Premier Conte: Italia non ha niente da temere sul MES, debito pienamente sostenibile

Si sono svolte oggi nell’Aula della Camera dei deputati le comunicazioni deIl Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo del 12 e 13 dicembre 2019

GIUSEPPE CONTE, Presidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, gentili deputate e gentili deputati, il Consiglio europeo che si svolgerà domani e dopodomani a Bruxelles è il primo dopo il completamento delle nomine dei vertici delle istituzioni europee. Sono in carica, come sapete, dal 1° dicembre scorso, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il Collegio dei commissari, il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Il 3 luglio – ricordo – era stato eletto il Presidente del Parlamento europeo David Sassoli, mentre il 1° novembre è entrata in carica la Presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde.

Le istituzioni europee possono, dunque, iniziare a onorare l’impegno di realizzare buone politiche per i cittadini europei e di fornire loro soluzioni, risposte e opportunità.

Il rilancio della crescita e dell’occupazione, soprattutto giovanile, la lotta al cambiamento climatico, il sostegno alla green economy: rappresentano, questi, obiettivi prioritari e necessitano di segnali forti e chiari da parte dell’Europa. Sono lieto che la centralità di questi obiettivi sia stata riaffermata dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in occasione del voto del Parlamento europeo a favore della nuova Commissione, il 27 novembre scorso.

Nel percorso europeo volto a realizzare dei citati obiettivi, il ruolo del Consiglio europeo rimane centrale, in quanto espressione dei Governi nazionali. La maggiore complessità politica emersa alle elezioni europee suggerisce, comunque, una ancor maggiore coesione fra Capi di Stato e di Governo che compongono il Consiglio europeo. Quest’ultimo deve, infatti, fornire un indirizzo politico chiaro e anche pragmatico riguardo alle sfide che il continente ha di fronte e deve assicurare, al contempo, più efficacia, più intensità nell’impulso e nel sostegno alla Commissione europea e nel dialogo con il Parlamento europeo, anche nella prospettiva di rafforzamento del potere di iniziativa legislativa che spetta a quest’ultimo, al Parlamento europeo.

Il Governo italiano intende promuovere, in seno al Consiglio europeo, questo tipo di approccio nei confronti delle altre istituzioni europee e, come detto poc’anzi, una maggiore coesione tra i leader europei. Non è questo, nella famiglia europea, il tempo per dividersi o per lasciarsi dividere. Le tensioni internazionali, infatti, politiche ed economiche, impongono di proteggere l’economia europea e la dimensione sociale che rende unico al mondo il nostro continente. Affinché non appaia contraddittorio l’elemento della protezione, intendo subito chiarire che, considerando la struttura economica e sociale dell’Europa, proteggersi non significa rinchiudersi, in quanto su scala globale riteniamo che il multilateralismo sia lo strumento migliore per tutelare l’interesse degli Stati membri, a partire ovviamente dal nostro.

La prospettiva del miglior futuro dell’Europa è prevista, d’altronde, nella discussione e in parte delle conclusioni del Consiglio europeo, in relazione al percorso per una Conferenza sul futuro dell’Europa, che, non vi sarà sfuggito, Germania e Francia auspicano possa essere sviluppato dagli Stati membri e dalle istituzioni europee dal 2020 sino alla Presidenza francese, che si svolgerà nel corso del primo semestre del 2022. In merito a questa iniziativa, il contributo franco-tedesco, anche al di là dell’enfasi che è stata rimarcata da parte di qualche quotidiano, si è limitato ad una proposta di carattere procedurale, con un definito cronoprogramma.

Ecco, riguardo a tale esercizio, non solo intendo esprimere il sostegno all’obiettivo di trasmettere segnali concreti di riavvicinamento delle istituzioni europee ai cittadini, ma preannuncio che l’Italia – il Governo italiano, e confido anche nell’aiuto del Parlamento – non farà mancare le proprie proposte.

All’interno di questo perimetro saranno da valorizzare passaggi come quelli delle consultazioni dei cittadini o della riflessione sulle liste transnazionali europee. Rivendicherò, tuttavia, un metodo inclusivo nei confronti degli Stati membri e delle istituzioni europee, a partire dai Parlamenti, per la realizzazione di un percorso che non deve avere un carattere elitario, ma, al contrario, deve essere ampiamente partecipato e per questo capace di favorire politiche realmente rispondenti ai bisogni dei nostri cittadini.

Proprio i bisogni dei cittadini devono essere al centro della discussione che il Consiglio europeo avrà con riguardo al cambiamento climatico. È questo un tema che certamente tocca da vicino proprio il futuro dell’Europa. In questo Consiglio europeo si entrerà nel vivo dell’ambizione dell’Unione europea sulla questione, dopo la difficile discussione avvenuta al Consiglio europeo del giugno scorso, con posizioni distanti e anche scettiche da parte di alcuni Stati membri.

Consideriamo opportuno il riferimento, nelle conclusioni del Consiglio europeo, all’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050. Reputiamo di fondamentale importanza i chiari riferimenti, nelle conclusioni, sia all’impulso che la transizione verso la neutralità climatica può e deve dare alla crescita economica e all’occupazione, sia agli investimenti che l’Europa deve saper attivare per tempo a sostegno di una trasformazione di tale portata. Questa transizione energetica non può prescindere da un adeguato cronoprogramma, tale da evitare ricadute negative sul sistema produttivo e, ancor più, sui livelli occupazionali.

È in questa prospettiva che si inseriscono l’impegno recentemente assunto dalla Banca europea degli investimenti per sostenere investimenti verdi per un valore di 1.000 miliardi di euro e l’impegno della Commissione europea a lanciare un Green Deal europeo, delineato in una comunicazione che, peraltro, verrà resa pubblica proprio oggi, 11 dicembre. A tali impegni l’Italia guarda con apprezzamento, con la consapevolezza di essere ben posizionata in questo ambizioso percorso europeo, grazie alle varie misure nazionali varate in materia di cambiamento climatico.

Intendiamo, dunque, accompagnare e sostenere questo sforzo europeo di adeguamento all’obiettivo ineludibile, anche per il futuro del continente, della neutralità climatica entro il 2050. Come già accennato, vigileremo con cura affinché in questa transizione, anche industriale, le istituzioni europee sostengano adeguatamente la dimensione sociale connessa all’economia verde, le esigenze delle piccole e medie imprese che costituiscono la forza del nostro tessuto produttivo, e il level playing field europeo. In quest’ottica è altresì, essenziale che lo sforzo economico europeo a sostegno di questo processo di trasformazione non vada a discapito delle tradizionali politiche di coesione.

Altro tema del Consiglio europeo che riguarda l’Europa dei prossimi anni è quello del quadro finanziario pluriennale. A ottobre è stato dato mandato alla Presidenza finlandese di presentare uno schema negoziale che tenesse conto delle differenti sensibilità emerse sui principali nodi negoziali, vale a dire: livello complessivo del bilancio, ripartizione delle risorse tra le diverse politiche, condizionalità per l’accesso e l’utilizzo dei fondi, fonti di finanziamento, incluse le proposte di nuove risorse proprie.

La scatola negoziale sul quadro finanziario pluriennale è stata presentata dalla Presidenza finlandese solo lo scorso 2 dicembre. Essa contiene alcune ipotesi di allocazione dei fondi, peraltro non esaustive, che il Governo italiano reputa insoddisfacenti. Si tratta di una proposta al ribasso, poiché comporta riduzioni di spesa rilevanti, ma soprattutto risulta nel complesso sbilanciata. Sono infatti prospettati tagli significativi sulle politiche destinate alla competitività, all’innovazione, alla gestione dell’immigrazione, alla sicurezza, alla difesa. Questi tagli indebolirebbero in maniera ingiustificata gli sforzi di modernizzazione che riteniamo essenziali introdurre nel bilancio europeo del 2021-2027 per affrontare sfide che, peraltro, sono coerenti con l’agenda strategica dell’Unione.

La discussione sul quadro finanziario pluriennale al Consiglio europeo di domani sarà comunque prevalentemente procedurale, in ragione del fatto che, come l’Italia, diversi Stati membri reputano inadeguata la proposta della Presidenza finlandese. È dunque da attendersi che il Consiglio europeo si limiti ad auspicare ulteriori progressi negoziali. Continuerò quindi ad affermare in sede europea la posizione italiana, alla cui definizione il Governo lavora con un coordinamento rafforzato sotto la guida del Ministero per gli Affari europei, in stretto raccordo con il Ministero degli Esteri, con il Ministero dell’Economia e delle finanze e con un puntuale anche momento collegiale in seno al Comitato interministeriale affari europei. Il 15 novembre, in particolare, ho presieduto io stesso la riunione dedicata al quadro finanziario pluriennale. Il Governo intende continuare a rivendicare un approccio più equilibrato, chiedendo una profonda revisione della proposta finlandese che converga verso l’architettura proposta dalla Commissione europea sin dal 2018. Tale rivendicazione verrà da noi declinata lungo tutto l’arco del negoziato.

La Commissione europea – lo ricordo – aveva ipotizzato un tetto alla spesa pari all’1,11 per cento del reddito nazionale lordo dei ventisette Stati membri, per un totale di 1.135 miliardi di euro in sette anni, un volume sostanzialmente analogo a quello del bilancio in vigore. Una proposta, questa, che, nonostante la Brexit, avrebbe comunque consentito un miglioramento del saldo complessivo per il nostro Paese rispetto all’attuale bilancio europeo, che si concluderà il prossimo anno.

La proposta della Presidenza finlandese, che riduce dell’1,07 per cento il tetto di spesa complessiva, quindi lo porta a 1.087 miliardi di euro, appare del tutto insufficiente e distante dalle indicazioni ricevute dal Parlamento europeo per un bilancio ancora più ambizioso, che era all’1,3 per cento. Collegato al volume complessivo di spesa si pone il tema delle fonti di finanziamento del bilancio comune europeo.

L’Italia, su questo fronte, ha costantemente sostenuto l’esigenza di modernizzare anche il modo in cui l’Unione europea finanzia il proprio bilancio, poiché, in assenza di nuove risorse proprie, non vi sarà la possibilità di allentare la dipendenza del bilancio europeo dai contributi degli Stati membri, né di consentire sufficiente autonomia per lo sviluppo di politiche comuni dell’Unione. Su questo tema, tuttavia, la convergenza degli Stati membri si indirizza soltanto verso l’introduzione della “risorsa plastica” – lo dico tra virgolette -, cioè quella risorsa derivante dalla quantità di rifiuti di imballaggio in plastica non riciclati in ciascuno Stato membro, con 0,80 centesimi di euro per chilogrammo. Da parte italiana è stata espressa in passato – ma verrà ribadita – contrarietà a questo approccio limitato e minimalista, che non contempla altre proposte inizialmente formulate dalla Commissione, come, ad esempio, la risorsa derivante dal sistema di scambio di quote di emissione dell’Unione europea, il cosiddetto Emissions Trading System, o la definizione della Common Consolidated Corporate Tax Base, chiave per future nuove risorse proprie e per l’armonizzazione dei sistemi di tassazione delle multinazionali fra i vari Stati membri dell’Unione europea.

Con riferimento alle singole politiche, il Governo intende opporsi ai tagli sproporzionati che colpirebbero settori strategici quali lo spazio e il digitale, la difesa, la sicurezza. Si tratterebbe di sottrazione di risorse alle nuove priorità dell’Unione europea, che devono invece necessariamente rimanere ambiziose. Anche sulle politiche tradizionali, come coesione e politica agricola comune, dove iniziano ad emergere pur limitati progressi, l’Italia intende ribadire le linee rosse già tracciate. Nella politica di coesione è inaccettabile l’ulteriore contrazione subìta dall’indice di prosperità relativa, che nel nostro Paese si tradurrebbe in una penalizzazione delle regioni più in difficoltà. Sulla politica agricola comune la nostra preoccupazione principale resta la convergenza esterna dei pagamenti diretti, sulla quale continueremo a chiedere garanzie di una sua definitiva e possibilmente immediata abolizione. Lo faremo insieme ai numerosi partner che condividono con noi la considerazione che questo meccanismo non risponde più allo scopo di promuovere lo sviluppo razionale della produzione agricola europea, al suo progresso tecnico, all’obiettivo, ormai prioritario, di contribuire alla transizione ecologica.

Sono meno incisive, ma direi non meno opinabili, le riduzioni prospettate per il nuovo strumento di cooperazione internazionale, il nuovo NDICI. È indispensabile tenere a mente che una proiezione esterna forte resta fondamentale per l’Unione europea che intende esercitare un ruolo credibile nei confronti del resto del mondo; è rispondere per questa via, in modo sempre più efficace, alla sfida del governo multilivello del fenomeno migratorio. Va anche detto, a tale riguardo, che il volume complessivo degli aiuti allo sviluppo dovrebbe poter beneficiare – ma qui il cammino da compiere è ancora lungo – di un maggiore coordinamento delle risorse assicurate dai singoli Stati membri.

Per dirla in poche parole, l’Unione europea, nel suo complesso, è il maggior donatore su scala mondiale, senza che questa sua lusinghiera posizione venga confermata in termini di influenza geopolitica. E penso, in particolare, al continente africano, ma non solo.

Ricordo infine che sono in discussione anche forme di condizionalità già esistenti nel bilancio che si chiuderà nel 2020, come la condizionalità macroeconomica, nonché nuove condizionalità legate al rispetto dello Stato di diritto, alle migrazioni, al rispetto dell’ambiente. L’Italia è impegnata ad evitare che la traduzione di questi princìpi e regole comuni condivise comporti l’irrigidimento delle regole di bilancio europeo, ma piuttosto osservano come orientamento verso il raggiungimento di standard comuni in linea con i valori che l’Unione europea esprime sin dalle sue origini. È previsto che le conclusioni di questo vertice contengano un invito alla Commissione e all’Alto rappresentante a fornire elementi per una discussione strategica, al Consiglio europeo di giugno, sui rapporti tra Unione europea e Africa e sul prossimo vertice fra Unione europea e Unione africana. L’Italia sostiene questo tipo di approccio, anche per le motivazioni che più sopra ho riassunto. Continuiamo a sottolineare, sia in Europa che con le controparti africane, che l’Unione europea deve dare ampio respiro strategico a un partenariato fra eguali, unica visione possibile per una politica di successo.

Altrettanto opportuno è il riferimento, nelle conclusioni del Consiglio europeo, alla preoccupazione per la paralisi in cui si trova il meccanismo di risoluzione delle controversie dell’Organizzazione mondiale del commercio e al sostegno alla Commissione europea nel suo sforzo di individuare con Paesi terzi rimedi transitori in attesa di pervenire a una soluzione permanente. La posta in gioco, ed è una posta che è emersa chiara anche nel corso dei colloqui che ho avuto la settimana scorsa a Londra, in occasione del vertice NATO, ma che ormai accompagna ogni singolo vertice, che sia G7 o G20, non è solo certo quella, pur rilevante, del funzionamento di un organo globale di gestione delle dispute commerciali. La posta in gioco qui è la fiducia tra Stati, tra continenti, grazie alla quale dal secondo dopoguerra è stato possibile costruire un’architettura internazionale coerente con i valori comuni della libertà e della democrazia.

Quindi incrinare le fondamenta di quest’ordine multilaterale basato su regole condivise produce danni di ampia portata non solo sul piano economico, ma, ovviamente, anche su quello politico. È dunque essenziale preservare l’unità e la coesione europea e il sostegno alla Commissione europea in particolare con l’obiettivo di ripristinare un’agenda commerciale positiva con gli Stati Uniti all’altezza del valore strategico dei rapporti transatlantici.

Il Consiglio europeo – passo ad altro argomento – affronterà inoltre anche la discussione, possiamo dire ormai consueta, perché viene sempre ciclicamente in evidenza semestrale, sullo stato dell’attuazione delle intese di Minsk, introdotta dalla Cancelliera Merkel e dal Presidente Macron, i quali informeranno il Consiglio europeo, in particolare con riguardo all’esito del vertice dei Capi di Stato e di Governo del cosiddetto Formato Normandia. Questo vertice si è svolto lunedì scorso, il giorno 9. La ripresa del confronto negoziale fra le parti è essenziale per l’Italia; ad un esito positivo di tale confronto, nella prospettiva della piena attuazione delle intese di Minsk, intendiamo continuare a lavorare con i partner europei. E colgo l’occasione per riaffermare che l’Italia intende perseguire un approccio convinto secondo cui le sanzioni non siano un fine in sé, bensì un mero strumento finalizzato ad avviare a soluzione la crisi ucraina.

Nella discussione, se non nelle conclusioni del Consiglio europeo, potrebbe infine emergere, su richiesta di un altro Stato membro, la questione del rispetto da parte della Turchia della sovranità e dei diritti sovrani sulle zone economiche esclusive di tutti i suoi Paesi vicini. La questione, di cui si sono già occupati i Consigli europei di giugno e ottobre scorso, e anche nel 2018 i Consigli che si sono svolti a marzo e a giugno, viene ora in rilievo, e non solo per quanto riguarda le interferenze di Ankara nella zona economica esclusiva di Cipro, tema su cui l’Italia continua ovviamente ad appoggiare il sostegno europeo a Cipro bensì anche a seguito dei due memoranda siglati, come sappiamo, dalla Turchia con il GAN libico in materia di sicurezza e di delimitazione delle rispettive zone economiche esclusive. Sono due memoranda firmati nei giorni scorsi. È importante che dal Consiglio europeo vengano al riguardo reiterati il sostegno agli Stati membri che si affacciano sul Mediterraneo orientale e il richiamo al pieno rispetto del diritto internazionale; è altrettanto essenziale che i predetti segnali non si traducano in un avallo al rallentamento del processo politico per la stabilizzazione della Libia e in un rinvio sine die della Conferenza di Berlino, che noi appoggiamo. I temi su cui mi sono finora soffermato caratterizzeranno le sessioni di lavoro del Consiglio europeo a 28 di giovedì 12 dicembre, anche se giovedì 12 dicembre è il giorno delle elezioni nel Regno Unito.

Il giorno successivo i Capi di Stato e di Governo dei 27 Stati membri si riuniranno nel vertice euro, il cosiddetto Euro summit, che avrà all’ordine del giorno il tema dell’approfondimento dell’unione economica e monetaria, ovvero la riforma del Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità, l’unione bancaria e lo strumento di bilancio per la competitività e la convergenza, l’acronimo ormai famoso BICC, sulla base dei lavori dell’Eurogruppo che si è tenuto il 4 dicembre scorso. Ribadisco in questa sede quanto da me evidenziato nell’informativa resa al Parlamento lo scorso lunedì 2 dicembre circa la coerenza e la trasparenza informativa che hanno caratterizzato sempre l’interlocuzione tra Governo e Parlamento su un tema così complesso e così sensibile.

Inoltre il Ministro Gualtieri e io personalmente abbiamo spiegato e dimostrato che la revisione del Trattato sul Meccanismo europeo di stabilità non apporta modifiche sostanziali al Trattato già esistente, e in particolare non introduce, ed è nostra ferma intenzione che questo non accada, alcun automatismo nella ristrutturazione del debito di uno Stato, ma lascia alla Commissione europea il fondamentale ruolo di valutarne la sostenibilità e di assicurare la coerenza complessiva delle analisi macroeconomiche effettuate sui Paesi membri. Come ho sottolineato nella mia informativa del 2 dicembre, cito tra virgolette, il MES non è indirizzato contro un particolare Paese o costruito a vantaggio di alcuni Paesi a scapito di altri, ma è un’assicurazione contro il pericolo di contagio e panico finanziario a vantaggio di tutti. In particolare l’Italia non ha nulla da temere, anche perché il suo debito è pienamente sostenibile, come dimostrano le valutazioni delle principali istituzioni internazionali, inclusa la Commissione, e come confermano i mercati.

Bisogna quindi stare attenti a insinuare dubbi e paure nei cittadini italiani, tanto più che quanto meno alcune delle posizioni che si sono delineate nel corso del dibattito pubblico hanno disvelato il malcelato auspicio di portare il nostro Paese fuori dall’Eurozona o, addirittura, dall’Unione europea. Ma, se questo è l’obiettivo, allora converrebbe chiarirlo in modo esplicito affinché il dibattito pubblico sia trasparente e i cittadini possano essere informati di tutte le implicazioni che tali posizioni portano con sé. Vero è che un dibattito portato avanti in modo confuso rischia di indurre il sospetto nei mercati e nelle istituzioni internazionali che siamo noi stessi a dubitare dell’impegno assunto di mantenere il debito su un sentiero di piena sostenibilità, e questo sì sarebbe un modo per danneggiare il risparmio degli italiani.

La revisione del MES è solo una parte di una nuova architettura europea che si verrà designando nei prossimi mesi e nei prossimi anni. Alcuni elementi di questa nuova architettura devono essere considerati assieme alle revisioni e al Trattato del MES. In considerazione dell’importanza e della complessità del processo di approfondimento dell’Unione economica e monetaria europea ho reputato e reputo indispensabile continuare a informare puntualmente il Parlamento, personalmente e tramite i ministri competenti, in tutte le occasioni in cui l’Italia sarà chiamata a esprimere nelle sedi europee la propria posizione nei vari passaggi del negoziato sul futuro dell’unione economica e monetaria e sulla conclusione della riforma del MES. Il Parlamento, con la risoluzione dello scorso giugno, ha dato mandato al Governo di esprimere una strategia di insieme sul pacchetto di riforme, nella consapevolezza che l’Italia deve giocare un ruolo attivo e anche propositivo nella loro definizione.

Su questo punto non posso che ribadire quanto già auspicato nelle comunicazioni sia alla Camera dei deputati che al Senato dello scorso 2 dicembre, ovvero che il Parlamento, con la sua autorevolezza, in virtù della sua legittimazione democratica, contribuisca a portare in Europa la voce di un Paese forte, di un Paese coeso che si impegna a rafforzare le istituzioni europee secondo un piano che, ovviamente nel rispetto del nostro interesse nazionale, conduca a un’architettura più robusta e a un’equilibrata condivisione dei rischi.

La posizione del Governo in sede europea sarà sempre coerente con gli indirizzi definiti dalle Camere e il Governo in particolare continuerà a operare secondo una logica di pacchetto, assicurando l’equilibrio complessivo dei diversi elementi al centro del processo di riforma dell’Unione economica e monetaria, e valutando con la massima attenzione i punti critici.

Riteniamo negativi, in particolare, interventi di carattere restrittivo sulla detenzione dei titoli sovrani da parte di istituti finanziari, da parte delle banche; e comunque riteniamo negativa la ponderazione dei rischi dei titoli di Stato attraverso la revisione del loro trattamento prudenziale. Come pure riteniamo negative le disposizioni che prevedano una contribuzione degli istituti finanziari all’EDIS in base al rischio di portafoglio dei titoli di Stato.

Nei prossimi passaggi del negoziato sull’Unione bancaria, ci faremo promotori dell’introduzione dello schema di assicurazione comune sui depositi (cosiddetto EDIS), di un titolo obbligazionario europeo sicuro. Io ne ho già parlato nell’informativa del 2 dicembre: il cosiddetto safe asset, semmai nella forma di eurobond. E ci impegneremo anche per una maggiore ponderazione di rischio delle attività di livello 2 e 3, che sono strumenti maggiormente liquidi, legata al loro grado di concentrazione sul totale degli attivi del singolo istituto di credito.

Nel caso di eventuale richiesta di attivazione del Meccanismo europeo di stabilità, il Parlamento sarà pienamente coinvolto attraverso una procedura chiara di coordinamento e di approvazione.

Venerdì 13 dicembre è prevista anche una sessione del Consiglio europeo a 27, all’indomani delle elezioni generali del Regno Unito che speriamo contribuiscano a una Brexit ordinata, prevista per il 31 gennaio 2020. Il Governo italiano continua a lavorare per tutelare i diritti dei cittadini, per preservare gli scambi commerciali per le nostre imprese.

Anche dopo la Brexit il Regno Unito, non c’è dubbio, rimarrà un partner importante per l’Unione europea e per l’Italia. Una volta ratificato l’accordo di recesso, saremo pronti a contribuire attivamente per definire un nuovo partenariato tra Unione europea e Regno Unito. Il negoziato sulle reazioni futuri sarà difficile, soprattutto a causa del limitato tempo a disposizione; sarà inoltre necessario mantenere forte unità fra i 27 e le istituzioni, così come si è verificato sin dall’avvio del negoziato nel 2017.

L’Italia sostiene l’impiego dei metodi di lavoro e collaborazione fra Commissione e Stati membri che si sono sin qui dimostrati vincenti, anche durante le fasi più difficili del negoziato. La permanenza di Michel Barnier alla guida della nuova task force per le relazioni con il Regno Unito costituisce, se mi permettete di sottolineare, un importante fattore di continuità. In ogni caso, i benefici che il Regno Unito potrà trarre dalle future relazioni saranno proporzionati agli impegni che Londra sarà pronta ad assumersi: un partenariato ambizioso, ad esempio, non può prescindere da una mobilità adeguata agli scambi tra i nostri cittadini. Grazie per la vostra attenzione (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico, Italia Viva e Liberi e Uguali).

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