del Parlamento europeo tra i soggetti che possono visitare gli istituti penitenziari senza preventiva autorizzazione. Un nuovo art. 67-bis precisa, inoltre, che la disciplina delle visite prevista dall’art. 67 si applica anche alle camere di sicurezza.

L’art. 2-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, integra l’elenco degli illeciti disciplinari dei magistrati nell’esercizio delle funzioni, prevedendo anche l’inosservanza da parte del giudice della novellata disciplina dell’udienza di convalida dell’arresto e dell’interrogatorio.

L’art. 3 del decreto-legge innalza da 12 a 18 mesi la soglia di pena detentiva, anche residua, per l’accesso alla detenzione presso il domicilio. Inoltre, la già prevista relazione del ministro al parlamento dovrà riguardare anche il numero dei detenuti e la tipologia dei reati cui si applica il beneficio della detenzione domiciliare introdotto dalla legge.

L’art. 3-bis, introdotto dal Senato, recauna disciplina speciale che estendela disciplina sull’ingiusta detenzione (art. 314 c.p.p.) ai procedimenti definiti prima dell’entrata in vigore del nuovo c.p.p. (24 ottobre 1989), purchè con sentenza passata in giudicato dal 1° luglio 1988. Si provvede poi alla copertura finanziaria per il 2012 degli oneri derivanti dall’attuazione dell’art. 3-bis, che sono quantificati in 5 milioni di euro.

L’art. 3-ter prevede la definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 1° febbraio 2013. Il processo di trasferimento delle funzioni sarà costantemente seguito dalla Conferenza unificata. Spetterà al Ministro della salute individuare gli ulteriori requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi che dovranno soddisfare le strutture destinate ad accogliere gli attuali internati negli OPG.

A decorrere dal 31 marzo 2013, le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia dovranno essere eseguite esclusivamente all’interno delle strutture sanitarie regionali. Da tale data, le persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose devono essere dimesse e prese in carico dai Dipartimenti di salute mentale territoriali. Sono autorizzate tutte le regioni (e le province autonome) ad assumere personale qualificato da dedicare al percorso terapeutico, riabilitativo e di reinserimento sociale dei pazienti internati provenienti dagli OPG. E’ prevista la copertura finanziaria dell’articolo e sono affidati al Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza il monitoraggio e la verifica dell’attuazione dell’articolo. Gli immobili già sede di OPG che dovranno essere dismessi saranno destinati a nuova funzione d’intesa tra il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, l’Agenzia del demanio e le regioni interessate.

L’art. 4 dispone in merito all’integrazione delle risorse finanziarie da destinare al potenziamento delle strutture penitenziarie. A tal fine, autorizza la spesa di 57 milioni e 277 mila euro per far fronte alle necessità di edilizia carceraria.

L’art. 5 reca la norma di copertura finanziaria.

 

Massimiliano Persemoli

 

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