La Camera approva il decreto scuola

La capogruppo del Partito Democratico in Commissione Cultura alla Camera dei deputati, Flavia Piccoli Nardelli, è intervenuta in Aula per la dichiarazione di voto sul decreto scuola che intende garantire la continuità didattica, la stabilità per 8 milioni di alunni e per una comunità scolastica di più di 9 milioni di persone, assicurando certezze a chi investe nella scuola la propria professionalità e competenza.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126, recante misure di straordinaria necessità ed urgenza in materia di reclutamento del personale scolastico e degli enti di ricerca e di abilitazione dei docenti (A.C. 2222)
Giovedì 28 novembre 2019
Dichiarazione di voto dell’on. Flavia Piccoli Nardelli

Presidente, On.li Colleghi, quello che vorremmo con la conversione in legge di questo decreto è innanzitutto garantire la continuità didattica, la stabilità per 8 milioni di alunni e per una comunità scolastica di più di 9 milioni di persone, assicurando certezze a chi investe nella scuola la propria professionalità e competenza.

Negli ultimi anni si sono succeduti interventi legislativi di ampia portata che hanno cercato di intervenire sul sistema scolastico, con risultati diversi, ogni volta con la speranza di mettere un punto definitivo su temi dolorosi come il precariato, la mancanza di continuità didattica, l’accavallarsi contraddittorio di troppe norme.

Tutti i provvedimenti hanno scontato la comprensibile diffidenza e purtroppo spesso il senso di estraneità di parte del mondo della scuola di fronte ad interventi normativi tesi ad aggiornare il sistema scolastico, di cui solo in parte siamo riusciti a far comprendere la necessità.

Con un apparente paradosso: perché se da un lato abbiamo bisogno di garantire continuità e coerenza agli interventi legislativi affinché non si contraddicano reciprocamente e di garantire continuità didattica alle classi affinché docenti stabili possano guidare l’intero processo educativo, dall’altro lato abbiamo bisogno più che mai di intelligenti “discontinuità” che consentano a studenti e docenti di confrontarsi criticamente con i rapidissimi mutamenti del mondo attuale adeguando  progressivamente l’offerta e gli esiti formativi della nostra scuola.

Presidente, il Partito Democratico ha sempre fatto della scuola una delle sue battaglie identitarie. E continuerà a farlo.

Noi non dimentichiamo che il nostro è stato a lungo un Paese “Senza sapere” come ci ricorda Giovanni Solimine nel suo libro “Il costo dell’ignoranza in Italia”. Un fenomeno che ha origini remote e radici profonde. I ritardi si recuperano con grande fatica, malgrado le ingenti risorse investite e i progressi registrati.

La carenza di conoscenze e di competenze è un nemico che abbiamo più volte battuto ma mai definitivamente sconfitto: penalizza ancora oggi lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese, frena una crescita armonica ed equilibrata.

Anche perché gli squilibri interni sono ancora molto significativi. Tutte le analisi mostrano infatti risultati ben diversi nei differenti territori. Certo, stiamo recuperando posizioni, ma molto – troppo – lentamente. Continua ad essere alta la dispersione scolastica, alto il numero dei cosiddetti NEET (cioè giovani che non lavorano, non studiano e non sono impegnati in apprendistato o tirocini), basso, rispetto alle medie europee, il numero di coloro che conseguono un diploma di scuola secondaria di secondo grado o un diploma di laurea.

Per queste ragioni abbiamo dedicato molto tempo e grande attenzione a questo decreto-legge che oggi arriva al voto in aula. Il lavoro intenso e condiviso dei parlamentari di maggioranza ha permesso di affrontare il testo normativo con lungimiranza e progettualità. La discussione del provvedimento in due Commissioni, la “Cultura” e la “Lavoro”, invece di rallentare il lavoro parlamentare, come purtroppo a volte accade, hanno portato a convergenze fruttuose, talora anche con parlamentari dell’opposizione.

Ci siamo confrontati, abbiamo svolto audizioni e dato dignità a voci inascoltate del personale scolastico e universitario, abbiamo proposto migliorie intervenendo con serietà e responsabilità, superando barriere ideologiche, affrontando in maniera coesa i grandi problemi che affliggono il mondo dell’istruzione e della ricerca.

Questo lavoro ha prodotto un pacchetto condiviso di emendamenti della maggioranza su temi rilevanti del decreto-legge, che recepiscono in gran parte le richieste e le osservazioni emerse dal confronto con il mondo della scuola, dell’università e della ricerca, con le organizzazioni sindacali e con coloro che operano quotidianamente a contatto con gli studenti.

Le misure introdotte danno risposte a problemi reali ed urgenti del sistema scolastico, dopo mesi di non-gestione del governo che ci ha preceduto. Il nostro governo, entrato in carica solo due mesi fa, ha deciso di affrontare immediatamente la situazione di stasi forzata ereditata dal ministro Bussetti, che non solo non aveva previsto nemmeno un posto in più da assegnare ai docenti precari, non solo aveva bloccato l’emanazione dei bandi concorsuali previsti dal decreto legislativo n. 59 del 2019 e cancellato il nuovo percorso di reclutamento e formazione iniziale degli insegnanti della scuola secondaria, ma addirittura aveva anche tagliato il numero delle assegnazioni di nuovi posti per il 2019/20 a fronte di un provvedimento come quota 100 che ha colpito la scuola in misura più ampia che altre pubbliche amministrazioni causando il deciso aumento del numero di cattedre improvvisamente vacanti.

Con questa situazione, ereditata, di importanti carenze di organico, questo decreto ha inteso confrontarsi e porre possibili urgenti rimedi. Certo non è stato possibile affrontare e risolvere tutte le questioni aperte, ma almeno le principali sì.

Nel 2020 un concorso straordinario riservato stabilizzerà in ruolo 24.000 insegnanti della scuola secondaria che da anni lavorano in forma precaria all’interno della Scuola e consentirà che la arricchiscano definitivamente della grande esperienza che hanno maturato. Al contempo offre un’occasione di conseguire l’abilitazione all’insegnamento per quanti non riusciranno a figurare nel novero dei vincitori.

Sempre nel 2020 un altro concorso, stavolta ordinario, consentirà ad altri 24.000 giovani che vogliono dedicarsi all’insegnamento di misurarsi con la sfida concorsuale, con l’obiettivo che nuovi insegnanti giovani possano portare nuovo entusiasmo, nuova professionalità, nuove tecnologie alla nostra Scuola.

Le due procedure concorsuali, distinte ma contestuali, opereranno senza procedere a sanatorie, coerentemente con quanto era stato stabilito dal decreto legislativo n. 59 del 2017, con grande equilibrio e attenzione ai diritti di tutti, a cominciare da quelli degli studenti.

Al concorso straordinario potranno partecipare per l’acquisizione dell’abilitazione anche i docenti delle scuole secondarie paritarie. Dopo un lungo percorso di lavoro con l’obiettivo di eliminare alcune disfunzioni di questo settore del sistema pubblico dell’istruzione, abbiamo così conseguito un importante risultato di estensione dei diritti degli insegnanti anche agli insegnanti delle paritarie.

Lo stesso provvedimento è stato esteso ai docenti che avessero maturato gli anni di servizio nei percorsi di istruzione e formazione professionale, nonché ai docenti di ruolo in altro grado o classe di concorso (i cosiddetti “ingabbiati”).

Nel corso della discussione in aula sono emersi due punti specifici ai quali vorrei dedicare qualche parola.

Il primo punto è quello, richiesto da più parti, del riconoscimento del titolo universitario di dottore di ricerca come abilitante all’insegnamento secondario. Sappiamo tutti che la Corte Costituzionale si è già autorevolmente espressa così: “Abilitazione all’insegnamento e dottorato di ricerca costituiscono il risultato di percorsi diretti a sviluppare esperienze e professionalità diverse, in ambiti differenziati e non assimilabili”. D’altra parte è giusto che chi ha conseguito il massimo titolo di studio universitario con un percorso almeno triennale di ricerca di alto livello possa avere riconosciuto in misura congrua questo risultato quando decidesse di volersi dedicare all’insegnamento secondario. E’ interesse della scuola e dunque del Paese avere come insegnanti questi giovani particolarmente preparati nella loro disciplina.

Per questa ragione il decreto che oggi votiamo ha reso finalmente stabile la norma che prevede un punteggio aggiuntivo per i dottori di ricerca nei concorsi per l’insegnamento, fissandone anche la misura nel 20% del complesso del punteggio riservato ai titoli dei concorrenti.

Il secondo punto è quello degli insegnanti di religione, questione certamente importante e delicata. Siamo pienamente consapevoli della delicatezza del ruolo che essi svolgono, ma lo siamo altrettanto della delicatezza di un percorso di carriera che è legato al senso di responsabilità esercitato anno per anno e confermato attraverso una licenza specifica. Comunque desidero sottolineare che, all’interno di questo necessario e difficile equilibrio, il decreto al nostro esame autorizza finalmente un nuovo concorso per insegnanti di Religione Cattolica, dopo gli anni di vuoto seguiti all’ultimo concorso, svoltosi addirittura nel lontano 2004.

Il tempo stringe e non posso entrare nei dettagli di altri interventi riguardanti il mondo scolastico inseriti nel decreto. Li cito solo per sommi capi:

  • tenendo conto dei tempi necessari per la predisposizione e la messa a punto delle procedure concorsuali, la maturazione del requisito di partecipazione è stata estesa anche al corrente anno scolastico mentre il termine iniziale è stato anticipato all’anno scolastico 2008/2009;
  • sono state riaperte le graduatorie di terza fascia con proroga fino all’anno scolastico 2022/2023;
  • sono stati ammessi con riserva alla procedura straordinaria per il sostegno anche gli specializzandi che stanno frequentando il quarto ciclo dei relativi percorsi di specializzazione;
  • è stata stabilita la trasformazione del contratto di lavoro in contratto a tempo determinato per i diplomati magistrali ccon sentenza sfavorevole nel relativo contenzioso, con l’obiettivo di garantire insieme continuità didattica e riconoscimento del ruolo giuridico agli aventi titolo sin dal corrente anno scolastico;
  • sono state inserite le competenze relative alle metodologie e tecnologie della didattica digitale e della programmazione informatica quale materia di formazione e di prova del personale docente;
  • viene consentito ai docenti impegnati nei progetti cosiddetti “salva precari” finanziati e svolti in passato da alcune Regioni (Puglia, Sardegna, Sicilia e Friuli-Venezia Giulia) di far valere il relativo servizio ai fini della partecipazione al concorso;
  • per i cosiddetti ex LSU è stato prorogato di due mesi il termine per la stabilizzazione nel comparto scuola, con una seconda fase che permetterà di recuperare i posti rimasti eventualmente disponibili grazie a procedure di mobilità volontaria.

Passando rapidamente ad un altro tema – gli enti pubblici di ricerca – le misure di questo decreto-legge si inquadrano nella riforma, ancora in corso, introdotta dal decreto legislativo n. 218 del 2016, che ha profondamente inciso sugli strumenti di programmazione del reclutamento, valorizzando l’autonomia responsabile degli enti.

È stata quindi un’occasione importante nella direzione di correggere alcune distorsioni e rigidità che si sono evidenziate nell’applicazione delle norme di quel decreto legislativo, ponendo condizioni più eque e di proroga dei termini per restituire prospettive e valorizzare i ricercatori degli EPR nelle procedure di trasformazione dei loro contratti di lavoro in contratti a tempo indeterminato, sgomberando il campo anche da alcuni problemi interpretativi riguardo all’articolo 20 della legge n. 75 del 2015, la legge Madia, mentre al MIUR è stata affidata un’importante azione di monitoraggio e controllo su tutte le procedure di stabilizzazioni che eviti elusioni e scappatoie.

Più limitati gli interventi in campo universitario, per il quale è stata prolungato il periodo di validità delle abilitazioni nazionali da sei a nove anni e sono stati prorogati i termini stabiliti dalla Legge Gelmini 240/2010 per la chiamata diretta nel ruolo superiore di chi ha conseguito la corrispondente abilitazione scientifica nazionale.

Molti altri sono i punti del sistema istruzione e ricerca su cui il decreto-legge interviene in modo migliorativo, ma, per ragioni di tempo, ho preferito citare solo i principali.

Presidente, noi speriamo di aver condotto un buon lavoro di miglioramento, nel senso della chiarezza e dell’equilibrio e nell’interesse di un settore fondamentale e strategico della nostra società, del testo proposto dal Governo.

Certo, non tutto ciò che era necessario è stato possibile realizzarlo in questa sede. Un solo esempio tra i tanti: occorre assolutamente riprendere il tema della formazione e del reclutamento degli insegnanti della scuola secondaria, rimasto insoluto e monco con l’abolizione del percorso FIT operata dal Ministro Bussetti. Senza un nuovo stabile sistema efficace di reclutamento e formazione iniziale degli insegnanti, che punti a risolvere al contempo anche l’ormai storico problema di un accesso al ruolo che impone da decenni un defatigante e umiliante percorso di precariato, è uno dei prossimi urgenti obiettivi strategici di intervento sul sistema scolastico che ci vogliamo porre.

Signor Presidente, noi speriamo di aver condotto un buon lavoro. Se lavoreremo con lo stesso impegno aperto e intelligente che abbiamo posto nella discussione su questo decreto-legge non dubito che coglieremo presto altri importanti risultati per la scuola, per l’università, per la ricerca: lo meritano davvero e lo esige il nostro futuro.

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