La lunga deriva dell’economia Greca dal boom al crollo del Pil del 12%

 

Il piano da 130 miliardi dovrebbe tamponare, ma i disoccupati sono al 20% Il peso dei sacrifici Circa 40 miliardi tra tagli furibondi alla spesa pubblica e nuove imposte. A casa 150 mila statali su 700 mila.

 

Cinque manovre in neanche due anni: circa 40 miliardi di euro tra tagli furibondi alla spesa pubblica e nuove imposte. Nell’altra colonna più o meno 250-265 miliardi di aiuti, promessi da Unione europea e Fondo monetario internazionale. Ma la Grecia continua a rotolare fuori controllo su una scarpata dolorosa, tra scontri di piazza e drastico impoverimento sociale. Giù verso il bivio drammatico del 20 marzo, quando o il governo rifinanzia titoli di Stato in scadenza per 14,4 miliardi di euro o il progetto di una Grecia moderna ed europea cade nel vuoto del «default».

Comanda il debito L’ agenzia di rating Fitch dà per certo il fallimento, più o meno pilotato, della Grecia. La massa dell’ indebitamento ha cancellato ogni logica nella dinamica dei conti pubblici e ora sta sommergendo l’ economia reale, cioè il lavoro, i risparmi, le retribuzioni dei cinque milioni di greci attivi (la popolazione totale è di 11 milioni di abitanti). Nel 2010 l’ allora primo ministro, il socialista George Papandreou, dichiarò che il dissesto del bilancio. Investitori di lungo periodo e rapaci speculatori sul breve cominciarono subito a studiare la stratificazione del debito pubblico, che aveva raggiunto un livello grottesco: 144% sul prodotto interno lordo. Nel maggio 2010 l’ Unione europea assegnò ad Atene un primo «kit» di pronto soccorso: 110 miliardi da spalmare su tre anni. E non a caso fu chiesto a Papendreou non solo di tagliare la spesa (è la prima manovra da 6,5 miliardi di euro), ma di abbattere l’ esposizione accumulata con un ambizioso piano di privatizzazioni. Il leader greco si impegnò per 50 miliardi di incassi entro il 2015 (termine poi spostato al 2017). L’ anno scorso ci furono grandi manifestazioni di piazza contro «le svendite di Stato». Inutili, perché di fatto nessun compratore si è fatto avanti. Il «sistema Grecia», anche se in saldo, non attira i capitali stranieri. Al momento le privatizzazioni sono ancora in rodaggio (solo 1,5 miliardi di entrate) e comunque non sembrano essere la leva giusta per risalire. In parallelo il nuovo governo «semi-tecnico», guidato dall’ ex vice presidente della Bce, Lucas Papedomos, ha negoziato una sorta di concordato fallimentare con le banche straniere creditrici (tedesche e francesi soprattutto). E ora si dice pronto a raggiungere l’ accordo entro il 17 febbraio, ottenendo la cancellazione del 70% del valore sui titoli da rimborsare. Sarebbe l’ unico risultato positivo e di effetto immediato per le casse greche: lo stock del debito sarebbe ridotto di 100 miliardi di euro. Anche se ne resterebbe sempre una pila altissima: a termine 250 miliardi, pari al 120% del prodotto interno lordo (oggi è 160%).

Misure disperate L’ altro punto di crisi, naturalmente, è il deficit che si è attestato tra il 9,5 e il 10% rispetto al pil negli ultimi due anni. Dal 2010 a oggi, considerando le cinque manovre fondamentali di aggiustamento (due nel 2010, due nel settembre 2011 e quella attuale), il governo Papendreou e poi quello di Papademos hanno compilato un catalogo di tagli micidiali. Primo capitolo, quello più a portata di mano: la previdenza. Il leader socialista ha innalzato a 65 anni l’ età pensionabile per le donne; ha ridimensionato gli assegni di anzianità e cancellato quelli di reversibilità; ha legato l’ indicizzazione delle rendite all’ andamento del pil e altro ancora. Poi è passato al pubblico impiego, l’ altra polpa della spesa pubblica: tredicesime e quattordicesime ridotte a presenza simbolica; stipendi congelati e in alcuni casi ridotti. Tra gli ultimi atti del governo Papandreou (settembre 2011), la messa in mobilità di 30 mila dipendenti statali. Infine la casa. Uno dei due provvedimenti dello scorso settembre era interamente consacrato alla tassazione degli immobili, da cui l’ esecutivo conta ancora di recuperare 2,5 miliardi di euro. In un primo tempo il prelievo doveva durare solo un anno, ma neanche venti giorni dopo, i ministri del gabinetto Papendreou l’ hanno esteso fino al 2014. Sembrava lo sforzo limite, ma Papademos è andato ancora più in profondità. E arriviamo alla manovra ieri all’ esame del Parlamento di Atene. Altri 3,3 miliardi di «sacrifici», studiati dal ministro delle finanze Evangelos Venizelos. Un’ altra strizzata alle pensioni e licenziamenti di massa nel pubblico impiego. Gli statali in Grecia sono 750 mila, una folla. La nuova guida del Paese vuole lasciarne a casa 150 mila entro il 2015 e 15 mila da subito. Ma la mossa che davvero fa capire quanto sia disperata la situazione è la decurtazione del salario minimo dai 750 euro lordi a 580.

Come affonda un Paese Certo, ora sembra quasi incredibile ricordare che solo nel 2004, la Grecia era considerata (e si autorappresentava) come il Paese-rivelazione dell’ Unione europea. Ancora nel 2006 il pil cresceva del 5,6%, nel 2007 del 4,28%. Poi la discesa fino al sottozero del 2009 (-2,04%) e del 2010 (-4,47%). Quattro anni di apnea, se si aggiunge il -6% nel 2011, per un totale del 12%, e il previsto -3% per il 2012. Dall’ inizio della crisi la Grecia ha perso, in termini assoluti, circa 65 miliardi di ricchezza prodotta (su un pil totale che oggi vale un po’ meno di 300 miliardi). A differenza di altri casi (la bolla immobiliare in Irlanda o Spagna per esempio) è difficile indicare una causa scatenante. L’ economia greca si è semplicemente e drammaticamente sfasciata contro la crisi mondiale. Il sistema industriale, in gran parte dominato dalla mano pubblica, non ha retto. Il turismo non poteva essere sufficiente. Inoltre il dinamismo degli ultimi anni ha favorito lo sviluppo di un ceto parassitario devastante per le casse dello Stato. Si stima che l’ evasione fiscale in Grecia superi i 30 miliardi di euro, vale a dire quasi l’ equivalente (40 miliardi) delle entrate regolari. Il punto di caduta di tutto ciò si riassume con il tasso di disoccupazione: 20% (quello ufficiale), 50% se si considerano solo i giovani. Tra mille dubbi e diffidenze (non solo tedesche in verità), l’ Unione europea si è mossa a strappi. La prima tranche di aiuti risale al maggio del 2010: 110 miliardi in tre anni.

L’ ultima sponda degli aiuti Da allora è cominciato un negoziato permanente. Ora la «troika» formata da Ue, Fondo monetario e Banca centrale, agita sotto il naso di Papademos un assegno da 130 miliardi, che potrebbero diventare 145 se si aggiungono 15 miliardi per salvare le banche elleniche. Per adesso siamo fermi qui, ancora con gli stivaloni d’ emergenza. Poi, se la Grecia tornerà in superficie, si dovrà porre anche il problema di come dare una prospettiva sostenibile al Paese. Un solo esempio: nel nuovo Trattato sulla disciplina di bilancio c’ è una regola (l’ Italia la conosce bene) che impone di tagliare di un ventesimo ogni anno lo stock di debito che eccede il 60% in rapporto al Pil. È pensabile che «questa» Grecia, chiunque sarà al governo, potrà essere in grado di onorare quel vincolo? Evidentemente no, e allora, se non si interviene in qualche modo, c’ è il rischio di ricominciare.

Schäuble Per il ministro delle Finanze tedesco, la Grecia verrà comunque salvata in un modo o nell’ altro, ma deve diventare competitiva

Dallara Secondo il direttore dell’ Istituto di Finanza internazionale (Iif) i politici greci devono capire bene ciò che è in gioco

 

Sarcina Giuseppe, Corriere della Sera, 13 febbraio 2012

 

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