Dismissioni e valorizzazione del patrimonio pubblico

eire 2012_milano Pubblichiamo il testo integrale della relazione svolta dall’on. prof. Pierluigi Mantini al Seminario di approfondimento “FOCUS Art. 27: la sfida della valorizzazione per Enti Locali, professionisti e operatori”, organizzato da Ge.Fi. in collaborazione con il Comitato Scientifico di Eire, all’interno della Conferenza nazionale EIRE 2012.

All’incontro, soggetti pubblici, società immobiliari e operatori finanziari sono stati concordi nel ritenere che la valorizzazione di aree e beni patrimoniali di proprietà degli Enti Locali e dello Stato possa costituire una straordinaria occasione di ripresa per il real estate italiano e quindi per tutto il sistema Paese.

Per garantire gli investimenti necessari a trasformare i patrimoni pubblici in risorsa strategica occorrono tuttavia modelli di governance, processi e strumenti innovativi. Sono inoltre indispensabili procedure urbanistiche flessibili, semplificazione amministrativa, certezza dei tempi e linguaggi finanziari inediti: un obiettivo che può essere raggiunto solo attraverso la collaborazione e la messa a sistema di competenze, esperienze e best practice tra tutti gli attori coinvolti. Per questo affrontare e vincere la sfida della valorizzazione significa dare all’industria immobiliare nel suo complesso l’opportunità di riscrivere il suo futuro.

 Dismissioni e valorizzazione del patrimonio pubblico

Tra soft administration e urbanistica concorsuale: introduzione, proposte

 a cura dell’On. Prof. Pierluigi Mantini

La dismissione del patrimonio pubblico immobiliare, previa valorizzazione, è diventata un capitolo fondamentale della politica economica e di bilancio dell’Italia. Un impegno scritto nelle manovre economiche presentate ai mercati e all’Europa per il risanamento del nostro Paese. 

Vi è stato, in questi mesi, un intenso lavoro legislativo che ha prodotto norme specifiche e un ottimo start up da parte dell’Agenzia del Demanio che ha promosso seminari con gli stakeholders in varie città, strutturato programmi e format entro cui indirizzare la collaborazione pubblico-privato, definito linee di azione per una vasta mobilitazione degli attori territoriali, a partire dalle intese con l’ANCI.

E’ infatti evidente che, anche in virtù dei trasferimenti dei beni del patrimonio pubblico dallo Stato agli enti locali, previsti dai decreti intitolati al cd. “federalismo demaniale” (Sia consentito rinviare, amplius, a Mantini P. Scaravaggi A., I fondi immobiliari nel federalismo patrimoniale. Profili giuridici, in Il Territorio, Rivista del Politecnico di Milano, 58/2011.), sono gli enti locali i principali protagonisti di questa nuova stagione, sia per quanto concerne i beni immobili propri che quelli trasferiti dallo Stato.

Naturalmente occorre dar conto subito di alcune questioni, a monte, ossia di carattere più generale, che presiedono alle politiche di attuazione.

La prima, che appare evidente, è di natura economica e consiste nel fatto che in epoca di crisi e di risorse scarse gli investimenti, e gli investitori disponibili, possono risultare anch’essi scarsi e le dismissioni poco convenienti. A tal proposito, è appena opportuno sottolineare che le dismissioni, intese come vendite, devono essere precedute da almeno due fasi preliminari: la dichiarazione pubblicistica che il bene immobile ha perduto il carattere di stretta strumentalità per il soddisfacimento dell’interesse o servizio pubblico; la fase della riconversione e della valorizzazione del bene al fine di una destinazione più attuale ed economicamente efficiente, nel quadro di un contesto sociale, territoriale, ambientale e architettonico, caratterizzato da un miglioramento qualitativo.

Dunque, non solo una vendita sic et simpliciter del bene (salvo rari casi), ma un’attività più complessa di valorizzazione che renda conveniente la vendita finale sia sotto il profilo dei ricavi economici e sia sotto il profilo della riqualificazione urbana e dello sviluppo economico.

Questo punto di partenza, ineludibile, apre altri due temi.

Il primo è quello delle regole della valorizzazione; il secondo, è quello degli strumenti. Solo in via introduttiva, perché i temi saranno ripresi più accuratamente nelle pagine che seguono, si può osservare che, se il programma nazionale di valorizzazione e dismissione degli assetts pubblici, che è frutto di una grave emergenza economica e punto di forza della contabilità dello Stato, si svolge secondo le regole ordinarie del governo del territorio, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Costituzione, della relativa legislazione comunale e delle prassi e delle regole dei PRG o PGT comunali, allora è prevedibile che i processi di implementazione saranno lunghi, complessi, e, nel migliore dei casi, eterogenei e assai diversi da caso a caso, da territorio a territorio. Si può obiettare che ciò è ineliminabile e che non è possibile ipotizzare uno scenario diverso. Ma su questo punto ci permettiamo di avanzare una diversa prospettiva.

Ed infatti, e proprio alla luce della giurisprudenza costituzionale, che ha più volte ricordato i confini del governo del territorio che assegnano allo Stato solo la competenza sui principi fondamentali delle materie incluse nel terzo comma dell’art. 117 Cost., sarebbe a nostro avviso necessario più coraggio da parte del legislatore, e dei principali attori, nella direzione di classificare le politiche di dismissione e valorizzazione come politiche di competenza esclusiva dello Stato, nell’ambito del coordinamento della finanza e della contabilità pubblica e dei principi di concorrenza. Come noto, la Corte Costituzionale, con sentenza 16 dicembre 2009, n. 340 ha stabilito che “è costituzionalmente illegittimo l’art. 58, comma 2 D.L. 25 giugno 2008 n. 112, conv., con modificazioni, in L. 6 agosto 2008 n. 133, esclusa la proposizione iniziale: «l’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica». Premesso che, pur se nella ratio dell’art. 58 sono ravvisabili anche profili attinenti al coordinamento della finanza pubblica, in esso assume carattere prevalente la materia del governo del territorio, rientrante nella competenza ripartita tra o Stato e le regioni, nella quale lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio, la disposizione censurata, – omissis – stabilendo l’effetto di variante ed escludendo che la variante stessa debba essere sottoposta a verifiche di conformità, con l’eccezione dei casi previsti nell’ultima parte della disposizione (la quale pure contempla percentuali volumetriche e termini specifici), introduce una disciplina che non è finalizzata a prescrivere criteri ed obiettivi, ma si risolve in una normativa dettagliata che non lascia spazi d’intervento al legislatore regionale, ponendosi così in contrasto con il menzionato parametro costituzionale (sentt. Corte Cost. n. 401 del 2007, e nn. 200 e 237 del 2009)”. Tuttavia, da allora, il quadro del coordinamento della finanza pubblica è cambiato anche sotto il profilo costituzionale con l’approvazione del nuovo art. 81 Costituzione.
Questo mutamento di inquadramento si impone alla luce del nuovo testo dell’art. 81 Costituzione e della legislazione relativa (in particolare, il cd. decreto “Salva Italia”). Si tratta di un cambiamento molto rilevante, anche perché “l’armonizzazione dei bilanci pubblici” è ora di competenza esclusiva dello Stato.

Ciò non vuol dire prevaricare, o non tener in conto, le prerogative delle regioni e, soprattutto, delle autonomie locali. Al contrario, vuol dire sostenere la semplificazione amministrativa al servizio dei principi nazionali ormai consolidati nel governo del territorio. Ciò consentirebbe di far deliberare dai consigli comunali (provinciali e regionali) titolari dei beni, l’elenco degli immobili da valorizzare e dismettere e, nel contempo, di liberalizzare le principali destinazioni d’uso. E consentirebbe di poter aprire alle proposte del mercato, sulla base di un progetto preliminare o di massima, il confronto sul miglior progetto di valorizzazione realizzabile, in forza del rendimento finanziario e della sostenibilità e della qualità del progetto.

In sostanza le politiche di dismissione e valorizzazione immobiliare potranno svolgersi, più efficacemente, nell’ambito di nuovi principi nazionali di semplificazione amministrativa e di urbanistica concorsuale. E’ molto importante che questo cambiamento possa esserci e abbiamo indicato in tal senso alcune soluzioni normative. “Non si può ballare il twist con abiti del Cinquecento”, secondo un motto che è spesso utilizzato dalla retorica contemporanea (feste in maschera a parte, n.d.r.).

Ebbene, pensare di attuare un programma nazionale di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, che è essenziale ed urgente per la finanza e la contabilità dello Stato, gli impegni internazionali ed europei, per il rispetto della par condicio concorsuale, attraverso la molteplicità delle regole e dei procedimenti amministrativi dell’“urbanistica” regionale e locale è un po’ come inserire un nuovissimo software in un vecchio hardware: il rischio è che non gira, non si legge, non funziona. Se ogni operazione di dismissione e valorizzazione di un singolo bene immobiliare deve essere trattata al pari di una comune trasformazione urbanistica, e con gli stessi “abiti”, è assai probabile che i tempi decisionali saranno lunghi e incerti, gli interessi locali e quelli della mediazione politica prevalenti, gli effetti ben diversi da comune a comune, in sostanza non si creeranno le condizioni per attrarre investitori e developers qualificati.

Occorrono invece condizioni favorevoli e omogenee, stabilite con principi nazionali immediatamente applicabili, ispirati alla cultura della soft administration (Per un approccio più ampio si rinvia a Mantini P., Soft administration. Semplificazioni, burocrazie efficienti, meno enti più sussidiarietà in www.farecentro.org).

Il secondo tema, strettamente connesso a quello del quadro delle regole, riguarda appunto la scelta del progetto e del soggetto. Se si pensa di procedere con un metodo classico, di tradizione, sostanzialmente dirigista, secondo cui è il comune o l’ente proprietario che stabilisce come trasformare una caserma dismessa o un ospedale in disuso o un mercato sulla costa non più attuale, attraverso piani e varianti, modifiche di destinazione d’uso e di indici planovolumetrici, piani attuativi, procedure finali di vendita, di convenzioni e atti di controllo edilizio, avremo una più che probabile difficoltà di attuazione e, soprattutto, una forte distanza dalla finanza e dagli operatori di mercato che devono “ricollocare” il bene immobiliare trasformato per una nuova ed attuale destinazione funzionale ed economica.

In altri termini, il progetto di valorizzazione deve nascere dal mercato: nessuno acquisterebbe una caserma dismessa o un faro se non sa cosa farne, a meno che non si tratti di un… “signore della guerra” o di un nostalgico ed eccentrico miliardario.

Occorre dunque che, accanto alle regole della soft administration, si faccia buon uso di due strumenti per far incontrare le esigenze pubbliche con quelle della finanza e del mercato: in primo luogo, attraverso l’ampio uso, da parte degli enti locali, dello strumento dei fondi immobiliari ad apporto pubblico; in secondo luogo, attraverso l’utilizzo di una innovativa procedura per la scelta delle SGR, società di gestione del risparmio, basata sui requisiti di affidabilità, sul rendimento finanziario offerto e ma, anche, sulla qualità del progetto di valorizzazione del bene.

Quanto al secondo, relativo alla scelta del partner finanziario e operativo, ossia del soggetto e del progetto, occorre richiamare quanto osservato sull’“urbanistica concorsuale” ossia: ai comuni, e ai soggetti pubblici proprietari del bene, compete la “liberalizzazione” delle destinazioni di uso nello stesso atto ricognitivo dei beni da dismettere, con effetti urbanistici, e l’indicazione di un’idea di massima o di un progetto preliminare; le SGR o i developers interessati, potranno presentare, a nostro avviso, secondo le regole del project financing mutuate dal d.lgvo 163 del 2006, e adattate ai servizi finanziari, un progetto di valorizzazione che sarà scelto dalla P.A., con criteri tecnici di trasparenza, e posto in un confronto concorsuale, entro un termine dato, con altri eventuali progetti.

E’ una prospettiva più efficiente e semplificata, che meglio potrebbe essere sorretta da una norma statale , senza alcuna compromissione delle prerogative costituzionali delle regioni anche alla luce del nuovo art. 81 Costituzione. In questo modo si può garantire, nel contempo, il quadro delle esigenze pubbliche, la rapidità delle decisioni, la creatività delle soluzioni finanziarie e di mercato, in una dimensione di trasparente competizione. Si favorisce la possibilità che progetti e investimenti nascano “dal basso” dal mercato dei servizi e dalle professionalità, e non siano solo imposti “dall’alto” delle Pubbliche Amministrazioni, spesso prive del necessario know how.

Anche la spending review, faticosa ma necessaria politica di contenimento dei costi inutili e di razionalizzazione della spesa pubblica, potrà in tal modo giovarsi, in campo immobiliare, di procedure efficaci e innovative, di risultati concreti non solo scritti nelle carte.

Naturalmente sarà a tal fine indispensabile il ruolo di coordinamento e di partnership degli enti locali e degli operatori svolto dell’Agenzia del Demanio, con le sue risorse tecniche e professionali.

Ma senza la cultura della soft administration e dell’urbanistica concorsuale si rischierebbe un fallimento, impossibile da sopportare nel rigoroso impegno di governo per il risanamento e la crescita del Paese.

 

On. Prof. Pierluigi Mantini

 

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