Ministro Salute: “rivedere tetti spesa e più borse di studio specializzandi”

Il Ministro della Salute, Roberto Speranza, torna in Parlamento e risponde alle domande delle Commissioni Sanità riunite di Camera e Senato dopo la sua audizione sulle linee programmatiche dello scorso 24 ottobre: “Rivedere tetti spesa, nuovi criteri riparto e più borse di studio specializzandi”

 ROBERTO SPERANZA, Ministro della salute. «Oggi ho preparato una relazione scritta di una ventina di pagine che prova a rispondere, nel dettaglio, ai singoli quesiti che mi sono arrivati.

  La premessa è un apprezzamento per il confronto costruttivo e approfondito che tutte le forze politiche hanno voluto portare a questa discussione nella precedente audizione, e proverò a fornire tutti questi elementi, a partire dall’indicazione dei contenuti della nostra manovra di bilancio, approvata poche settimane fa, su cui molti di voi negli interventi mi hanno chiesto delucidazioni più puntuali. Allora la manovra era ancora in fase di discussione, almeno per quanto riguarda il confronto all’interno del Consiglio dei ministri, ora – come è noto – la manovra è al Senato, quindi abbiamo almeno la certezza del pezzo di lavoro fatto dal Governo.

  Per quanto riguarda l’articolo 9, in materia di edilizia sanitaria, si prevede un incremento delle risorse pluriennale per gli interventi in materia di edilizia sanitaria e di ammodernamento tecnologico del patrimonio nel complesso pari a 2 miliardi di euro. L’articolo 54 prevede l’abolizione, a decorrere dal primo settembre 2020, della quota di compartecipazione al costo in misura fissa per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale (cd. superticket), nelle more della revisione generale del sistema di compartecipazione alla spesa pubblica. Di conseguenza viene incrementato il livello di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale, a cui concorre lo Stato, per un importo di 185 milioni per l’anno 2020 e 554 milioni di euro annui per l’anno 2021. L’articolo 55 – questa è un’innovazione che non avevo annunciato nella scorsa audizione – in materia di apparecchiature sanitarie a supporto dei medici di medicina generale finalizza a tale scopo un contributo pari a 235,834 milioni di euro.

  Le norme appena richiamate, unitamente alle risorse finanziarie integrative previste dal nuovo Patto per la salute, in avanzato stato di elaborazione (pari a 2 miliardi di euro per il 2020 e a 1,5 miliardi nel 2021), sono parte di una strategia unitaria che può essere così sintetizzata. Le risorse sono sicuramente fondamentali, ma non sono risolutive: servono riforme rispetto alle nuove sfide.

  Il modello universalistico di assistenza deve necessariamente misurarsi con le sfide del tempo presente rappresentate: 1. dall’inversione della piramide demografica che determina l’invecchiamento della popolazione; 2. dall’esplosione delle cronicità, anche in conseguenza dell’aumento della popolazione anziana; 3. dalla rapida innovazione tecnologica e dal progredire della ricerca farmaceutica che migliorano le possibilità di cura, ma che acuiscono il problema della sostenibilità finanziaria del sistema; 4. dai mutamenti climatici, in particolare l’alterazione del rapporto tra uomo e ambiente, con rilevanti conseguenze per la sanità pubblica.

  Per fronteggiare in modo efficace queste sfide – e vengo alle domande più di sistema che mi sono state rivolte, in particolare, dal senatore Di Marzio – è necessario sostenere il crescente impegno finanziario dello Stato con interventi di riforma capaci di rendere la spesa sanitaria maggiormente produttiva, valorizzando le risorse umane, innovando i modelli organizzativi delle reti di assistenza e implementando l’uso delle nuove tecnologie. Penso all’utilizzo, ad esempio, dell’health technology assessment negli acquisti di beni e servizi per migliorare il rapporto costi/benefici della spesa, su cui è attualmente in fase di studio una norma di delega nella legge comunitaria per il 2019; o al potenziamento della medicina del territorio fornendo ai medici di medicina generale la necessaria strumentazione con la norma di bilancio per il 2020 – testé menzionata – o, ancora, il potenziamento delle funzioni della farmacia dei servizi come presidio di prossimità ai cittadini, che va sostenuta e incoraggiata con lo stanziamento di risorse integrative. Solo innovando costantemente lungo queste tre direttrici sarà possibile garantire la sostenibilità finanziaria del sistema.

  Sulla questione delle risorse umane che mi è stata sollecitata, tra gli altri, in modo particolare dall’onorevole De Filippo, dall’onorevole Bagnasco, dall’onorevole Carnevali e dal senatore Siclari, voglio ricordare che l’attività del ministero si muove nella consapevolezza che tali risorse rappresentano la leva fondamentale del sistema. Negli ultimi anni le reiterate misure di contenimento della spesa di personale hanno determinato significative carenze negli organici delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale su tutto il territorio del nostro Paese, con conseguenti effetti distorsivi sulle stesse politiche assunzionali.

  Dico ancora in premessa che ritengo il modello di programmazione della spesa oggi vigente, costruito attraverso silos e tetti rigidi, non più adeguato a rispondere alle sfide del nostro Servizio sanitario nazionale.

  Più in particolare sulle domande che mi sono state poste, il fenomeno del cosiddetto «imbuto formativo» è fortemente legato a quanto avvenuto negli anni passati, ossia nel periodo in cui il numero dei contratti di formazione specialistica e delle borse di studio per la formazione specifica in medicina generale non era sufficiente a garantire la prosecuzione del percorso formativo del medico neolaureato. Fino all’anno 2013/14, infatti, i contratti di formazione medico-specialistica sono stati al massimo cinquemila e le borse di studio per la medicina generale circa mille, a fronte di un contingente di laureati in medicina e chirurgia molto superiore. Per l’anno accademico 2018/19 il numero dei contratti di formazione specialistica finanziato con fondi statali è stato pari a ottomila unità, per il primo anno di corso, a fronte di un fabbisogno delle regioni pari a 8.253 unità, a cui si sono aggiunte risorse regionali che hanno consentito il finanziamento di ulteriori 920 contratti. Nonostante il numero di contratti significativamente cresciuto, in modo particolare, nell’ultimo annualità per iniziativa del ministro Grillo, versiamo ancora in una situazione deficitaria; per tale motivo in vista dell’iter della legge di bilancio (già in corso) lavoreremo per incrementare il relativo finanziamento. E so di poter contare sul contributo attento del Parlamento su un tema così delicato.

  La difficile situazione relativa alla carenza di medici specialisti dipende anche dalla peculiare distribuzione per età dei dirigenti medici impiegati a tempo indeterminato nel Servizio sanitario nazionale. Evidentemente l’età media dipende dalle scelte che sono state fatte negli ultimi anni.

  Dai dati del conto annuale al 31 dicembre 2017 emerge che circa il 28 per cento dei medici del Servizio sanitario nazionale ha un’età compresa tra i sessanta e i sessantasette anni, per un numero complessivo pari a oltre ventinovemila professionisti. Con il decreto-legge n. 35 del 2019 è stata introdotta, mediante l’articolo 12, una specifica disposizione per immettere il prima possibile nel Servizio sanitario nazionale gli specializzandi prossimi al conseguimento del titolo, evitando che i tempi intercorrenti tra il conseguimento del diploma di specializzazione, la pubblicazione dei bandi e lo svolgimento dei concorsi possano determinare una dispersione dei giovani specializzandi. Stiamo inoltre valutando come meglio integrare l’attività di formazione con quella clinico-assistenziale degli specializzandi stessi, migliorando la fase di inserimento nel contesto lavorativo.

  L’onorevole Carnevali mi ha chiesto lumi sulla questione del 5 per cento di incremento del Fondo sanitario nazionale come disposto dallo stesso decreto Calabria. Su questo voglio ricordare che l’articolo 11 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, al comma 1 prevede che il nuovo limite massimo di spesa del personale per ogni Regione è fissato dal 2019 in misura pari al valore massimo tra la spesa sostenuta nel 2018 e l’ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1,4 per cento, incrementato di una quota pari al 5 per cento dell’incremento annuo del Fondo sanitario nazionale. Ripeto che l’incremento annuo quest’anno sarà di 2 miliardi, quindi stiamo parlando di un 5 per cento in più su 2 miliardi.

  Dall’anno 2021 il predetto incremento di spesa del 5 per cento è subordinato all’adozione di una metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli enti del Servizio sanitario nazionale, in coerenza con quanto stabilito dal decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, e con l’articolo 1, comma 516, lettera c), della legge 30 dicembre 2018, n. 145. Tale limite può poi essere ulteriormente incrementato, ai sensi di quanto disposto dal comma 3, dell’articolo 11 sopra citato, che prevede: «Le Regioni, previo accordo da definirsi con il Ministero della salute e il Ministero dell’economia e delle finanze, possono ulteriormente incrementare i limiti di spesa, di cui al comma 1, di un ammontare non superiore alla riduzione strutturale della spesa già sostenuta per servizi sanitari esternalizzati prima dell’entrata in vigore del presente decreto».

  Anche su questo voglio dire con chiarezza quello che penso. Per me la percentuale del 5 per cento, come indicata dal decreto Calabria, non può ritenersi sufficiente a soddisfare il fabbisogno di spesa per il personale. Il 5 per cento è una quota ancora del tutto insufficiente. La mia valutazione è nel senso – lo ribadisco – che la quantificazione della spesa e dei relativi limiti attraverso silos e tetti non può più ritenersi adeguata al tempo presente, precludendo scelte allocative delle risorse tra diversi centri di spesa, idonee a generare processi virtuosi.

  Quanto al corso di formazione specialistica in medicina generale (la domanda mi è stata posta dalla senatrice Boldrini) sono consapevole che il ruolo del medico di medicina generale sia sempre più centrale nel governo della domanda e dei successivi percorsi sanitari di presa in cura dei pazienti. Negli ultimi anni si è assistito a un rapido cambiamento del contesto demografico ed epidemiologico, come ho già avuto modo di dire. Ciò ha determinato un significativo mutamento dei bisogni sanitari. Ecco perché si rende necessario un percorso – anche alla luce della nuova disposizione a favore delle apparecchiature sanitarie, di cui ho già detto – di revisione del corso di formazione specialistica in medicina generale, che comunque dovrà essere condotto con il coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti: Ministro della salute, Regioni e Province autonome, ordini professionali, società scientifiche.

  Fatta tale questa doverosa premessa, comunico che un confronto con le principali organizzazioni di rappresentanza dei medici di medicina generale, a partire dalla FIMMG, è già stato avviato in data 13 novembre.

  Quanto ancora all’osservatorio per la formazione medico specialistica (anche in questo caso la domanda è stata della senatrice Boldrini) occorre preliminarmente precisare che la competenza primaria è del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR). L’articolo 43 del decreto legislativo n. 368 del 1999 prevede che siano chiamati a far parte di tale organismo tre specializzandi, nominati su designazione delle associazioni nazionali di categoria maggiormente rappresentative, dal Ministro della sanità, d’intesa con il Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, uno per ciascuna delle tre aree funzionali a cui afferiscono le scuole di specializzazione. Il Ministero della salute ha comunicato al MIUR, nel mese di luglio 2019, i nominativi degli specializzandi.

  Mi viene chiesto dalla senatrice Rizzotti lo stato di attuazione della legge n. 24 del 2017. Per quanto concerne tale stato di attuazione sono già stati adottati: il decreto ministeriale 2 agosto 2017, recante i criteri per l’iscrizione nell’elenco delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie; il decreto ministeriale 29 settembre 2017 che ha istituito, presso l’AGENAS, l’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità; il decreto ministeriale 27 febbraio 2018 che ha istituito, presso l’Istituto superiore di sanità, il Sistema nazionale linee guida. Non sono stati ancora emanati, invece, i decreti previsti dall’articolo 10, commi 5, 6 e 7, concernenti le polizze assicurative, di competenza primaria del Ministero dello sviluppo economico (MISE).

  Il Ministero della salute è stato coinvolto, ai fini del concerto, nei lavori istruttori da tempo avviati dal MISE, ma ad oggi l’iter degli stessi non è ancora concluso, verosimilmente anche per l’ampio numero di stakeholder interessati.

  Quanto al regolamento previsto dall’articolo 14 della legge citata, finalizzato a disciplinare uno specifico fondo di garanzia per i casi di malpractice, allo scopo di risarcire le vittime nel caso in cui non si possa provvedere, per varie ragioni, con il sistema assicurativo, lo stesso è stato predisposto, all’esito di un lavoro lungo e complesso, da parte di un tavolo tecnico interministeriale. Il testo è attualmente all’esame della Conferenza Stato-Regioni, in quanto le regioni hanno sollevato alcuni rilievi di carattere tecnico, ad oggi non ancora superati e tuttora oggetto di approfondimento tra le altre amministrazioni concertanti.

  Quanto alla necessità espressa di estendere l’ambito di applicazione – anche questa era una richiesta della senatrice Rizzotti – delle misure previste dal disegno di legge sulla violenza in danno degli operatori sanitari, già approvato all’unanimità al Senato e ora in discussione alla Camera, vi anticipo la mia volontà e la mia disponibilità ad estendere, attraverso un apposito emendamento, il campo di applicazione della fattispecie penale anche agli episodi di violenza occorsi al di fuori delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche o private, tenuto conto che gli operati sanitari spesso svolgono le loro funzioni anche all’esterno di tali luoghi. Penso ad esempio non solo al personale medico ma anche ai veterinari, quando operano nei macelli e presso le aziende agricole o, più in generale, ai medici di medicina generale quando svolgono visite mediche domiciliari. L’obiettivo è pertanto quello di sanzionare le lesioni subite nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni in qualsiasi luogo le stesse vengano esercitate.

  Sulla programmazione sanitaria mi sono state rivolte molte domande, proverò anche qui a rispondere in modo puntuale.

  L’onorevole De Filippo mi chiedeva in modo particolare sui piani di rientro. Nell’ambito dei lavori sul nuovo Patto per la salute stiamo promuovendo una profonda rivisitazione dell’impianto della normativa sui piani di rientro. È materia molto delicata e oggetto di una condivisione tra le regioni e lo Stato. La governance, impostata ormai circa dieci anni fa, ha prodotto risultati importanti sul versante del contenimento della spesa. Altrettanto però non può sempre dirsi sul fronte di un’equa e omogenea erogazione dei livelli minimi di assistenza su tutto il territorio nazionale. È per questo che stiamo lavorando per ammodernare la normativa, privilegiando le azioni di affiancamento e di intervento selettivo, in accordo con le regioni, per colmare le lacune oggi esistenti e che segnano non solo un divario Nord/Sud, ma anche tra diversi territori all’interno delle singole regioni. Sarà oggetto di approfondimento il fenomeno della mobilità sanitaria e quello sui costi sociali connessi, e chiederemo alle regioni interessate di elaborare, con il supporto del Ministero della salute, piani di recupero della mobilità nell’ambito dei quali valutare e autorizzare piani straordinari di assunzioni e di investimenti.

  Ancora mi è stata sollecitata dall’onorevole De Filippo e dalla senatrice Marin un’opinione, mia e del Governo, sulla riformulazione dei criteri di riparto del Fondo sanitario. Stiamo parlando di un altro tema di grande delicatezza. Il sistema di finanziamento attuale prevede che lo Stato definisca annualmente l’ammontare complessivo di risorse economiche destinate al Servizio sanitario nazionale, ovvero il fabbisogno sanitario totale che risulta necessario per garantire l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza. Il riparto del fondo alle regioni – come è noto – avviene attraverso il meccanismo cosiddetto della «quota capitaria pesata». Ritengo che il meccanismo della quota capitaria, introdotto dal legislatore negli anni Novanta per superare il precedente criterio basato sulla spesa storica, non rappresenti un criterio sufficientemente equo di ripartizione delle risorse in grado di perseguire uno dei principi cardine del nostro Servizio sanitario nazionale: ovvero il principio di equità. Rivedere il sistema di allocazione delle risorse e allineare il processo di individuazione e quantificazione del fabbisogno sanitario nazionale alla normativa vigente richiede inevitabilmente l’elaborazione di una complessa mole di dati centrati sull’individuo, in grado di alimentare indicatori, tra cui – ad esempio – l’inclusione sociale, l’epidemiologia, il livello reddituale delle famiglie, la densità demografica, al fine di calcolare un livello di fabbisogno regionale direttamente collegato e collegabile all’eterogeneità della popolazione e dei suoi reali bisogni.

  Il Ministero della salute, per poter attuare un’azione di revisione del sistema di allocazione delle risorse, dovrà svolgere operazioni di trattamento dei dati personali da utilizzare in forma aggregata, contenuti nei flussi informativi sanitari, nonché dei flussi informativi, anche non sanitari, gestiti da altre amministrazioni pubbliche. Il cambio che tale scelta produrrebbe – su cui ritengo indispensabile il confronto con il Parlamento – nella gestione del Fondo sanitario nazionale darebbe certamente un segnale concreto di perseguimento della politica di riduzione delle diseguaglianze che caratterizza l’azione di questo Governo, lasciando aperto il problema della governance, che però si sta affrontando con la rivisitazione dei meccanismi dei piani di rientro del disavanzo sanitario.

  Ancora mi è stata sollecitata dall’onorevole Noja una riflessione rispetto alla questione dei bambini disabili, in modo particolare la marcata disomogeneità a livello territoriale. Su questo segnalo che da pochi giorni abbiamo espresso il concerto sullo schema di decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali che, oltre al concerto del Ministro della salute, prevede anche quello del Ministro dell’economia e finanze, recante il riparto, per l’annualità 2019, delle risorse del Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare. Ritengo che il provvedimento individui finalità coerenti con l’obiettivo dell’integrazione dei servizi e delle attività di natura socioassistenziale e sanitaria.

  Mi è stato richiesto dall’onorevole Gemmato un punto sull’edilizia sanitaria, in modo particolare sulle questioni che riguardano la Puglia. Il Ministero, già da alcuni mesi, ha avviato una ricognizione di tutti gli interventi effettuati a valere non solo sui fondi ex articolo 20, legge n. 67 del 1988, ma anche sui fondi strutturali e sulle risorse regionali. In generale premetto che in sede autorizzativa il Ministero svolge una puntuale verifica di coerenza degli investimenti proposti con la programmazione sanitaria, approvata ai sensi del decreto ministeriale n. 70. In questi giorni stiamo avviando una ricognizione del lasso di tempo che intercorre tra lo stanziamento dei fondi per l’edilizia da parte del Governo e del Parlamento e dell’effettiva apertura dei cantieri. Penso che i tempi siano ancora troppo lunghi e che debbano essere studiate soluzioni urgenti, adeguate per ridurli drasticamente. Colgo l’occasione della domanda posta dall’onorevole Gemmato per ricordare che le risorse assegnate alla regione Puglia per la sottoscrizione di accordi di programma, a valere sull’articolo 20, della legge n. 67 del 1988, ammontano complessivamente a euro 1.204.450.339,41.

  Ho una tabella che posso consegnare all’onorevole Gemmato che fornisce tutti gli elementi specifici. Qualche dato lo posso leggere. In attuazione del programma straordinario di investimenti la regione Puglia ha sottoscritto, in data 27 maggio 2004, un accordo di programma per un importo a carico dello Stato di 238,918 milioni di euro e in data 26 luglio 2007 un accordo integrativo di 416,223 milioni. Con riferimento ai predetti accordi di programma allo stato attuale sono pervenuti alla fase dell’assunzione dell’impegno giuridicamente vincolante tutte le risorse allocate su numero 126 interventi. In particolare, a valere sulle risorse stanziate dall’accordo di programma sottoscritto il 24 maggio 2004, è stato ricompreso, tra gli altri, l’intervento di messa a norma del polo ospedaliero di Terlizzi, per un importo a carico dello Stato di 1,9 milioni di euro, ammesso a finanziamento il 10 marzo 2006. Nell’ambito dello stesso accordo, per l’intervento denominato «Messa a norma del polo ospedaliero di Terlizzi», è stato autorizzato un finanziamento a carico dello Stato pari a 475 mila euro. La regione Puglia ha presentato una nuova proposta per la sottoscrizione del secondo accordo di programma integrativo, il cui importo complessivo è pari a 603,4 milioni di euro, di cui 564,22 milioni a carico dello Stato, 29 milioni a carico della Regione e 9,483 milioni altri finanziamenti. La regione Puglia successivamente, con nota protocollo n. 4425 del 19 dicembre 2018, ha chiesto di procedere alla sottoscrizione di un accordo di programma stralcio per gli interventi, per i quali è stata prodotta la documentazione tecnica, per un importo complessivo di 335,2 milioni di euro, di cui 318 milioni a carico dello Stato e 16 milioni a carico della regione. Gli interventi sono: nuovo ospedale del Sud Salento; nuovo ospedale di Andria; demolizione e ricostruzione del monoblocco degli Ospedali riuniti di Foggia; riqualificazione dei plessi minori degli Ospedali riuniti di Foggia.

  Mi è stato chiesto dall’onorevole Nesci in modo particolare, ma anche dall’onorevole Carnevali e dal senatore Siclari a che punto è l’attuazione del decreto Calabria e una valutazione più generale. Su questo vorrei dire innanzitutto che, in applicazione del decreto, la struttura commissariale sta concludendo le procedure per la nomina dei vertici aziendali delle ASP di Cosenza, di Vibo Valentia, di Crotone, dell’Azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro, dell’Azienda ospedaliera Mater Domini di Catanzaro e dell’Azienda ospedaliera di Reggio Calabria. Nel frattempo l’unità di crisi speciale, che ho reso prontamente operativa all’atto del mio insediamento, già da qualche settimana sta effettuando visite approfondite sullo stato dei servizi sanitari delle Aziende. Ha completato la ricognizione dell’Area nord visitando le strutture di Cosenza, Castrovillari, Rossano, Corigliano, Paola e Cetraro. Entro il mese di novembre terminerà le verifiche nell’Area centro (Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia), per poi spostarsi nell’Area sud. Entro il mese di dicembre, pertanto, verranno fornite ai commissari aziendali le informazioni necessarie per l’adozione dei nuovi atti aziendali.

  Sul piano del personale sanitario in Calabria la priorità è rappresentata dal superamento delle intollerabili condizioni di precarietà oggi presenti. Sono a tal fine allo studio iniziative normative e il mio impegno sarà quello di approvare queste ipotesi di lavoro normative già nell’iter di questo bilancio, per dare una risposta a un tema che può incidere in maniera molto pesante sull’effettivo godimento del diritto alla salute in questa regione. La Calabria è, e resta, una priorità strategica nel lavoro che intendiamo perseguire affinché il diritto alla salute sia effettivamente rispettato su tutto il territorio nazionale.

  La senatrice Lunesu mi ha chiesto quali fossero le misure da porre in essere per contrastare le inappropriatezze che, secondo la senatrice, con l’abolizione del superticket potrebbero addirittura aumentare. Personalmente non credo che il superticket abbia aiutato a ridurre le inappropriatezze. Dal mio punto di vista ha aumentato le diseguaglianze, non ha ridotto le inappropriatezze; eppure l’introduzione del superticket, congiuntamente alla eterogeneità tariffaria preesistente alla modalità di regolamentazione dell’attuale sistema di partecipazione alla spesa sanitaria, ha rappresentato un ulteriore elemento di forte iniquità nell’accesso alle cure. La previsione della sua eliminazione, proposta già inserita all’articolo 14, del disegno di legge di bilancio 2020, rappresenta, dunque, dal nostro punto di vista, un’importante novità. Contestualmente, al fine di superare le ulteriori iniquità legate all’attuale sistema di partecipazione al costo, lo stesso disegno di legge contiene un richiamo alla necessità di effettuare la revisione del sistema di partecipazione alla spesa al fine di promuovere maggiore equità nell’accesso alle cure, come del resto già previsto dall’articolo 1, comma 516, della legge n. 145 del 2018. Il fenomeno delle prestazioni inappropriate, così come quello della scarsa aderenza terapeutica verranno ulteriormente affrontati all’interno della ridefinizione di standard dell’assistenza territoriale e di percorsi di reale presa in carico del paziente: questione centrale all’interno del nuovo Patto per la salute.

  Ancora la senatrice Lunesu mi ha chiesto come si intende agire in materia di prevenzione e riqualificazione della rete ospedaliera per i diversi livelli di intensità di cura e di presa in carico della fragilità. Per gli aspetti riguardanti prevenzione e la presa in carico della fragilità segnalo che si è posta attenzione alla problematica sollevata relativamente alle modalità di accoglienza e gestione della presa in carico del paziente fragile in pronto soccorso, tanto che recentemente, su specifica iniziativa ministeriale, è stato siglato un accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni in data primo agosto 2019 che, nel paragrafo «Organizzazione dei flussi di trattamento», evidenzia che è opportuno lo sviluppo di percorsi per condizioni particolari quali fragilità e vulnerabilità. Inoltre nello stesso documento, al paragrafo dedicato ai requisiti strutturali, si specifica che per persone in condizioni di fragilità sono necessari ambienti dedicati all’accoglienza, segnalati e ben individuati con accesso facilitato.

  La stessa senatrice Lunesu mi ha chiesto un approfondimento sulla vicenda dei punti nascita, altro tema di particolare delicatezza. Riguardo al versante dei punti nascita si rappresenta che l’accordo Stato-Regioni del 16 dicembre 2010 sul documento recante «Modifica delle linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» è scaturito dalla generale consapevolezza di dover implementare alcune misure fondamentali per garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale livelli adeguati di qualità e sicurezza per la madre e il nascituro. L’accordo ha permesso, negli ultimi dieci anni e in costante condivisione con le regioni e le province autonome, comprese quelle cosiddette «in piano di rientro», di ridefinire e riorganizzare il percorso nascita. L’obiettivo principale per il Governo resta la salvaguardia della sicurezza della madre e del nascituro e, nel rispetto di tale premessa, sono state valutate, di volta in volta, le possibilità di deroga in caso di situazioni orogeografiche critiche, ovvero in presenza di aree geografiche notevolmente disagiate, al parametro dei cinquecento parti/anno per punto nascita, considerati necessari dalla letteratura scientifica in materia di sicurezza del percorso nascita.

  Su questa materia mi preme ricordare che c’è un’ulteriore sollecitazione arrivata proprio in queste prime settimane di lavoro al Governo da parte delle regioni nel rispetto del criterio, per me fondamentale e non trattabile, della sicurezza della madre e del nascituro: da parte mia ci sarà chiaramente la disponibilità a un’interlocuzione con le regioni.

  Ancora la senatrice Marin e l’onorevole Carnevali hanno chiesto una delucidazione sulla questione dei livelli essenziali di assistenza e su quella delle tariffe, altro tema di grandissima delicatezza. Voglio ricordare che proprio in questi giorni stiamo definendo l’istruttoria per convocare la Commissione tariffe e avviare l’iter amministrativo per l’adozione del decreto interministeriale sulle tariffe che consentirà l’ingresso dei nuovi LEA su tutto il territorio nazionale.

  Il nuovo sistema di garanzia, adottato con decreto interministeriale in data 10 luglio 2014, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concernente il nuovo Patto per la salute 2014/2016, è un nuovo sistema di valutazione della qualità delle cure e dell’uniformità dell’assistenza sul territorio nazionale ai fini del monitoraggio costante dell’efficacia e dell’efficienza dei servizi, nonché degli adempimenti di cui all’articolo 27, comma 11, del decreto legislativo n. 68 del 2011. Il nuovo sistema di garanzia può rappresentate una svolta significativa nelle metodologie di monitoraggio dei LEA, ed è lo strumento che consente, con le numerosissime informazioni ad oggi disponibili, di misurare, secondo le dimensioni dell’equità, dell’efficacia e della appropriatezza, che tutti i cittadini italiani ricevano le cure e le prestazioni rientranti nei livelli essenziali di assistenza.

  In particolare si evidenziano alcuni aspetti che rendono il nuovo sistema di garanzia innovativo e rilevante: 1. le finalità del sistema, trattasi di un sistema descrittivo di valutazione, di monitoraggio e di verifica dell’attività sanitaria erogata in tutte le regioni; 2. le modalità d’integrazione con il sistema di verifica degli adempimenti cui sono tenute le Regioni per accedere alla quota integrativa prevista dall’articolo 2, comma 68, della legge n. 191 del 2009; 3. lo schema concettuale alla base del sistema degli indicatori, l’articolazione del sistema di indicatori che associa a ciascun LEA gli attributi rilevanti dei processi di erogazione delle prestazioni, quali efficienza e appropriatezza organizzativa, efficacia e appropriatezza clinica, sicurezza delle cure.

  Ancora mi è stata chiesta dal senatore Siclari un’informativa rispetto al Piano nazionale malattie rare e cure palliative. Colgo questa occasione, anche se brevemente, per evidenziare il mio apprezzamento per i lavori che la XII Commissione affari sociali sta svolgendo nell’esame dei progetti di legge in materia di malattie rare e farmaci orfani. Nel merito delle iniziative del ministero osservo quanto segue. Il Piano nazionale per le malattie rare è stato adottato con accordo Stato-Regioni il 16 ottobre 2014, in seguito a una consultazione pubblica preceduta da una presentazione alle associazioni dei malati e dei loro familiari. Il documento perseguiva lo scopo di dare organicità e collocare le azioni già in atto in attuazione del Piano sanitario precedente. L’aggiornamento del Piano nazionale malattie rare è al momento in corso da parte di un gruppo di lavoro, istituito con decreto direttoriale del 20 giugno 2019 e successive integrazioni. Il gruppo ha iniziato a lavorare e ha elaborato i seguenti temi come principale traccia per l’impegno che arriverà: 1. presentazione dei dati sullo scenario attuale (numero ed elenco dei Centri per regione, numero dei pazienti, malattie trattate nei Centri, rete nazionale, reti europee); 2. definizione di «Centro di riferimento» e della rete delle interconnessioni tra i Centri e tra i Centri e il territorio, anche mediante l’utilizzo di strumenti come telemedicina e teleconsulto; 3. presa in carico e percorso assistenziale, riduzione del ritardo diagnostico, transizione da età pediatrica a quella adulta, malattie non diagnosticate, trasferimento delle buone pratiche; 4. ricognizione farmaci non in fascia A già erogati nelle varie regioni, e proposta di revisione normativa per il superamento delle criticità; 5. prevenzione e ricerca; 6. formazione ai diversi livelli (clinico-specialistica, infermieri, operatori sanitari, caregiver); 7. informazione; 8. implementazione della codifica per le malattie rare. Per quanto riguarda le cure palliative, in occasione del decimo anno dalla pubblicazione della legge 15 marzo 2010, n. 38, è prevista un’iniziativa che vedrà la partecipazione istituzionale e di esperti della Commissione cure palliative.

  Dalla senatrice Stabile mi è arrivata una richiesta in merito alle criticità del numero unico 112: chi risponde – è stato osservato – non è un operatore professionista ma un laico. Il numero unico d’emergenza 112, unico per tutta l’Unione europea, rappresenta un obbligo richiesto all’Italia dalla stessa Unione europea per garantire alla popolazione un servizio idoneo a rispondere, in maniera appropriata, a tutte le esigenze di soccorso. Infatti rappresenta il livello di integrazione tra i servizi di emergenza sanitari e non sanitari, al fine di aumentare il livello di sicurezza dei cittadini. Il modello organizzativo per la realizzazione del numero unico europeo 112, individuato dal Ministero dell’interno, è quello delle Centrali uniche di risposta. Per quanto riguarda il personale delle Centrali uniche di risposta l’impiego di personale laico è funzionale alla tipologia di attività richiesta. Infatti, considerate le funzioni assegnate dal disciplinare tecnico operativo soprarichiamato, si è deciso di utilizzare personale laico in quanto questo non deve effettuare una valutazione delle situazioni, ma condurre un’intervista secondo delle istruzioni operative consolidate, per poi indirizzare la richiesta di intervento nel canale appropriato.

  La senatrice Pirro mi ha chiesto sull’emergenza territoriale, in modo particolare sul 118. Riguardo alle Centrali operative del 118 l’esperienza maturata negli anni ha dimostrato che per le province di dimensioni ridotte risulta più funzionale l’istituzione di Centrali operative sovraprovinciali o addirittura regionali. Gli standard fissati dal decreto ministeriale n. 70 e dal Patto per la salute prevedono che il numero delle Centrali operative sia parametrato al bacino della popolazione di riferimento, in relazione alla disponibilità delle nuove tecnologie informatiche e telefoniche. La definizione di più ampi bacini di utenza deve essere accompagnata da soluzioni tecnologiche e operative che garantiscono altresì l’interoperatività delle Centrali 118 a livello interregionale, sia negli interventi in caso di catastrofe/maxiemergenza sia nella gestione delle attività nelle aree di confine (es. elisoccorso). Conseguentemente, come già previsto dalla normativa, la determinazione del numero delle Centrali operative 118 basata sul solo criterio territoriale provinciale non può essere considerato come un criterio statico ed è, pertanto, oggetto di costante revisione in funzione dell’evoluzione dei bisogni assistenziali e degli assetti tecnologici e organizzativi in atto.

  L’onorevole Ianaro e la senatrice Pirro mi hanno chiesto un’informativa sui requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi dei presìdi territoriali. L’esigenza di implementare l’assistenza territoriale è stata riconfermata nell’emanando Patto per la salute. Infatti, alla luce del mutato contesto socio-epidemiologico, con il costante incremento di situazioni di fragilità sanitaria e sociale si impone una riorganizzazione dell’assistenza territoriale. Tale riorganizzazione dovrà promuovere, attraverso nuovi modelli organizzativi integrati, attività di prevenzione e promozione della salute, percorsi di presa in carico della cronicità, in stretta correlazione con il piano di governo delle liste di attesa e basati sulla medicina di iniziativa, sul potenziamento dell’assistenza domiciliare e prevedendo un investimento sull’assistenza semiresidenziale e residenziale per i soggetti non autosufficienti.

  Il riequilibrio e l’integrazione tra assistenza ospedaliera e territoriale costituisce uno degli obiettivi prioritari di politica sanitaria verso cui i sistemi sanitari più avanzati si sono indirizzati per dare risposte concrete ai nuovi bisogni di salute determinati dagli effetti delle tre transizioni (epidemiologica, demografica e sociale), che hanno modificato il quadro di riferimento negli ultimi decenni, portando a un cambiamento strutturale e organizzativo. L’ospedale va, quindi, concepito come un nodo di alta specializzazione del sistema di cure per la cronicità, che interagisce con la specialistica ambulatoriale e con l’assistenza primaria attraverso nuove formule organizzative, che prevedano la creazione di reti multispecialistiche dedicate, di dimissioni assistite nel territorio, finalizzate a ridurre il drop-out della rete assistenziale, causa frequente di riospedalizzazione a breve termine e di outcome negativi nei pazienti con cronicità.

  Il territorio rappresenta il luogo privilegiato per valutare i bisogni del paziente e presidiare i percorsi dei pazienti cronici, costituendo un centro di offerta proattiva e personalizzata di servizi di integrazione e in continuità con l’offerta sociosanitaria. In questo contesto – come ho già avuto modo di evidenziare – occorre potenziare il ruolo dei medici di medicina generale e il ruolo della farmacia di servizi: i due presìdi essenziali del territorio.

  Il Piano nazionale della cronicità, approvato in Conferenza Stato-Regioni già nel 2016 e al momento adottato da quasi tutte le regioni e province autonome, nasce dall’esigenza di armonizzare a livello nazionale le attività in questo campo, proponendo un documento, condiviso con le regioni, che, compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, individui un disegno strategico comune inteso a promuovere interventi basati sulla unitarietà di approccio, centrato sulla persona e orientato su una migliore organizzazione dei servizi e una piena responsabilizzazione di tutti gli attori dell’assistenza.

  Ancora l’onorevole Ianaro mi ha chiesto un’indicazione rispetto alla resistenza agli antibiotici, che è un altro grande tema di rilievo internazionale oggetto di discussione. Inizio esprimendo apprezzamento per i lavori che la XII Commissione sta conducendo nella materia in esame: mi riferisco alla risoluzione che mi risulta già domani potrebbe essere votata. Nel merito delle iniziative, fatte salve le indicazioni che la risoluzione vorrà indicare, comunico che proseguirà l’attività finalizzata al coordinamento, all’implementazione e al monitoraggio del Piano nazionale per il contrasto dell’antimicrobico-resistenza di concerto con le Regioni, i ministeri competenti e con gli altri stakeholder, in un’ottica one-health. Nel 2020, con la collaborazione dell’Istituto superiore di sanità, saranno avviati i lavori per l’estensione, a livello nazionale, delle sorveglianze dell’antimicrobico-resistenza; saranno, inoltre, avviati i lavori per l’adozione del nuovo Piano di contrasto, i cui contenuti e obiettivi saranno calibrati su quanto realizzato negli anni di vigenza dell’attuale documento programmatico; proseguirà inoltre l’impegno del nostro Paese nelle numerose iniziative internazionali in cui è coinvolto; proseguirà l’impegno del ministero nelle iniziative di informazione e comunicazione, dirette agli operatori sanitari e alla popolazione, per costruire una cultura sull’uso consapevole degli antibiotici e sull’importanza di alcune misure comportamentali per la prevenzione delle infezioni, soprattutto in ambito assistenziale.

  Ancora il senatore Pisani mi ha sollecitato in modo particolare sulle iniziative per tutelare i siti di interesse nazionale (SIN). Il rafforzamento della sorveglianza epidemiologica nei siti industriali si pone come esigenza prioritaria per qualificare e restituire efficacia alle attività di prevenzione e sanità pubblica. A tal fine proseguirà l’azione di aggiornamento dello studio «Sentieri» come sistema permanente di sorveglianza epidemiologica dei residenti nei siti di interesse nazionale e di altri siti ritenuti rilevanti dal Ministero della salute, al fine di contribuire alla definizione delle problematiche dei siti e di individuare risposte adeguate in termini di promozione della salute e di prevenzione e contrasto delle patologie associate a esposizioni ambientali delle popolazioni residenti.

  Sul tema dei siti contaminati l’Italia è particolarmente attiva a livello internazionale con l’istituzione, presso l’Istituto superiore di sanità del WHO Collaborating Centre for Environmental Health in Contaminated Sites e il coordinamento da parte dell’Istituto superiore di sanità della COST Action Industrially Contaminated Sites and Health Network, che vede coinvolte le principali istituzioni di tutela ambientale e della salute di ben trentatré Paesi. L’attenzione alla salute infantile e le sue potenziali connessioni con le esposizioni a inquinanti ambientali ne è un elemento centrale.

  Segnalo infine che è massima l’attenzione dedicata dal Governo in queste ore alla vicenda dell’Ilva di Taranto e che proprio nella giornata di domani ci sarà un Consiglio dei ministri volto ad approfondire le proposte che i singoli dicasteri stanno facendo pervenire alla Presidenza del Consiglio dei ministri su questa materia. Segnalo in modo particolare che da parte del Ministero della salute si sta lavorando a una proposta volta al rafforzamento dei presìdi sanitari dell’area di Taranto, con particolare attenzione al fabbisogno di personale che emerge da quel territorio.

  Ancora il senatore Pisani mi ha chiesto della volontà o meno del Governo di mantenere e di continuare a far lavorare la task force ambiente e salute. La task force è stata istituita con il decreto dirigenziale 9 novembre 2017 quale Strategia nazionale per il coordinamento e l’integrazione delle politiche e delle azioni nazionali e regionali in campo ambientale e sanitario. Il mandato della task force ambiente e salute ha, pertanto, un significato strategico da cui dovranno discendere iniziative per rafforzare la governance «ambiente e salute» e favorire l’integrazione, a vari livelli, tra le strutture e istituzioni deputate alla tutela ambientale e alla tutela sanitaria. Considerate queste valutazioni e valutata l’importanza strategica e i risultati ottenuti, ritengo che la task force debba essere riconfermata anche per i prossimi anni.

  La senatrice Marin e l’onorevole Bellucci mi hanno chiesto sulla presa in carico dei pazienti psichiatrici e, in modo particolare, sui servizi di neuropsichiatria infantile. Come noto, l’organizzazione dell’accesso per la presa in carico dei pazienti psichiatrici è affidata al Centro di salute mentale delle Aziende sanitarie competenti per territorio; la valutazione viene effettuata da una équipe multidisciplinare che decide sull’ulteriore percorso di cura. Il 25 luglio 2019 in Conferenza unificata è stata sancita l’intesa sul documento «Linee di indirizzo per i disturbi neuropsichici dell’età evolutiva», che è particolarmente rilevante perché esamina i bisogni dei bambini e ragazzi con disturbi neuropsichici e quelli delle loro famiglie. Sul piano scientifico e culturale inquadra chiaramente l’ampio gruppo di disturbi, che complessivamente colpisce fino al 20 per cento della popolazione minorenne e include sia i disturbi neurologici sia i disturbi dello sviluppo che quelli psichiatrici. Il documento propone, per la prima volta, la gestione unitaria di questi disturbi, superando l’approccio settoriale degli ultimi anni caratterizzato dall’approvazione di leggi incentrate sui singoli disturbi. Inoltre rimarca l’importanza di tenere conto della frequente compresenza di più disturbi nello stesso soggetto.

  L’onorevole Boldi mi chiedeva dello stato di attuazione del Registro nazionale tumori. Personalmente considero strategico che il Paese si doti di un efficace e funzionante Registro nazionale tumori. Con l’emanazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 marzo 2017 sono state definite le regole generali per l’implementazione di questa struttura, affidando al Ministero della salute la responsabilità di disciplinarne in dettaglio l’organizzazione e il funzionamento tramite apposito provvedimento di natura regolamentare. In forza della suddetta competenza il Ministero ha attivato un apposito gruppo interdisciplinare. La legge 22 marzo 2019, n. 29, recante «Istituzione e disciplina della Rete nazionale dei Registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza e del referto epidemiologico per il controllo sanitario della popolazione», ha ulteriormente rafforzato la base giuridica dell’intera attività e la competenza del ministero quale responsabile dell’istituendo registro. Tuttavia l’entrata in vigore della nuova legge ha richiesto una fase di approfondimento giuridico, in quanto il lavoro precedentemente svolto dal Ministero prima dell’approvazione della legge, relativamente alla regolamentazione del Registro nazionale tumori, non coincideva – almeno dal punto di vista formale – con l’obiettivo posto dalla legge di istituire la Rete nazionale dei Registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza: struttura che, al di là della differente terminologia, appare dotata di compiti (dettagliatamente elencati dalla legge stessa) ulteriori rispetto al «semplice» Registro tumori, per taluni aspetti parzialmente estranei al campo dell’oncologia propriamente detta.

  Rassicuro, comunque, che si è ritenuto prioritario procedere il più celermente possibile. È stato ricostituito immediatamente un gruppo di lavoro interdirezionale che, partendo da quanto già prodotto in precedenza, ha predisposto una nuova bozza del regolamento del Registro nazionale tumori, procedendo a un aggiornamento delle terminologie e ad adeguare le previsioni regolamentari rispetto alla normativa sopravvenuta, ivi compreso il decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, relativo alla protezione dei dati personali. A riguardo voglio segnalare che si renderà necessario acquisire il favorevole avviso dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali.

  L’attuale bozza prevede, oltre alla precisazione delle definizioni e dell’oggetto del regolamento, la descrizione delle finalità del Registro tumori nazionale che sarà istituito presso il Ministero della salute e che si occuperà della realizzazione, della gestione operativa e dello sviluppo evolutivo del registro stesso.

  Ancora l’onorevole Boldi mi ha chiesto dello stato dell’arte dell’Agenda digitale, altro tema assolutamente delicato. Voglio su questo ricordare che nella Strategia per la crescita digitale 2014/2020 per il settore sanità erano indicati quali ambiti di intervento: il fascicolo sanitario elettronico; le ricette digitali; la dematerializzazione dei referti medici e delle cartelle cliniche; le prenotazioni on line. Per quanto riguarda i primi due punti (fascicolo e ricette), oltre tutta l’attività di definizione e standardizzazione dei documenti previsti nel fascicolo sanitario elettronico, per quanto riguarda gli investimenti è in corso di finalizzazione il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della salute, di ripartizione del Fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese tra le amministrazioni centrali dello Stato, in cui sono state previste le seguenti risorse per il progetto «Fascicolo sanitario elettronico»: per l’anno 2018, 5 milioni di euro; per l’anno 2019, 68 milioni di euro; per l’anno 2020, 120 milioni di euro; per l’anno 2021, al momento, 15 milioni di euro.

  Tali risorse dovranno essere destinate per realizzare gli interventi da parte delle regioni, dell’Infrastruttura nazionale per l’interoperabilità e il fascicolo sanitario elettronico del Ministero dell’economia e delle finanze, che riguardano in particolare: la digitalizzazione e l’indicizzazione dei documenti sanitari regionali degli erogatori pubblici e privati accreditati, inclusa la relativa conservazione, ai sensi dell’articolo 44 del codice dell’amministrazione digitale (CAD); l’interoperabilità del fascicolo sanitario elettronico con l’Infrastruttura nazionale per l’interoperabilità; la corretta gestione delle anagrafi regionali degli assistiti e l’interconnessione con l’istituenda anagrafe nazionale degli assistiti, ovvero con il sistema tessera sanitaria; l’attivazione di canali alternativi per il rilascio del consenso da parte dell’assistito; la diffusione del fascicolo sanitario elettronico tra gli assistiti e gli operatori del Servizio sanitario nazionale del territorio regionale, nonché la campagna di comunicazione regionale.

  Per quanto riguarda le prenotazioni on line è in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero della salute che prevede il riparto alle regioni di ben 400 milioni di euro in tre anni (2019/2021) per l’implementazione e l’ammodernamento delle infrastrutture tecnologiche legate ai sistemi di prenotazione elettronica per l’accesso alle strutture sanitarie.

  Nel decreto sono previsti indicatori di verifica per l’erogazione dei fondi con lo scopo di arrivare a fine 2021 in una situazione in cui tutte le regioni siano dotate di un CUP regionale o interaziendale che gestisce tutte le agende (sia pubbliche che private) di tutti gli erogatori (pubblici e privati accreditati); i cittadini abbiano a disposizione almeno quattro tra i seguenti canali digitalizzati di accesso al CUP: App per smartphone; via web dall’utente; farmacie; sportello CUP in strutture convenzionate; medici di medicina generale.

  Infine il Ministero sta realizzando, utilizzando i finanziamenti del Fondo sociale europeo, il «PON GOV Cronicità – Sostenere la sfida alla cronicità con il supporto dell’ICT». Il progetto risponde all’obiettivo generale di promuovere la riorganizzazione dei processi di gestione delle cronicità tramite l’utilizzo delle tecnologie digitali attraverso la definizione; il trasferimento e il supporto dell’adozione, in ambito regionale, di un insieme di strumenti metodologici e operativi comuni, volti a supportare la definizione di modelli innovativi e di gestione delle cronicità; la ricognizione delle azioni di cambiamento necessarie alla loro attuazione; la pianificazione e la realizzazione di investimenti.

Sono arrivato all’ultima parte che riguarda la politica del farmaco. C’era una domanda dell’onorevole Carnevali, domanda rilevante (è stata fatta forse anche da altri), relativa al fondo per l’utilizzo dei farmaci innovativi. In quel momento non era ancora stata data una risposta da parte del Governo, arrivata successivamente.

  I fondi per i farmaci innovativi e innovativi oncologici sono stati istituiti con legge 11 dicembre 2016, le risorse sono confermate per dette finalità. I dati AIFA – questo può essere interessante – sui consumi del 2018 denotano una spesa di poco inferiore rispetto alle risorse messe a disposizione.

  La senatrice Marin ha chiesto sui criteri per negoziare i prezzi dei medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale. Quanto ai criteri che devono essere osservati in fase di negoziazione dei prezzi dei medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale, comunico che il decreto interministeriale finalizzato a disciplinare i menzionati criteri, nel rispetto della legge di bilancio per il 2019, è stato adottato ed è alla registrazione della Corte dei Conti.

  L’onorevole Carnevali e la senatrice Rizzotti mi hanno chiesto anche sulle forti criticità – riprendo le loro parole – nella gestione dell’AIFA. Voglio solo segnalare che è in corso la procedura selettiva per la nomina del direttore generale, a cui seguirà una revisione organizzativa generale dell’Agenzia.

  Mi è stato chiesto sulla tematica relativa alla sperimentazione dei medicinali quale fosse lo stato dei decreti previsti. Rassicuro che sono in fase di valutazione gli schemi dei decreti previsti dall’articolo 2 della legge n. 3 del 2018, predisposti dall’AIFA e sottoposti alle valutazioni tecniche degli uffici del Ministero della salute. Segnatamente: schema di decreto attuativo dell’articolo 2, comma 15, che disciplina la «fase transitoria» (antecedente alla completa attuazione del regolamento UE n. 536/2014), in relazione alle attività di valutazione delle domande di autorizzazione alle sperimentazioni cliniche e relativi adempimenti e alle modalità di interazione tra il Centro di coordinamento nazionale, i comitati etici territoriali e l’AIFA; schema di decreto attuativo dell’articolo 2, comma 5, che individua la tariffa unica da applicare al promotore della sperimentazione clinica, nonché l’importo del gettone di presenza e dell’eventuale rimborso delle spese di viaggio per la partecipazione alle riunioni del Centro di coordinamento. Sono altresì in fase di valutazione i contributi tecnici ai fini della predisposizione dello schema di decreto previsto dal comma 7 del sopracitato articolo 2, della legge n. 3 del 2018, al fine di individuare i comitati etici fino a un numero di quaranta, secondo i criteri definiti dal comma stesso e dello schema di decreto previsto dal comma 9, della richiamata legge, al fine di individuare i comitati etici a valenza nazionale nel numero massimo di tre, di cui uno riservato alla sperimentazione in ambito pediatrico.

  Spero di aver risposto con puntualità a tutte le domande che mi sono arrivate, e confido di poter continuare a costruire una relazione proattiva, positiva e collaborativa con le due Commissioni che operano con il ministero».

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