Romney all’inseguimento dell’American Dream

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Lavoro, crescita, ritorno al “sogno americano”: i cavalli di battaglia della Convention repubblicana appena conclusasi a Tampa (Florida), che ha accusato Obama di aver gravemente impoverito l’America, evocando un netto cambio di rotta all’insegna del ticket presidenziale Mitt Romney-Paul Ryan.

Momenti chiave della Convention sono stati l’intervento dell’ex segretario di stato Condoleezza Rice, del carismatico candidato vice-presidente Ryan e, ovviamente, del candidato alla Casa Bianca Romney, dai quali è emersa la visione del mondo del Gran Old Party, le paure contro cui si batte e i segmenti di elettorato cui si rivolge di più. Nonché, nel caso di Mitt Romney, quale immagine di leader far passare per conquistare, prima ancora dei voti, la fiducia degli americani.

Economy più che mai
Nel solco di un’ormai consolidata retorica politica, Romney ha dedicato una parte rilevante del suo discorso all’intreccio tra la propria biografia e i temi che stanno più a cuore agli americani. Ha insistito sulla sua dura esperienza nell’avviare un’impresa di successo, la Bain Capital, che investe nello start up e nella ristrutturazione di altre imprese, per accreditarsi come colui in grado di aiutare la ripresa economica americana. Ma anche per dimostrarsi umanamente vicino ai tanti piccoli imprenditori americani in difficoltà per la crisi economica, criticando allo stesso tempo Obama per la sua totale assenza di esperienza in fatto di impresa.

Critica che fa il paio con l’accusa di non aver saputo contribuire alla crescita dell’economia americana, che oggi conta più disoccupati, più poveri, più debito pubblico, più inflazione di quattro anni fa, quando Obama vinse le elezioni. Un quadro a tinte fosche che secondo Romney impedisce al presidente uscente di poter dire agli americani “oggi state meglio di quando mi avete eletto”.

L’economia e l’occupazione sono il cuore dell’offerta politica di Romney, con tutte le altre promesse – l’autosufficienza energetica entro il 2020, la riforma dell’istruzione primaria, la stipula di nuovi accordi commerciali internazionali, la riduzione di deficit e debito pubblico, il sostegno alle piccole imprese, persino la cancellazione della riforma sanitaria di Obama – presentate come funzionali a creare opportunità di lavoro. Opportunità e non posti di lavoro, perché la narrativa di Romney si richiama soprattutto al valore del fare impresa e del correre il rischio, all’importanza di creare ricchezza piuttosto che alla sua redistribuzione.

Nella visione repubblicana delineata a Tampa passano quindi in secondo piano tanto la politica estera quanto le questioni etiche o religiose. Due altri temi emergono invece dal discorso del candidato repubblicano. In primo luogo il richiamo a una nazione di figli e nipoti di immigrati – tra cui anche il padre di Romney, nato in Messico – che non solo accoglie chi arriva in cerca di un futuro migliore, ma trae vigore da ogni nuova generazione in cerca del suo American Dream, del “sogno americano”.

Richiamo importante in chiave elettorale perché è tra le minoranze etniche, in primo luogo quella ispanica, che Romney deve recuperare il terreno perso su Obama. Lo stesso svantaggio è accusato dai repubblicani tra l’elettorato femminile, a cui erano probabilmente rivolti non solo gli ampi riferimenti di Romney alla moglie – tipici di ogni candidato alla Casa Bianca – ma a donne in carriera come sua madre, che si candidò per un seggio al Senato, la sua vice quando era governatore del Massachusetts, le tre governatrici repubblicane intervenute alla Convention di Tampa e, infine, Condoleezza Rice.

Dall’Alabama al mondo
La Rice è partita invece dalla politica estera e di difesa, accusando Obama di non aver sostenuto abbastanza gli alleati chiave come Israele o gli oppositori democratici nei regimi tirannici e spingendosi anche a mettere in dubbio la coerenza morale degli Usa: “da che parte sta davvero l’America?”. Un’accusa sul piano ideale, riferita in particolare alle Primavere arabe, cui segue il pragmatico riconoscimento che i cittadini americani oggi sono stanchi del peso – in termini umani ed economici – degli interventi militari all’estero. Secondo la Rice, tuttavia, l’America non ha alternative ad esercitare pienamente la sua leadership mondiale e non può più farlo – come Obama – in modo indiretto (“from behind”): un minor ruolo Usa corrisponderebbe infatti ad un aumento del caos internazionale o all’ascesa di potenze con interessi e valori opposti a quelli americani.

In entrambi i casi, secondo la narrativa repubblicana, alla fine ne sarebbe fortemente danneggiata tanto la sicurezza che la prosperità economica del paese, così come quello che anche secondo Rice è il vero “sogno americano”: l’idea che una persona di origini modeste possa realizzare una carriera scintillante, come ha fatto la figlia di colore di una maestra dell’Alabama segregazionista, che da piccola non poteva neanche andare al cinema, diventata la prima segretaria di stato afro-americana nella storia degli Stati Uniti.

La forza del vice
Paul Ryan – 42enne deputato del Wisconsin eletto al Congresso a soli 28 anni – si è invece concentrato maggiormente sulla politica economica attuata da Obama e su quella promessa dai repubblicani. Senza attacchi eccessivamente fuori le righe – uno standard minimo di fair play adottato anche da Romney – Ryan ha evidenziato come i pacchetti di stimolo all’economia e la riforma sanitaria adottati da Obama abbiano aumentato il debito pubblico del 60% in quattro anni (da 10 a 16 mila miliardi di dollari), senza far uscire l’America dalla crisi economica e soprattutto occupazionale. L’autore di diverse proposte di legge in fatto di welfare ha anche promesso di rafforzare il programma pubblico di aiuto agli anziani, Medicare, cercando così di evitare l’immagine di un partito repubblicano sordo alle esigenze di protezione sociale, impegnandosi però allo stesso tempo a ridurre la spesa federale al 20% del Pil.

Il discorso di Ryan, così come altri tenuti alla Convention repubblicana, ha puntato sull’elettorato deluso da Obama dopo le grandi aspettative del 2008, cercando di presentarlo come un presidente che “deve rendere conto” della pessima situazione economica attuale.

Nel complesso, la Convention ha sciolto diversi nodi sull’identità e l’offerta politica del ticket Romney-Ryan, fornendo le linee guida della strategia dei repubblicani nei prossimi due mesi. Che saranno chiave per il futuro non solo degli Usa.

 

Alessandro Marrone, AffariInternazionali.it, ricercatore presso l’Area Sicurezza e Difesa dello Iai

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