La situazione dei diritti umani nella Repubblica Islamica dell’Iran

Il 26 giugno, mentre a Stoccolma poco più di un centinaio di persone si riunivano per protestare davanti all’ambasciata iraniana, ove alcuni manifestanti riuscivano a penetrare, provocando incidenti con il personale iraniano poi risolti dall’intervento della polizia svedese, un appartenente ai ranghi più elevati del clero iraniano, l’ayatollah Ahmed Khatami, invocava una punizione senza pietà per i capi della protesta, non escludendo nemmeno la pena capitale.

Nella stessa giornata il Vertice dei ministri degli esteri del G8 tenutosi a Trieste ha pronunciato una forte condanna per le perdite di vite umane in seguito alla repressione delle manifestazioni di protesta in Iran, invitando la Repubblica islamica al rispetto dei diritti fondamentali, ma evitando toni troppo duri, suscettibili di provocare una rottura non coerente con la prosecuzione degli sforzi per risolvere la questione del nucleare iraniano.

Il 27 giugno, mentre nell’Università si teneva una piccola e pacifica veglia in memoria delle vittime delle proteste, secondo Human Rights Watch la milizia dei Basij effettuava raid notturni, con bastonature di cittadini e distruzione di cose, nel tentativo di porre fine alle proteste sui tetti delle case che avevano caratterizzato la mobilitazione sin dall’inizio.

L’atteggiamento repressivo delle autorità iraniane si è inoltre manifestato su un altro fronte, con l’arresto di otto impiegati dell’ambasciata britannica -di cui solo quattro trattenuti.

Il 29 giugno il Consiglio dei guardiani ribadiva la vittoria di Ahmadinejad, dopo aver proceduto al riconteggio del 10 per cento dei voti. In seguito all’annuncio, si verificavano nelle strade della capitale nuove manifestazioni di protesta, con rinnovati scontri. Nel frattempo a Parigi migliaia di dimostranti davano vita a una manifestazione di solidarietà con le proteste in Iran, mentre le autorità egiziane, che pure pochi giorni prima avevano denunciato l’azione repressiva del governo di Teheran, proibivano una marcia di solidarietà nelle strade del Cairo in onore di Neda Soltan.

Il 30 giugno veniva riferito che gli oppositori del governo iraniano, in risposta alla chiusura di alcuni giornali, avevano iniziato a tracciare graffiti antigovernativi sui muri della città.

Il 2 luglio migliaia di parenti di vittime della repressione dei giorni precedenti marciavano verso il cimitero nel quale erano state disposte sepolture di massa per le vittime, e nel quale è sepolta anche Neda Soltan. Anche in questo caso vi sarebbe stato un pesante intervento poliziesco. Ciononostante, il 4 luglio migliaia di persone hanno commemorato Neda Soltan nel cimitero di Behesht, circondando la sua tomba con petali di rosa. Nella città santa di Qom, l’assemblea degli insegnanti e degli studiosi del diritto islamico, importanti protagonisti della formazione del clero sciita, dichiarava illegittime le elezioni vinte da Ahmadinejad.

Il 21 luglio vi è stato un nuovo intervento repressivo a Teheran, contro una manifestazione con alcune centinaia di partecipanti, decine dei quali sarebbero stati arrestati. Già prima della manifestazione il capo della polizia aveva preannunciato fermezza contro ogni altra dimostrazione dell’opposizione, accusandola di diffondere sedizione nel paese.

Nella parte finale del mese di luglio e in agosto si è assistito a un parziale affievolimento del movimento di protesta, sia per una prevedibile dinamica interna, sia per effetto di una repressione meno eclatante che nei primi giorni, ma – a detta di molti appartenenti all’opposizione di piazza – piuttosto capillare ed efficace. Si sono inoltre celebrati quattro processi collettivi per le manifestazioni post-elettorali, nei quali sono comparsi alla sbarra anche numerosi esponenti di rilievo del fronte riformista.

Sul fronte dell’opposizione va segnalato che dopo aver denunciato più volte abusi sessuali e maltrattamenti avvenuti in carcere ai danni di manifestanti arrestati per le contestazioni post-elettorali, il 13 agosto Kharroubi, uno dei candidati sconfitti, ha rincarato la dose, pubblicando sul proprio sito Internet notizie di torture perpetrate nelle prigioni iraniane a danno di giovani manifestanti, alcuni dei quali ne sarebbero morti. Kharroubi ha anche ribadito le accuse in merito agli abusi sessuali, annunciando la prossima presentazione di prove inoppugnabili, e ha chiesto l’intervento di una commissione per accertare la verità sulle morti sotto tortura. Quattro giorni dopo, il giornale facente capo a Kharroubi è stato chiuso dalla censura governativa, e le proteste di alcuni manifestanti sono state duramente represse.

Alla metà di settembre si è avuta la massiccia ripresa del movimento di opposizione, con migliaia di manifestanti che hanno riempito le piazze di Teheran, inserendosi abilmente nel contesto delle annuali manifestazioni del regime contro Israele e a sostegno dei palestinesi, e nonostante i pesanti ammonimenti preventivi delle forze conservatrici. Il 23 settembre è stata arrestata la responsabile dell’ufficio politico del principale partito riformista iraniano, il Fronte della partecipazione, mentre tra il 9 e il 13 ottobre sono stati condannati a morte – con decisione ancora appellabile – cinque partecipanti alle manifestazioni dei mesi precedenti, quasi tutti appartenenti a organizzazioni a vario titolo illegali.

Lo stesso Karrubi, uno degli sfidanti di Ahmadinejad nelle presidenziali di giugno, è stato messo sotto inchiesta da parte di una corte speciale islamica -Karrubi è infatti un religioso sciita, e quindi non sottoposto alla giurisdizione islamica – come reazione alle denunce da lui sollevate per presunti stupri avvenuti su manifestanti in stato di detenzione.

Il 4 novembre il movimento di protesta ha nuovamente invaso la capitale e numerose altre città, stavolta sfruttando la ricorrenza del trentennale dell’assalto vincente all’Ambasciata USA a Teheran: si sono verificati violenti scontri, e per la prima volta la protesta si è indirizzata anche contro la Guida Suprema Khamenei, giudicata troppo sbilanciata a favore di Ahmadinejad. Le accuse a Khamenei sono state reiterate il 7 dicembre da manifestazioni studentesche nella capitale, durante le quali si è giunti a bruciare immagini della Guida Suprema: oltre duecento persone sono state arrestate, mentre il giorno seguente il leader dell’opposizione Moussavi è stato assediato nel suo ufficio all’Accademia delle arti da un gruppo ristretto ma minaccioso di attivisti fondamentalisti. Nel frattempo la spirale repressiva colpiva anche il giornalista economico Saeed Leylaz, che dopo la chiusura del giornale finanziario Sarmayeh subiva una condanna a nove anni di carcere.

Più in generale, verso la fine del 2009 emergeva con chiarezza il giro di vite che le autorità di governo hanno inteso imprimere nei confronti dell’opposizione: un primo bilancio parla di 3.700 persone arrestate – peraltro quasi tutte rilasciate -, della celebrazione di cinque processi pubblici di massa, dell’uccisione di 72 manifestanti nelle strade o durante interrogatori o sevizie in carcere, della condanna a pene detentive di 81 oppositori e di cinque condanne a morte. La stretta autoritaria sarebbe stata completata con l’unificazione sotto un’unica regia di sette servizi di sicurezza, da un appesantimento della censura sulla stampa di opposizione, dal contrasto alle idee e alle mode occidentali perseguito mediante la nomina di un esponente del clero per ogni scuola.

Il 21 dicembre i funerali dell’ayatollah Montazeri – carismatica guida spirituale, non direttamente impegnato in politica, ma vicino al movimento di protesta – svoltisi nella città santa di Qom, sono stati l’occasione di un nuovo imponente raduno del movimento di protesta, contrastato dalla consueta repressione, giunta fino a presidiare con gruppi di miliziani la casa dello scomparso. Altri appartenenti alla milizia dei Basiji hanno assalito l’automobile di Moussavi, che il giorno dopo veniva sollevato dall’incarico di presidente dell’ Accademia delle arti, della quale era a capo sin dalla fondazione, avvenuta undici anni fa.

L’ondata di proteste è proseguita il 23 dicembre nella città di Isfahan per una cerimonia in ricordo dell’ayatollah Montazeri, a seguito della quale vi sono sati numerosi arresti e feriti. Il 26 dicembre, poi, all’ex presidente Khatami è stato vietato di prendere la parola durante una cerimonia in una moschea situata nel quartiere settentrionale di Teheran, nel comprensorio dove abitò e lavorò l’ayatollah Khomeini. Anche numerosi manifestanti che erano accorsi per ascoltare il discorso in programma di Khatami sono stati dispersi, e vi sono stati ancora una volta numerosi arresti. Gli scontri sono proseguiti il 27 dicembre in occasione della commemorazione dell’ayatollah Montazeri a sette giorni dalla morte: il 28 dicembre la stessa televisione di Stato iraniana ha ammesso il numero di 15 morti nelle sole proteste degli ultimi giorni. La repressione si è indirizzata in particolare contro i sostenitori di Moussavi, ai quali è stato impedito di celebrare un pubblico funerale a suffragio del nipote del leader riformista, ucciso negli scontri dei giorni precedenti, per scongiurare una nuova occasione di riunione dell’Onda Verde.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *