La Caritas: «Non rimandare all’inferno chi chiede asilo»

UNHCR-rifugiati

Il futuro delle 20 mila persone ancora in attesa di riconoscimento di uno status giuridico un anno dopo l’emergenza Nordafrica. E ancora, la creazione di un sistema di accoglienza sostenibile e chiarezza da parte del governo sui rifugiati in merito all’accordo con la Libia siglato il 3 aprile scorso dal ministro dell’Interno Cancellieri con il suo omologo libico.

Sono i temi chiave sui quali Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione della Caritas italiana, interverrà stamane a Roma alla Casa del cinema alla celebrazione della giornata mondiale del rifugiato organizzata dall’Alto commissariato Onu. Forti rappresenterà il Tavolo asilo, il cartello della società civile che aiuta i migranti. Il governo sarà rappresentato dal ministro della Cooperazione Andrea Riccardi.

Qual è il quadro della situazione dei richiedenti asilo a più di un anno dallo scoppio dell’emergenza Nordafica?
Per quanto riguarda le domande di asilo, nel 2011 sono state presentate poco più di 34 mila domande. Un incremento, rispetto agli anni precedenti, determinato dagli effetti della Primavera araba e della guerra in Libia.

Ma non uno tsunami umano…
No, si tratta di un numero che l’Italia può accogliere e integrare nonostante la crisi. Di questi, 20 mila sono attualmente ospitati nelle strutture convenzionate con la Protezione civile, tra cui quelle diocesane. Sono in attesa di risposta alla richiesta di asilo oppure hanno ricevuto un diniego dalle commissioni territoriali e hanno presentato ricorso. Abbiamo purtroppo anche le prime sentenze dei tribunali che respingono definitivamente i ricorsi. Siamo molto preoccupati perché provenendo da paesi dell’area subsahariana, sono lavoratori che si trovavano in Libia e che sono fuggiti dalla guerra, ma non hanno diritto allo status di rifugiato.

Cosa può accadere loro?
Che finiscano nell’irregolarità. Siamo contrari ai rimpatri forzati, ovviamente, e i dati provano che i rimpatri volontari hanno poca incidenza. L’anno scorso venne varato il pacchetto che prevedeva un biglietto aereo di rimpatrio e 200 euro di bonus, ma alla fine solo 70 persone sono effettivamente rientrate.

Per quale ragione?
Il progetto di chi migra, affrontando viaggi pericolosi anche in mare è lavorare per garantire un futuro alla propria famiglia, per far studiare e garantire cure ai figli. Chi invece è fuggito da persecuzioni e guerre con la famiglia, è stato così profondamente segnato dalle esperienze traumatiche vissute e ha bisogno di aiuto. Come ha ricordato il Santo Padre, è un diritto dell’uomo avere una famiglia, compito degli Stati è consentire i ricongiungimenti ai rifugiati.

Cosa chiedono il tavolo asilo e la Caritas italiana?
Un permesso umanitario per questi 20 mila fuggiti dalla Libia che ne consenta l’inserimento in Italia e in Europa.

Ma è compatibile con la crisi?
La vicenda dei tunisini è esemplare. Chi ha avuto il permesso umanitario si è inserito sul territorio nonostante la crisi oppure è andato in altri Paesi o è rimpatriato. Una situazione che si può replicare con i “libici” e che ci consentirebbe informalmente di condividere l’aiuto con altri partner europei.

Quali sono le prospettive del sistema di accoglienza?
Va cambiato in un sistema sostenibile. Le convenzioni con la Protezione civile scadono il 31 dicembre, dopo di che moriranno anche esperienze di accoglienza positive. Noi chiediamo un progetto oltre l’emergenza per incidere anche sull’integrazione di rifugiati con permesso che spesso nelle città non vengono accompagnati e finiscono a occupare strutture fatiscenti.

E cosa direte sull’accordo italo-libico il cui verbale è stato pubblicato dalla «Stampa»?
Anzitutto che avremmo preferito conoscere i contenuti, peraltro generici, direttamente e non in modo rocambolesco. Non credo che il governo voglia consentire i respingimenti in mare, per i quali siamo stati condannati dalla Corte di Strasburgo. Però l’accordo non fa cenno al fatto che in Libia arrivano anche rifugiati e che questo paese, che non ha siglato la Convenzione di Ginevra, deve trattarli adeguatamente. Su questo chiediamo chiarezza.

 

Paolo Lambruschi, Avvenire

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