Le priorità del nuovo bilancio Ue

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Il 29 giugno 2011 la Commissione europea ha definito la sua proposta riguardo al Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) 2014-2020, su cui si dovrà raggiungere un accordo politico nella sessione speciale del Consiglio europeo del 22-23 novembre prossimo a Bruxelles.

L’accordo dovrà avvenire sulla base delle indicazioni presentate dal Presidente Van Rompuy d’intesa con la Presidenza di turno cipriota e con il Presidente della Commissione. Il regolamento relativo al QFP deve poi essere adottato dal Consiglio all’unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo.

Regola del pollice
Le indicazioni della Commissione sono già molto modeste in quanto prevedono per i prossimi sette anni un ammontare complessivo di stanziamenti di impegno pari a €1.025 miliardi (1,05% del Pil europeo) e di €972,2 miliardi (1% del Pil europeo) per gli stanziamenti di pagamento. A sua volta, la Presidenza cipriota ha presentato il 18 settembre un Negotiating Box senza precise indicazioni quantitative, ma che prevede principalmente una riduzione degli aiuti diretti agli agricoltori per finanziare le politiche di promozione della ricerca.

Sulla proposta della Presidenza cipriota, in particolare sulla riduzione prevista di €50 miliardi rispetto all’ammontare indicato dalla Commissione, si sono già espressi in termini fortemente negativi i negoziatori del Parlamento europeo, affermando che queste proposte mettono in pericolo le politiche dell’Unione. Ma alcuni paesi, in particolare nordici, spingono per ulteriori riduzioni delle risorse di bilancio disponibili per i prossimi sette anni.

In realtà, questa discussione sul bilancio tiene conto unicamente delle difficoltà dei governi che sono stati costretti ad adottare politiche restrittive per consolidare in tempi brevi le finanze pubbliche, ma trascura totalmente i caratteri della situazione in cui si trova l’Europa dopo l’inizio nel 2008 e la più grave crisi economica del dopoguerra. In particolare, un dibattito che prenda in seria considerazione il futuro dell’Unione monetaria dovrebbe tener conto di questi punti:

  1. senza sviluppo non è possibile il consolidamento della finanza pubblica. È una “regola del pollice” consolidata che per ogni punto in meno di crescita del Pil si generi automaticamente mezzo punto in più di disavanzo, attraverso la contrazione delle entrate e l’aumento della spesa pubblica per il safety net;
  2. la teoria degli effetti anti-keynesiani della politica fiscale, ossia che il consolidamento fiscale abbia effetti positivi sulla crescita, si fonda sull’ipotesi che la riduzione dei disavanzi migliori le aspettative in quanto consente di prevedere una riduzione del prelievo, e quindi un aumento del reddito disponibile. Ma questa ipotesi è contraddetta dall’esperienza di tutti i paesi europei nel corso della crisi;
  3. l’analisi di derivazione keynesiana è stata recentemente confermata dal Fondo monetario internazionale (Fmi). In particolare, il capo-economista del Fondo Olivier Blanchard ha stimato un valore del moltiplicatore fiscale superiore a uno, e compreso fra 0,9 e 1,7. E questo significa che gli effetti restrittivi conseguenti a una contrazione del reddito disponibile a seguito di un aumento del prelievo sono normalmente maggiori della variazione della pressione fiscale;
  4. gli effetti di politiche restrittive condotte simultaneamente nei diversi paesi dell’eurozona si rafforzano a vicenda in quanto la diminuzione del reddito in un paese si trasmette sul livello delle importazioni, e quindi sulle esportazioni degli altri paesi dell’area;
  5. le regole del fiscal compact devono essere osservate in quanto non è possibile fondare la ripresa sulla crescita del debito, ma se gli stati membri della zona euro sono obbligati al rigore, ossia a consolidare la finanza pubblica, all’Europa spetta di sostenere la crescita.

Ambizioni
Un dibattito serio sul bilancio pluriennale dovrebbe partire da queste considerazioni e definire un quadro di politica economica che consenta da un lato di portare a buon fine il processo di risanamento della finanza pubblica e, al contempo, di avviare una nuova fase di sviluppo dell’economia europea. In proposito si possono avanzare sinteticamente le seguenti osservazioni:

  1. per sostenere la crescita occorre aumentare le dimensioni del bilancio. Se alcuni paesi non sono disposti ad accettare questa decisione, i paesi dell’eurozona possono decidere di finanziare con nuove risorse un bilancio separato dell’Unione monetaria destinato a sostenere lo sviluppo dei paesi membri, lasciando invariato all’1% il bilancio dell’Unione;
  2. le nuove risorse possono essere fornite da una carbon tax (il cui gettito, sulla base di un tasso pari a €20/tCO2 come proposto recentemente dalla Commissione europea, potrebbe superare i 50 miliardi di euro) e da una tassa sulle transazioni finanziarie;
  3. il bilancio dell’eurozona dovrebbe finanziare unicamente spese di investimento (infrastrutture, reti europee, banda larga) e beni pubblici europei capaci di favorire la transizione verso un modello di sviluppo sostenibile e di garantire al contempo la competitività delle imprese europee (ricerca e innovazione, istruzione superiore, energie rinnovabili, protezione dei beni naturali, artistici e culturali, mobilità dolce);
  4. risorse pari inizialmente a €50 miliardi potrebbero finanziare in pochi anni nuovi investimenti per un ammontare di circa 300-500 miliardi, garantendo un sostegno efficace alla ripresa dell’economia europea e garantendo l’avvio di un nuovo modello di sviluppo.

Una politica di bilancio così rinnovata nei paesi dell’eurozona rappresenterebbe un passo in avanti decisivo verso un’Unione fiscale, che è stata sostenuta anche dal governo tedesco. Anche se con l’indicazione precisa che un’Unione fiscale destinata a sostenere lo sviluppo e a promuovere il risanamento dei paesi deboli deve essere accompagnata dalla creazione di un istituzione politica europea dotata di adeguati poteri di controllo.

L’uscita dal tunnel della crisi favorita da una politica di investimenti e di produzione di beni pubblici europei garantirebbe al contempo il sostegno dell’opinione pubblica per la fondazione di un’Unione politica di natura federale, sia pure inizialmente limitata ai paesi dell’eurozona.

 

Alberto Majocchi su affarinternazionali.it è professore di Scienza delle Finanze presso l’Università di Pavia.

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