Il percorso a ostacoli della legge contro la corruzione e il rischio di un Paese dalla memoria troppo breve

bustarella Che cosa avrà pensato l’Europa nel vedere le immagini della soap opera degli scandali delle Regioni?

D ev’essere sfuggita dal cuore a Renata Polverini quell’espressione «l’antipolitica siamo noi» detta durante il balletto della sua uscita dal Palazzo della Regione Lazio, con la maschera dell’epuratrice implacabile, fiero l’occhio, svelto il passo di antica memoria. Proprio così. Una vera veggente.

Che cosa avranno pensato di fronte a quella vergognosa soap opera di terz’ordine piena zeppa di milioni di soldi pubblici rubati, i disoccupati, i precari, i giovani dal nebuloso futuro, i pensionati che non arrivano alla fine del mese, gli operai dell’Ilva di Taranto, quelli dell’Alcoa di Portovesme, i minatori della Carbosulcis? 

E che cosa avranno pensato i tedeschi, i francesi, i finlandesi, gli altri abitanti del continente europeo ai quali l’Italia chiede un aiuto solidale e pressante per sopravvivere, nel vedere le immagini che hanno fatto il giro del mondo, i romani al ballo in maschera, sul capo la testa di maiale in cui evidentemente si riconoscevano?

E adesso tutti a strillare contro la corruzione. In prima fila i figli e manutengoli di quel «sistema» chiamato proprio così come si autodefinisce la camorra. Gli italiani dimenticano subito, chissà se ora servirà da lezione questa gran bruttura o se di nuovo, tra non molto, i carnefici diventeranno le vittime. Com’è sempre accaduto o quasi nell’infelice Paese.

Basta ricordare quel che successe negli ultimi decenni del Novecento. Quando Enrico Berlinguer, uomo di alta moralità ? per lui la questione morale era questione politica ? che aveva capito quel che si muoveva nella società italiana, parlò nel gennaio 1977 della necessità del rigore, dell’equità, dell’austerità, suscitò anche dentro il suo partito una catena di reazioni. Fu accusato di «savonarolismo», di vocazione monacale, di essere un nemico della modernità.

Tutti felici, invece, ai tempi craxiani della Milano da bere, nei secondi anni Ottanta, tra sfilate di moda senza fine, feste, champagne e paillettes. Si capì dopo che sotto quel luccichio c’erano soltanto macerie e ruberie. Poi Mani pulite, dal 1992, gran clamore, senso di liberazione, i giudici osannati, la coda sempre più folta degli imprenditori corruttori e corrotti davanti alle porte della Procura di Milano per confessarsi e ottenere qualche beneficio di grazia. Finì presto. I magistrati diventarono gli artefici di tutti i mali, i corrotti poveri oppressi. Trionfarono i se, i ma, i però, nacque la Seconda Repubblica in cui divennero protagonisti molti di coloro che da quella grande corruzione avevano avuto vantaggi e protezioni.

E ora? Dovrebbe essere approvata dal Parlamento la legge che ha trovato davanti a sé ostacoli e resistenze di ogni genere, persino, adesso, un nuovo emendamento che, con il cambio di un avverbio, dovrebbe salvare Berlusconi dal processo Ruby.

L’Ocse, Transparency International Italia, il Groupe d’Etats contre la corruption del Consiglio d’Europa (il Greco) pungolano da anni l’Italia dilaniata dalla corruzione che danneggia economia e vita collettiva. Secondo la Corte dei conti l’impatto economico della corruzione nel settore pubblico è di circa 60 miliardi di euro l’anno e rappresenta una «tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini». Il presidente della Repubblica ha fatto quel che ha potuto; il presidente Monti, anche la settimana scorsa, ha promesso ogni sforzo del Governo.

La strada non è in discesa, ha detto: l’agghiacciante inchiesta di Milena Gabanelli in Report su Rai Tre di domenica scorsa ne ha spiegato le ragioni. Un centinaio di parlamentari indagati, rinviati a giudizio, condannati, fanno fronte comune per difendere se stessi. E sono loro che devono approvare la legge.I problemi irrisolti nel nostro Paese sono infiniti, resi più gravi dalla crisi che non è solo finanziaria, ma politica e sociale. La discussione generale è povera, modesta, personalistica ? il delirio dell’io ? legata alla polemica spicciola, agli interessi e agli odi di fazione. Le grandi questioni che documentano la vitalità intellettuale e l’esistenza stessa di un Paese che creda in se stesso non hanno rilevanza.

Guido Rossi è tra i pochi studiosi che con i suoi scritti sul «Sole 24Ore» riesce a rialzare il livello della discussione. Negli ultimi mesi ha affrontato problemi essenziali, il deficit di democrazia dannoso come il debito, lo Stato di diritto in crisi che si è trasformato in uno Stato dell’economia, la povertà, l’eguaglianza, le sbandierate ricette liberali prive di senno e, domenica scorsa, la corruzione con un grave appello al governo tecnico «affinché provveda con priorità assoluta alla riforma della legge elettorale, che porti alla diminuzione della corruzione e dei costi della politica e delle illegalità malavitose».

 

Corrado Staiano, Corriere della Sera

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