L’Unione di Centro per la riforma delle professioni

riforma-professioni Il testo della relazione dell’on. Pierluigi Mantini, presidente della Consulta Professioni dell’Unione di Centro.

Indice sommario – 1. Premessa; 2. I principi; 3. Circa la costituzionalità della delegificazione; 4. Contenuti e innovazioni della riforma: profili generali; 5. La pubblicità per migliorare l’offerta e la concorrenza; 6. L’obbligo di assicurazione a garanzia degli utenti; 7. Un tirocinio più breve per l’accesso alla professione; 8. La formazione permanente; 9. il nuovo sistema disciplinare; 10. Sintesi della riforma delle professioni

1. PREMESSA

Dopo molti anni di lavori intensi e contrapposizioni spesso laceranti, con il governo Monti è arrivata una buona riforma delle professioni. Moderna, ragionevole, europea.

Nell’economia della conoscenza e dei servizi, nell’epoca del capitalismo intellettuale e della sussidiarietà, le professioni che si trasformano sono essenziali.

Quattro milioni di “lavoratori della conoscenza”, due organizzati in ordini e collegi riformati, l’altra metà nelle nuove professioni “non regolamentate”, il 12% del PIL, mercati del lavoro decisivi per la competitività, la coesione sociale e il futuro dei giovani.

Mercati con proprie regole ed esigenze per favorire qualità e responsabilità, motore della sussidiarietà, della semplificazione, dell’internazionalizzazione. I principali obiettivi della riforma:

  1. sviluppo della concorrenza (abolizione delle tariffe e pubblicità informativa);
  2. sviluppo delle società professionali, con socio di capitale non superiore a un terzo;
  3. più garanzie per imprese e cittadini, con l’obbligo di assicurazione e della formazione permanente;
  4. più responsabilità, separando il sistema di disciplina dai consigli degli ordini;
  5. favorire l’accesso dei giovani, con la riduzione del tirocinio.

Naturalmente i temi sono complessi e sarà necessaria un’attuazione attenta alla verifica dei risultati e ai miglioramenti che si renderanno necessari

L’UDC, che da anni si batte per la riforma delle professioni e che ha condotto con il ministro Paola Severino un confronto costruttivo per un esito ragionevole, continuerà a vigilare e stimolare soluzioni moderne, soprattutto in materia di società professionali, di una più estesa previsione dell’equo compenso per i praticanti e della migliore garanzia della previdenza professionale, nel rispetto dell’autonomia delle Casse.

2. I PRINCIPI

L’art. 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, ha stabilito i seguenti principi di delegificazione :

a) l’accesso alla professione deve essere libero e fondato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista; il numero chiuso, su base territoriale, è consentito solo per particolari ragioni di interesse pubblico (come ad esempio la tutela della salute umana), ma alcuna limitazione può fondarsi su discriminazioni dirette o indirette basate sulla nazionalità, ovvero sulla ubicazione della sede della società professionale;

b) il tirocinio per l’accesso deve avere (per disposizione di norma primaria) durata non superiore ai diciotto mesi e deve garantire l’effettivo svolgimento dell’attività formativa ed il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione;

c) la formazione continua permanente è obbligatoria ed è sanzionata disciplinarmente la violazione di tale obbligo;

d) l’assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale è obbligatoria e di essa deve essere data notizia al cliente;

e) la pubblicità informativa deve essere consentita con ogni mezzo e può anche avere ad oggetto, oltre all’attività professionale esercitata, i titoli e le specializzazioni del professionista, l’organizzazione dello studio ed i compensi praticati;

f) la funzione disciplinare deve essere affidata ad organi diversi da quelli aventi funzioni amministrative; allo scopo è prevista l’incompatibilità della carica di consigliere dell’Ordine territoriale o di consigliere nazionale con quella di membro dei consigli di disciplina territoriali e nazionali.

Come ritenuto nella relazione tecnica al decreto, non costituisce principio di delegificazione né quindi lacuna normativa la mancata previsione della facoltà “per le professioni che esercitano attività similari di accorparsi su base volontaria” come previsto dall’art. 3, comma 5, alinea, del decreto legge 138/2011 come modificato dall’art. 9 del decreto legge 1/2012: il profilo è stato rilevato nei pareri parlamentari ma non dal Consiglio di Stato, e sul punto va rilevato che la facoltà prevista dalla norma primaria è affermata al di fuori quindi dei principi di delegificazione enucleati nella medesima disposizione (lettere da a) ad f). La norma, infatti, non dà alcuna indicazione sui limiti e modalità del previsto accorpamento, rimesso alla necessaria modifica degli ordinamenti coinvolti.

L’interpretazione appare corretta anche alla luce della genesi dei lavori parlamentari. Tuttavia merita di essere evidenziato il rilievo del principio che consente l’accorpamento di ordini similari e la creazione di nuove figure con skill professionali più adeguati alle richieste dei mercati: in passato ciò è avvenuto per l’unificazione degli albi dei commercialisti, dei ragionieri e dei revisori contabili, ora risulta attuale il progetto di unificazione tra periti industriali, agrari e geometri per la creazione di un’unica figura di “tecnico laureato”, con laurea triennale e specializzazioni (amplius, v. Iogna G. La grande opportunità. Riformare le professioni tecniche al tempo della crisi, Novecentomedia, 2012).

Il processo di fusione di alcuni albi “storici” contiene molte opportunità in termini di modernizzazione e anche di consolidamento delle platee previdenziali. E’ chiaro che implica il pieno coinvolgimento dei soggetti professionali e interessati.

3. CIRCA LA COSTITUZIONALITÀ DELLA DELEGIFICAZIONE

La compatibilità con il sistema costituzionale delle fonti dello strumento attuativo dei principi di delegificazione è stata valutata tenendo conto, da un lato, della materia trattata (professioni) e, dall’altro, dei limiti che la legge assegna ai regolamenti di delegificazione (materie non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione).

Come noto, l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione individua, tra le materie di legislazione concorrente, le professioni, cosicché si pone in astratto il problema della competenza ad emanare regolamenti (anche di delegificazione), considerato che la potestà regolamentare spetta alle Regioni in materie diverse da quelle di legislazione esclusiva (articolo 117, comma 6, Cost.). A giudizio del Governo il problema della legittimità dell’attività normativa di delegificazione, in materia di professioni, va valutato avuto riguardo al più ampio contesto sistematico in cui si colloca la normativa che ha introdotto i principi di liberalizzazione enunciati. Le norme del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, sono ispirate dall’esigenza di incentivare lo sviluppo economico, da attuarsi mediante la piena tutela della concorrenza tra imprese. A tal fine viene dettata una normativa, che, complessivamente ispirata al principio della libertà d’impresa, realizza l’abrogazione delle indirette restrizioni all’accesso ed all’esercizio delle professioni e delle attività economiche .

La materia della professioni viene dunque presa in esame, nel più ampio quadro delle attività che costituiscono esplicazione dell’autonomia economica privata, quale settore, la cui liberalizzazione mira indirettamente alla tutela della concorrenza, espressamente rimessa alla legislazione esclusiva dello Stato dalla lettera e) del secondo comma dell’articolo 117 Cost. La lettura della normativa in questione, in chiave di garanzia della libera concorrenza e del mercato aperto, è favorita dalla pacifica qualificazione delle attività delle libere professioni quali servizi (articolo 57, par. 2, lett. d), TFUE), la cui prestazione non può essere soggetta a restrizione alcuna (articolo 56 TFUE). Nella Relazione del governo si osserva sul punto che la disciplina sulle professioni ha, per taluni aspetti, un suo carattere necessariamente unitario. In tal caso, “la competenza concorrente delle Regioni è destinata a lasciare il passo al solo intervento statale (il principio è stato affermato dalla Corte costituzione in relazione alla individuazione di nuove figure professionali, che non può essere rimessa alla normativa regionale: v. C. cost. n. 153/2006 e n. 57/2007). La medesima esigenza di unitarietà della disciplina può essere senz’altro avvertita per le materie (accesso, tirocinio, formazione continua, assicurazione dai rischi professionali, disciplinare, pubblicità commerciale) rimesse alla delegificazione, trattandosi con evidenza di profili ordinamentali che non hanno uno specifico collegamento con la realtà regionale (da cui la Corte costituzionale fa derivare la natura concorrente) e che impongono piuttosto una uniforme regolamentazione sul piano nazionale”. E’ un punto di vista condivisibile ma il tema sarà oggetto di un ricorso giurisdizionale annunciato dal Consiglio Nazionale Forense.

4. CONTENUTI E INNOVAZIONI DELLA RIFORMA: PROFILI GENERALI
Il decreto si apre con una disposizione contenente la definizione di ‘professione regolamentata’ e di ‘professionista’. Il tema è stato a lungo controverso e la scelta fatta è chiara e coraggiosa.

La professione regolamentata è definita come l’attività, o l’insieme delle attività, riservate o meno, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in ordini o collegi, allorché l’iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento di specifiche professionalità.

Secondo una specifica indicazione del Consiglio di Stato, si è escluso, nella versione definitiva del regolamento,che l’applicazione delle disposizioni regolamentari riguardasse anche soggetti inseriti in qualsiasi albo, registro o elenco tenuti da amministrazioni o enti pubblici, così interpretando, in senso restrittivo, il dato normativo primario che riferisce la riforma alle “professioni regolamentate”. Con la modifica apportata il testo si conforma ad analoga osservazione avanzata dalle Commissioni parlamentari.
Solo a tali professioni regolamentate si applicano, dunque, le disposizioni del decreto di riforma, salve le specifiche deroghe contenute nella legge di delegificazione per le professioni sanitarie sia in tema di formazione continua permanente che in materia di istituzione di organi disciplinari.

La norma definitoria fa espresso riferimento all’ipotesi di riserva dell’attività, limitandola ai soli casi espressamente previsti dalla legge. Nei restanti casi, pertanto, nessuna attività sarà riservata. E’ un approdo realistico, conforme alla Costituzione, che riconosce l’esistente per innovare, evitando le brumose dispute sulla natura, imprenditoriale o meno, della professione.

L’articolo 2, in tema di accesso ed esercizio dell’attività professionale, premettendo che resta necessariamente ferma la disciplina dell’esame di Stato, quale prevista in attuazione dei principi di cui all’articolo 33 della Costituzione, conferma i principi contenuti nella norma di delegificazione sulla libertà di accesso alle professioni regolamentate e sul correlativo divieto di limitazione alla iscrizione agli albi professionali se non in forza di previsioni inerenti il possesso o il riconoscimento dei titoli previsti per l’esercizio della professione. Limitazioni possono essere consentite dalla presenza di condanne penali o disciplinari irrevocabili.

Nella stessa disposizione è correlativamente affermato il principio, contenuto nella norma primaria, della libertà dell’esercizio delle professione, fondato su autonomia di giudizio intellettuale e tecnico.
Il comma 3 dell’articolo 2 sviluppa il divieto, contenuto nella legge di delegificazione, di introdurre limitazioni del numero di persone abilitate ad esercitare la professione su tutto o parte del territorio dello Stato (salve deroghe fondate su ragioni di pubblico interesse, quale la tutela della salute). Recependo le osservazioni contenute nel parere del Consiglio di Stato sul punto, è stato eliminato l’ultimo periodo del comma 3 sulla salvezza delle limitazioni derivanti dall’attività svolta alle dipendenze di enti o di altri professionisti, mentre rimane l’espressa salvezza dell’applicazione delle disposizioni sull’esercizio delle funzioni notarili e il richiamo generale alle limitazioni derivanti da norme primarie connesse alla tutela della salute. Viene inoltre ribadito il divieto di limitazioni discriminatorie all’accesso e all’esercizio della professione, fondate sulla nazionalità del professionista o sulla sede legale della società. E’ chiaro che restano estranei alla delega i temi della eventuale riforma degli esami di Stato (che pure possono costituire irragionevoli “barriere all’accesso”) e dell’eventuale istituzione di “numeri chiusi”, o altri criteri selettivi, per l’iscrizione alle università.

L’articolo 3 afferma il principio della pubblicità degli albi professionali territoriali, il cui insieme forma l’albo unico nazionale degli iscritti, che è tenuto dal consiglio nazionale di ciascun ordine o collegio. Gli albi territoriali, i cui dati è previsto che siano trasmessi telematicamente, ai fini dell’aggiornamento, all’albo unico nazionale, svolgono funzione di raccolta dei dati anagrafici degli iscritti e recano le annotazioni dei provvedimenti disciplinari adottati nei loro confronti.

E’ stato deciso che l’albo unico nazionale previsto dall’articolo 3, comma 2, del regolamento, è costituito quale insieme degli albi unici territoriali di ogni professione, senza che questi siano privati in alcun modo della loro valenza istituzionale autonoma. L’aggregazione degli albi territoriali stabilita dalla norma è infatti essenzialmente funzionale a una migliore organizzazione e gestione delle informazioni contenute negli albi, intesi come banche dati. Sul punto non ci sono state obiezioni da parte degli ordini.

5. LA PUBBLICITÀ PER MIGLIORARE L’OFFERTA E LA CONCORRENZA

Nel concetto di pubblicità informativa, previsto dalla norma di delega, deve comprendersi, logicamente, la pubblicità comparativa in termini assoluti e non quella comparativa in senso stretto, tradotta con raffronti relativi ad altri specifici professionisti (ossia la pubblicità comparativa – negativa). Tale pubblicità è ammessa con ogni mezzo e può concernere anche le specializzazioni ed i titoli posseduti dal professionista, l’organizzazione dello studio professionale, nel senso della sua composizione, nonché i compensi richiesti per le prestazioni. E’ stata accolta una nozione ampia e le prassi dovranno essere sorvegliate.

Nella Relazione si afferma che le informazioni rese mediante pubblicità devono essere strettamente funzionali all’oggetto, in tal modo assorbendosi ogni necessità di riferimenti ambigui alla dignità e al decoro professionale, devono rispettare criteri di veridicità e correttezza e non possono essere equivoche, ingannevoli o denigratorie, né, logicamente, devono violare l’obbligo del segreto professionale. Di contrario avviso rispetto alle indicazioni del Consiglio di Stato, è stata mantenuta la connotazione della pubblicità come “funzionale all’oggetto”, perché ritenuta utile ad evitare che la pubblicità possa assumere caratteri di eccentrica estraneità ai contenuti professionali stessi.

Il comma 3 stabilisce che la pubblicità scorretta ed ingannevole integra per il professionista che l’ha adottata illecito disciplinare. Si è integrata la norma, come suggerito dal Consiglio di Stato, specificando che la medesima condotta integra una violazione delle disposizioni contenute nel codice del consumo e concernenti la pubblicità ingannevole.

6. L’OBBLIGO DI ASSICURAZIONE A GARANZIA DEGLI UTENTI

Sono stati definiti i confini dell’obbligo, cui è tenuto il professionista, di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività. Viene precisato, nella Relazione e nel testo, che il rischio da coprire con l’assicurazione obbligatoria prevista dalla norma primaria di delegificazione è quello relativo ai danni derivanti al “cliente”, con ciò facendo riferimento alla instaurazione di un rapporto di clientela, nel senso tradizionale della prestazione di un servizio professionale diretto al cliente che lo commette. Ne deriva la necessità di non introdurre alcuna eccezione all’obbligo assicurativo previsto dalla norma primaria, lasciando all’interprete di valutare quando vi sia o no un rapporto di clientela, tale da imporre l’obbligo di assicurazione. Più in generale, la specificazione dell’oggetto dell’assicurazione, riferito alla copertura per i danni derivanti al cliente, consente di escludere, con riferimento alle diverse modalità di configurazione del rapporto professionista-cliente, che l’obbligo in questione possa riguardare il professionista che operi nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente (coperto da altra forma di garanzia della responsabilità, ma il punto è ancora controverso).

Sempre in relazione all’oggetto dell’assicurazione professionale, è specificato che essa riguarda anche i danni connessi alla custodia di documenti o valori ricevuti dal cliente. L’obbligo assicurativo è affiancato da un obbligo informativo del cliente circa gli estremi della polizza, il massimale e le variazioni eventuali delle condizioni.

Come ritenuto necessario dal Consiglio di Stato – sulla scorta di una interpretazione della norma primaria letterale e più restrittiva di quella declinata nel testo sottoposto in prima lettura – viene previsto che le condizioni generali delle polizze assicurative possono essere negoziate dai consigli degli ordini o collegi, ovvero dagli enti previdenziali dei professionisti.

Non si è ritenuto possibile accogliere l’istanza espressa nei pareri delle Commissioni parlamentari volta a introdurre un obbligo delle compagnie di assicurazione alla stipula delle polizze, stabilendo le relative condizioni generali. La norma primaria non conferisce infatti alcuna delega esplicita sul punto, che, ove considerata, comporterebbe una deroga ai principi di libertà di iniziativa economica. Né vi sono dunque i principi generali primari in riferimento ai quali declinare l’ipotetico obbligo a contrarre (Cons. di Stato, 28 febbraio 2002, n. 1120). Resta ferma l’applicazione della normativa generale in tema di concorrenza, per cui l’eventuale pratica di condizioni contrattuali di cartello da parte delle compagnie assicuratrici costituirebbe un illecito, con conseguente applicabilità della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette e antitrust.

Neppure può trovare spazio la modifica, auspicata dalle Commissioni parlamentari, al sistema di esazione dei contributi di quei professionisti al fine di garantire la tenuta del sistema vigente (nell’ordinamento notarile) della polizza collettiva di assicurazione. Si tratta di una materia del tutto estranea ai criteri di delegificazione.

Rispetto allo schema approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, all’articolo 5, è aggiunto il comma 3, per il quale l’obbligo di assicurazione acquista efficacia decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto, al fine di consentire la negoziazione delle convenzioni collettive previste nella medesima disposizione, così da permetterne un’implementazione coerente e completa. Viene in tal modo assentita una condizione posta dalle Commissioni parlamentari, che espressamente riferiscono di aver fatto proprie istanze emerse nelle audizioni delle categorie professionali interessate, in cui è stata sottolineata la necessità operativa di un differimento dell’efficacia della norma in esame.

7. UN TIROCINIO PIÙ BREVE PER L’ACCESSO ALLA PROFESSIONE

La materia è stata in parte rilegificata da un duplice intervento: l’articolo 33, comma 2, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 che ha ridotto da tre anni a diciotto mesi la durata massima del tirocinio; l’articolo 9, comma 6, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, che ha ribadito, con norma immediatamente precettiva, la durata massima del tirocinio per l’accesso alle professioni; ha stabilito la possibilità che, per i primi sei mesi, il tirocinio possa essere svolto in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea, sulla base di convenzioni tra i consigli nazionali degli ordini ed il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca; ha escluso la pregressa previsione di un compenso per il tirocinante (soluzione criticabile).

Il residuo ambito di delegificazione riguarda pertanto l’aspetto relativo all’effettivo svolgimento dell’attività formativa del tirocinante e l’adeguamento costante della stessa, in funzione della garanzia di serietà e adeguatezza del servizio professionale da prestare.

La riforma ha dunque ribadito l’obbligatorietà del tirocinio ove previsto dai singoli ordinamenti professionali e la sua durata massima di diciotto mesi; la previsione della obbligatorietà del tirocinio per i soli ordinamenti professionali che lo prevedano e la precisazione della durata massima del periodo come stabilito dalla norma primaria costituiscono integrazioni del testo operate sulla scorta delle indicazioni del Consiglio di Stato:

  • definisce il tirocinio come addestramento a contenuto teorico-pratico finalizzato a conseguire le capacità necessarie per l’esercizio della professione e la gestione organizzativa dello studio professionale;
  • pone l’iscrizione nel registro dei praticanti (tenuto presso l’ordine o il collegio) territoriale quale condizione per lo svolgimento del tirocinio;
  • stabilisce, al fine di rendere effettiva ed adeguata la formazione, il requisito di cinque anni di anzianità per il professionista affidatario ed il tetto di tre praticanti contemporaneamente; viene fatta salva la possibilità di deroga per autorizzazione del consiglio dell’ordine o collegio competente, cui è rimessa, come suggerito dal Consiglio di Stato, la potestà regolamentare di stabilire i criteri concernenti l’attività professionale del richiedente e l’organizzazione della stessa che consentano di derogare al tetto di tre praticanti come stabilito in via ordinaria; la potestà regolamentare dei consigli nazionali è bilanciata dall’intervento nel procedimento del ministro vigilante, chiamato a esprimere un parere vincolante sulla selezione dei predetti criteri. Sul punto non è stata ritenuta fondata l’osservazione delle Commissioni parlamentari per cui non corrisponderebbe ai principi di delegificazione la disposizione del comma 3 dell’articolo 6, nella parte in cui dispone che il professionista affidatario debba avere almeno cinque anni di anzianità e non invece un’anzianità inferiore con conseguente maggiore flessibilità organizzativa. La norma costituisce invero attuazione del principio di effettività e serietà dell’attività di formazione teorico-pratica ed è pertanto il frutto di un legittimo esercizio della discrezionalità (latamente) legislativa, conforme alla delega, come peraltro confermato dal parere del Consiglio di Stato che nulla rileva in proposito;
  • introduce la possibilità che il tirocinio possa essere svolto, per un periodo non superiore a sei mesi, presso enti o professionisti di altri Paesi (non vi sono, come ipotizzato dal Consiglio di Stato, ostacoli derivanti dalla normativa comunitaria a regolare il tirocinio professionale limitando a un certo tempo il periodo extra nazionale riconoscibile ai fini dell’assolvimento dell’obbligo in questione, relativo infatti all’accesso alla professione nazionale e non al riconoscimento del correlativo titolo ai fini dell’esercizio extra UE) e ribadisce la possibilità che, per i primi sei mesi, il tirocinio possa essere svolto in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea, sulla base di convenzioni tra i consigli nazionali competenti ed il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, nonché, per lo svolgimento del tirocinio presso pubbliche amministrazioni, di convenzioni tra i consigli nazionali degli ordini o collegi e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione (come da successiva rilegificazione ex art. 9 comma 6 del decreto legge n. 1 del 2012 come convertito);
  • stabilisce che, in funzione dell’effettività e serietà del tirocinio, esso possa essere svolto anche in costanza di rapporto di pubblico impiego o di rapporto di lavoro subordinato privato, purché detti rapporti di lavoro siano regolati, quanto alla modalità di svolgimento e agli orari previsti, in modo da consentire l’effettivo svolgimento del tirocinio. Seguendo le osservazioni del Consiglio di Stato, è stata eliminata l’incompatibilità della pratica del tirocinio con il solo rapporto di pubblico impiego ed è stata completamente equiparata la disciplina in questione con il rapporto di lavoro subordinato privato;
  • esclude la configurabilità dell’attività di tirocinio come rapporto di lavoro subordinato, salva la corresponsione di un equo indennizzo previsto dall’articolo 9, comma 4, ultimo periodo, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1;
  • ancora in funzione della serietà della preparazione, prevede che l’interruzione del tirocinio per oltre tre mesi, senza giustificato motivo, determini l’inefficacia del periodo già svolto ai fini dell’adempimento dell’obbligo formativo; di contro, una interruzione giustificata è consentita per una durata massima di nove mesi, salva la necessità per il tirocinante di completare l’intero periodo previsto (viene disatteso l’invito del Consiglio di Stato a rendere meno gravosa la previsione, eventualmente prevedendo puramente e semplicemente un periodo di interruzione più ampio; il parere della Sezione consultiva non sembra infatti coerente con le scelte di fondo del regolamento sull’attuazione del principio dell’effettivo svolgimento dell’attività formativa affermato dalla norma primaria);
  • impone la soggezione dei praticanti alle norme deontologiche dei professionisti abilitati ed al medesimo regime disciplinare;
  • individua, quali modalità di tirocinio, la pratica svolta presso lo studio professionale e la frequenza con profitto, facoltativa ed alternativa, di specifici corsi di formazione professionale organizzati dagli ordini o dai collegi, nonché da associazioni o enti autorizzati dai consigli nazionali degli ordini o collegi con intervento ministro vigilante, nel procedimento deliberativo consiliare, volto a vincolare gli ordini o collegi anche nel senso dell’accoglimento dell’autorizzazione che si intenda negare (è quindi specificamente previsto, con evidente finalità di tutela verso comportamenti anticoncorrenziali da parte degli organi dotati di potere autorizzatorio, che i consigli nazionali trasmettano motivata proposta di delibera, anche di diniego dell’autorizzazione, al ministro vigilante al fine di assumere un parere vincolante sul punto e, quindi, eventualmente inducendo al rilascio di una autorizzazione che si intende negare. Sul punto resta ferma, diversamente da quanto ritenuto dalle Commissioni parlamentari, la possibilità che i corsi di formazione siano organizzati da soggetti diversi anche dalle associazioni professionali; va rilevato che la legge di delegificazione non solo consente, ma, in chiave di liberalizzazione, impone che i corsi possano essere organizzati da soggetti estranei agli ordini e collegi ovvero alle associazioni dei relativi iscritti); correlativamente i consigli nazionali degli ordini o collegi, previo parere favorevole del ministro vigilante, emanano un regolamento attuativo concernente: a) le modalità e le condizioni per l’istituzione dei corsi di formazione (con l’obiettivo espresso di garantire libertà e pluralismo dell’offerta formativa); b) i contenuti formativi essenziali; c) la durata minima dei corsi con carico didattico minimo non inferiore a duecento ore; d) le modalità e le condizioni per la frequenza dei corsi di formazione, nonché per la verifica intermedia e finale del profitto, affidate ad una commissione di professionisti o docenti universitari in modo da garantire omogeneità di giudizio sull’intero territorio nazionale (anche per tale regolamento si è ritenuto in coerenza di mantenere un intervento del ministro vigilante nell’iter di adozione del regolamento con evidente finalità di tutela della libera concorrenza); ancora al ministro vigilante è rimessa, verificata l’idoneità dei corsi di formazione e la dichiarazione della data a decorrere dalla quale il corso di formazione diviene operativo ai fini del tirocinio con al finalità di rendere omogenea l’applicazione della disciplina sul punto. In risposta a una sollecitazione dei pareri parlamentari va osservato che in sede di regolamenti consiliari attuativi, partecipati dal ministro vigilante, potrà prevedersi la separazione soggettiva tra organizzatori dei corsi e soggetti destinati a valutarne l’esito per i partecipanti;
  • attribuisce al consiglio dell’ordine o del collegio i poteri di certificazione sullo svolgimento del tirocinio;
  • stabilisce, infine, l’inefficacia del periodo di formazione svolto nel caso in cui l’esame di Stato non venga superato nei cinque anni successivi alla chiusura del periodo;
  • chiarisce che le disposizioni in parola si applicano ai tirocini iniziati dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, fermo quanto previsto, in particolare sulla durata, dall’articolo 9, comma 6, del decreto legge n. 1 del 2012.

8. LA FORMAZIONE PERMANENTE

La formazione continua permanente è regolata con la finalità di garantire qualità ed efficienza della prestazione professionale e sviluppo della professione, anche a tutela degli interessi degli utenti e della collettività cui è rivolto il servizio professionale. E’ quindi sancito, per il singolo professionista, l’obbligo di formazione mediante un continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale. La violazione dell’obbligo è previsto che abbia rilievo disciplinare.

I corsi di formazione possono essere organizzati dagli ordini o dai collegi, nonché da associazioni o enti autorizzati dai consigli nazionali degli ordini o collegi con intervento ministro vigilante, nel procedimento deliberativo consiliare, volto a vincolare gli ordini o collegi anche nel senso dell’accoglimento dell’autorizzazione che si intenda negare. E’ quindi specificamente previsto, con evidente finalità di tutela verso comportamenti anticoncorrenziali da parte degli organi dotati di potere autorizzatorio, che i consigli nazionali trasmettano motivata proposta di delibera, anche di diniego dell’autorizzazione, al ministro vigilante al fine di assumere un parere vincolante sul punto e, quindi, eventualmente inducendo al rilascio di una autorizzazione che si intende negare.

Ad un regolamento, emanato dai consigli nazionali degli ordini o collegi, previo parere favorevole del ministro vigilante, è rimessa: a) la determinazione delle modalità e condizioni per l’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento da parte degli iscritti; b) la individuazione dei requisiti minimi dei corsi di aggiornamento; c) la fissazione del valore del credito formativo professionale, quale unità di misura della formazione continua (anche per tale regolamento, parallelamente a quanto previsto per i corsi di formazione nel tirocinio, si è ritenuto di mantenere un intervento del ministro vigilante nell’iter di adozione del regolamento, con evidente finalità di tutela della libera concorrenza).

In sede di parere parlamentare, si è rilevata l’opportunità di integrare la disposizione del comma 3, sulla possibilità di stipulare convenzioni tra consigli nazionali degli ordini e università, prevedendo che l’attività di gestione e organizzazione dell’aggiornamento professionale possa avvenire anche a cura degli ordini o collegi territoriali e dei sindacati di categoria delle professioni regolamentate, anche in cooperazione o convenzione con altri soggetti. Invero, la norma richiamata del comma 3 non esclude la possibilità che i corsi per la formazione continua siano organizzati anche a cura degli ordini o collegi territoriali, e dei sindacati di categoria delle professioni regolamentate, cosicché non si rinvengono ragioni per una modificazione del testo sul punto.

Ad apposite convenzioni tra consigli nazionali competenti e università è rimessa la determinazione delle regole comuni di riconoscimento reciproco dei crediti formativi (professionali ed universitari). Parimenti è regolato il riconoscimento reciproco tra diversi ordini o collegi professionali (crediti interprofessionali).
E’ riconosciuta la competenza regionale per la disciplina dell’attribuzione di fondi per l’organizzazione di scuole, corsi ed eventi di formazione professionale. E’ un profilo che merita di essere sviluppato in una visione più attuale e moderna del lavoro.

9. IL NUOVO SISTEMA DISCIPLINARE

Come è ricordato nella relazione del governo, la riforma del sistema disciplinare delle professioni per via regolamentare incontra diversi limiti:

a) limiti costituzionali (la natura riservata in via assoluta alla legge delle norme relative ad ogni magistratura, secondo l’articolo 108 della Costituzione, non abilita il Governo a regolamentare anche le funzioni giurisdizionali dei consigli nazionali, dovendosi ritenere che il regolamento sia sprovvisto, a riguardo, di ogni potestà d’intervento, limitato ai soli procedimenti disciplinari rimessi alla competenza di consigli che decidono in via amministrativa);

b) i limiti derivanti dalla legge di delegificazione, che non prevede in alcun modo la possibilità di riformare il sistema elettorale dei consigli, non consente di modificare la competenza territoriale degli stessi (eventualmente ampliandola per le funzioni disciplinari), non prevede di modellare la composizione dei collegi di disciplina attraverso la nomina di componenti esterni, attesa la mancata possibilità di modifica del sistema rappresentativo vigente per la composizione degli attuali organi di disciplina;

c) le limitazioni insite nella formulazione dell’articolo articolo 3, comma 5, lettera f), del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, che individua, quale criterio di delegificazione in materia disciplinare, l’incompatibilità della carica di consigliere dell’ordine territoriale o di consigliere nazionale con quella di membro dei costituendi consigli di disciplina nazionali e territoriali; l’aggettivazione (nazionali e territoriali) data ai consigli di disciplina impone una lettura della norma nel senso della individuazione di una incompatibilità ‘interna’ e non allargata a qualsivoglia carica di consigliere dell’ordine anche ad altro livello territoriale; se la norma avesse voluto estendere l’incompatibilità alla carica di consigliere del collegio di disciplina avrebbe dovuto esplicitarlo, ovvero avrebbe dovuto essere diversamente formulata con l’esclusione della predetta aggettivazione.

Sul testo approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, il Consiglio di Stato ha formulato le seguenti osservazioni, ampiamente riprese e condivise dalle Commissioni parlamentari: i) per gli organi di disciplina aventi natura giurisdizionale, si sostiene che l’incompatibilità tra la carica di consigliere dell’ordine (o collegio) e quella di membro dei consigli di disciplina, voluta dalla norma primaria sia a livello territoriale che nazionale, possa essere attuata prevedendo che chi esercita funzioni disciplinari non può esercitare funzioni amministrative e rimettendo l’attuazione del principio all’autonomia organizzativa dei vari consigli, che potrebbero strutturarsi in sezioni; ii) per gli organi di disciplina territoriali ed i consigli nazionali che decidono in via amministrativa, viene considerata ingiustificata l’esclusione dell’opzione di prevedere negli organi disciplinari anche soggetti terzi (come attualmente in altri ordinamenti: Commissione amministrativa regionale di disciplina per notai, presieduta da un magistrato nominato dal presidente della Corte d’appello del distretto); viene proposta la nomina, da parte consiglio dell’ordine (o collegio), dei componenti dell’organo disciplinare composto (o presieduto) anche da terzi; iii) viene criticato il criterio di individuazione dei componenti del consiglio nazionale di disciplina (non giurisdizionale) mediante il criterio dei non eletti, in quanto oggetto di valutazione elettorale negativa o comunque insufficiente ai fini della rappresentatività.

L’opzione di cui al punto i) avanzata dal Consiglio di Stato va valutata tenendo conto dei limiti entro cui può operare la delegificazione. In particolare va richiamato il noto e discusso limite della riserva assoluta di legge di cui all’art. 108, primo comma, della Costituzione, per gli organi di disciplina aventi natura giurisdizionale. Può essere ulteriormente sottolineato che alcuna norma secondaria può incidere, anche indirettamente, sugli organi con funzioni giurisdizionali, quali quelli disciplinari nazionali di alcuni ordini (come il CNF). Deve infine richiamarsi il tenore letterale della norma primaria che parla di organi di disciplina differenti e di incompatibilità della carica, e non solo, come indicato dal Consiglio di Stato, di funzioni differenziate e, appunto, di distinzione tra funzioni. Appare dunque scelta congrua e più aderente al dettato costituzionale quella di escludere del tutto dalla disciplina regolamentare gli organi di disciplina aventi natura giurisdizionale.

Sulle osservazioni di cui al punto ii), con sostanziale adesione alle indicazioni del Consiglio di Stato, nei consigli di disciplina nazionale che decidono in via amministrativa viene prevista la formazione di autonomi organi, con conseguente divaricazione delle competenze disciplinari e amministrative, lasciando la concreta disciplina attuativa della gestione delle dette, distinte, competenze, ai poteri autorganizzatori dei consigli nazionali.

Sulle osservazioni di cui al punto iii), e segnatamente sulla partecipazione di terzi nei consigli di disciplina territoriali, dev’essere rilevata un’oggettiva difficoltà concreta di impegnare, tipicamente, il presidente del tribunale (come possibile soggetto terzo componente dell’organo in questione), per ogni professione, nella composizione di tutti gli organi di disciplina costituiti nel circondario del suo ufficio. Il profilo della terzietà (riflesso della incompatibilità di funzioni e di cariche voluto dalla norma) può essere parimenti garantito mediante la designazione dei componenti del collegio di disciplina, questa sì assegnata, attingendo da una rosa di candidati proposta dal consiglio dell’ordine o collegio, al presidente del tribunale, figura idonea ad escludere che la designazione da parte del consiglio locale possa subire condizionamenti per effetto della prossimità agli iscritti, profilo questo che consente di differenziare la disciplina a livello nazionale. Ai consigli nazionali è attribuito il compito di emanare un regolamento, partecipato dal ministro vigilante, per l’individuazione dei criteri in base ai quali viene effettuata la scelta della rosa dei candidati proposta al presidente del tribunale per la nomina.

Le Commissioni parlamentari, in aggiunta, hanno ritenuto opportuno estendere anche alle società di professionisti di cui alla legge n. 183 del 2011 l’applicazione delle stesse disposizioni, in quanto compatibili, in materia disciplinare per gli iscritti. L’indicazione delle Commissioni non è stata seguita dal governo, poiché il regolamento non costituisce la sede destinata alla regolazione della materia disciplinare, in via primaria, regolata dall’art. 10 della legge n. 183 del 2011, che prevede a sua volta l’adozione di un autonomo e specifico decreto interministeriale per la normativa di dettaglio delle società tra professionisti.
In attuazione della legge di delegificazione e secondo i criteri di scelta sopra illustrati, sono istituiti, per tutte le professioni diverse da quella sanitaria, i consigli di disciplina territoriali presso i consigli dell’ordine o collegio territoriale. Ciò consente di mantenere ferma e far coincidere la competenza territoriale (sugli iscritti) dei due organi, amministrativo e disciplinare, sdoppiati per effetto della riforma.

I consigli di disciplina sono costituiti da un numero di consiglieri pari a quello oggi previsto dai singoli ordinamenti professionali per lo svolgimento delle medesime funzioni. Nei consigli di disciplina territoriali con più di tre componenti si formano, per l’istruttoria e la decisone, collegi composti da tre membri, di cui quello con maggiore anzianità d’iscrizione all’albo svolge la funzione di presidente, svolta invece dal componente con maggiore anzianità anagrafica qualora vi siano componenti non iscritti.
La composizione dei consigli di disciplina territoriali, tenuto conto dei limiti imposti dalla legge di delegificazione e sopra esposti, è effettuata mediante nomina del presidente del tribunale nel cui circondario hanno sede i medesimi consigli, attingendo da una rosa di nominativi predisposta e proposta dal locale consiglio dell’ordine. L’elenco predetto è composto da un numero di nominabili pari al doppio del numero di consiglieri che devono essere nominati.

Con regolamento adottato dai consigli nazionali degli ordini o collegi, previo parere vincolante del ministro vigilante, sono individuati i criteri in base ai quali i consigli avanzano la proposta e il presidente del tribunale effettua la scelta.

Sono stabilite regole minime di funzionamento dei consigli di disciplina ove il presidente di detto organo è individuato nel componente con maggiore anzianità di iscrizione all’albo, ovvero dal componente con maggiore anzianità anagrafica qualora vi siano componenti non iscritti, mentre il più giovane è chiamato a svolgere le funzioni di segretario; la durata dei consigli di disciplina è la stessa dei consigli dell’ordine o collegio.

I commi da 7 a 11 regolano la costituzione, composizione e competenza dei consigli di disciplina nazionali. La costituzione di tali organi è prevista, come rilevato sopra, per le sole professioni dove i consigli nazionali degli ordini o collegi decidono le questioni disciplinari in via amministrativa. Le competenze in materia disciplinare dei nuovi organi sono le stesse precedentemente assegnate ai consigli nazionali.
E’ affermata la regola della separazione delle competenze disciplinari da quelle amministrative, che devono essere svolte da consiglieri diversi, secondo una articolazione del consiglio nazionale dell’ordine o collegio che rifletta detta separazione e da stabilirsi mediante regolamento interno, adottato su parere vincolante del ministro che ha la vigilanza sull’ordine o collegio.

Sul piano del funzionamento dell’organo disciplinare, viene previsto che le funzioni di presidente siano svolte dal componente con maggiore anzianità d’iscrizione all’albo, mentre l’iscritto più giovane svolge le funzioni di segretario.

Il ministro vigilante procede, secondo i principi generali, al commissariamento dei consigli di disciplina territoriali e nazionali per gravi e ripetuti atti di violazione di legge, ovvero nel caso in cui non siano in condizioni di funzionare regolarmente.

Il nuovo sistema disciplinare, che prevede che restino comunque ferme le disposizioni in materia di procedimento come regolate dai singoli ordinamenti, diviene operativo con l’insediamento dei consigli di disciplina territoriali e nazionali neocostituiti.

La disposizione illustrata si chiude con l’espressa previsione che, per le professioni sanitarie e per quella di notaio continua ad applicarsi la disciplina vigente. Per le prime, la norma ripropone il limite imposto dalla legge di delegificazione; per la professione di notaio, va considerata la peculiarità del sistema disciplinare vigente, che garantisce di per sé la separazione con la funzione amministrativa (oltre che ampia terzietà), in cui consiste l’essenza della di riforma sul punto: come può riscontrarsi, infatti, tutta la disciplina degli artt. 148 e seguenti della legge notarile (16 febbraio 1913 n. 89), quale modificata dal decreto legislativo 1° agosto 2006 n. 149, è conforme ai principi di delega.

Il decreto reca infine norme specifiche per gli avvocati.

L’esame imminente da parte della Camera, della riforma più complessiva dell’ordinamento forense consiglia di rinviare il commento ad una fase più matura dell’ordinamento positivo.

10. SINTESI DELLA RIFORMA DELLE PROFESSIONI

Cos’è il DPR di riforma delle professioni?
Dopo molti anni si è arrivati ad una svolta. E’ una iniziativa partita con il Governo Berlusconi, con il D.L. 138/2011, e corretta ed attuata dal Governo Monti, con cui sono stati fissati principi per tutte le professioni regolamentate.

La riforma delle professioni è legge?
Si, il DPR 7 agosto 2012 , n. 137 è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 189 del 14 agosto 2012.

Si applica subito?
Sì, il DPR è entrato in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta, e si applica a partire dal 15 agosto 2012.

La riforma considera l’attività professionale di architetto come una qualunque attività economica?
No. Il DPR afferma che l’accesso alla professione è libero e lo è il suo esercizio, fondato sull’autonomia e indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnico. La professione intellettuale, mantiene una sua specificità perché considerata un’attività in cui dev’essere salvaguardato l’interesse pubblico almeno per le professioni incaricate di pubblici servizi.

Cosa cambia per l’albo professionale?
Poco rispetto a prima: la gestione dell’albo rimane di competenza esclusiva del Consiglio dell’Ordine; è stato aggiunto che nell’albo deve essere prevista l’annotazione dei provvedimenti disciplinari adottati nei confronti degli iscritti. Viene però istituito un Albo nazionale on line che raccoglie le informazioni degli Albi Provinciali.

È possibile farsi pubblicità?
Si, viene chiamata “pubblicità informativa”, viene ammessa con ogni mezzo e può avere ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale ed i compensi richiesti per le prestazioni.

Ci sono dei limiti per la pubblicità informativa?
Si, la pubblicità deve necessariamente essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non dev’essere equivoca, ingannevole o denigratoria. La violazione di questi limiti costituisce illecito disciplinare e violazione del c.d. Codice del Consumo, e può essere richiesto l’intervento dell’Autorità Garante della concorrenza per inibire forme di pubblicità scorretta ed ingannevole.

E’ stato prorogato l’obbligo di assicurazione?
Si, in base a questo DPR tale obbligo è stato prorogato e partirà dal 15 agosto 2013, per consentire di poter negoziare convenzioni collettive da parte dei Consigli Nazionali. In tal modo è stata cambiata la normativa relativamente all’obbligo di copertura assicurativa, in precedenza fissato nel D.L. 138/2011 al 13 agosto 2012 e successivamente anticipato nel D.L. 1/2012 al 24 gennaio 2012, con una data esplicita di entrata in vigore, non chiarita nei precedenti D.L.

L’assicurazione sarà obbligatoria per gli iscritti all’Albo?
Si. Dal 15 agosto 2013 il professionista dovrà obbligatoriamente rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico gli estremi della polizza professionale, il massimale ed ogni variazione successiva della polizza; al momento tali indicazioni sono facoltative, essendo comunque previste nel D.L. 1/2012 all’art. 9. La violazione di tali disposizioni costituirà illecito disciplinare.

Con la riforma delle professioni è ancora necessario laurearsi e fare l’esame di Stato?
Sì, la riforma conferma che è necessario laurearsi e fare l’Esame di Stato, essendo sancito dalla Costituzione italiana all’art. 33, “…per l’abilitazione all’esercizio professionale”.

I neo laureati dovranno effettuare un tirocinio per poter fare l’Esame di Stato?
No, viene prevista l’obbligatorietà del tirocinio per i soli ordinamenti professionali che lo prevedano. Ad esempio, per la professione degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori la normativa vigente non lo prevede: il Consiglio Nazionale sta interloquendo con il Ministero dell’Università per istituirlo a fronte di una modifica dell’esame di Stato per coloro che hanno fatto un anno di tirocinio.

Con la riforma è entrato in vigore un obbligo formativo?
Sì ma il Consiglio Nazionale dovrà disciplinare con regolamento, entro il 15 agosto 2013, e previo parere del Ministero, le modalità e le condizioni per l’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento da parte degli iscritti. Perciò fino alla pubblicazione di tale regolamento, non vi sarà alcun obbligo formativo per gli iscritti.

La formazione sarà obbligatoria?
Si. A seguito del regolamento che verrà disciplinato entro il 15 agosto 2013, si prevede con il DPR l’obbligo per ogni professionista di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale, stabilendo che la violazione di tale obbligo costituirà illecito disciplinare.

Per i procedimenti disciplinari ci sono nuove regole?
Si, presso gli ordini territoriali verranno istituiti consigli di disciplina territoriali. Vi saranno quindi due organi distinti, uno amministrativo (il Consiglio dell’Ordine) e uno disciplinare (il Collegio di Disciplina).

Come vengono scelti i componenti del Collegio di Disciplina?
La composizione è effettuata mediante nomina del Presidente del Tribunale del circondario, attingendo da una rosa di nominativi predisposta e proposta dal locale Consiglio dell’Ordine. Con regolamento che verrà adottato entro il 15 novembre 2012 dal Consiglio Nazionale, previo parere vincolante del ministro vigilante, verranno individuati i criteri in base ai quali i Consigli dell’Ordine avanzano la proposta ed il Presidente del Tribunale effettua la scelta.

Le nuove regole disciplinari partono da subito?
No, da dopo il 15 novembre 2012 e fino all’insediamento dei Consigli di Disciplina. Fino ad allora, le funzioni disciplinari restano interamente regolate dalle disposizioni vigenti.

E’ possibile formare società tra professionisti?
Ancora no. L’art. 10 della L. 183/2011, come modificata da ultimo dalla L. 27/2012, ha introdotto la possibilità di costituire delle Società tra Professionisti (S.T.P.), e ne prevede una regolamentazione con un Decreto Ministeriale per l’iscrizione a una sezione speciale dell’Albo e la sottoposizione alle Norme Deontologiche, che non è stato ancora pubblicato dal Governo. In assenza di tali norme applicative, non è ancora possibile la costituzione di tali forme societarie.

Le tariffe rimangono abrogate?
Si. Rimane fermo quanto previsto all’art. 9 del DL 1/2012. Il compenso per le prestazioni professionali deve pattuirsi per iscritto con il cliente al momento del conferimento dell’incarico professionale. Ognuno può liberamente riferirsi ad un sistema di calcolo che ritiene congruo, sia esso tradizionale o personale, purché il cliente ne sia consapevole, rendendo noto il grado di complessità dell’incarico e gli oneri ipotizzabili.
Sono stati emanati “parametri” cui il giudice dovrà fare riferimento in caso di controversia.

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