Lodi, garanzie parlamentari, insindacabilità, conflitti di interesse ed altre storie

5. Le regole dell’onestà. Etica, politica, amministrazione, globalizzazione

“Erano, costoro, onesti, non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi ai principi, né patriottici, né sociali, né religiosi, che non avevano più corso); erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso, insomma non potevano farci niente se erano così”14.

Nel paese descritto da Italo Calvino, essi erano la minoranza. L’immagine va certamente rovesciata, in termini generali e con particolare riferimento ai pubblici funzionari italiani: “gli onesti sono una larga maggioranza”.

È questo l’incipit del bel libro di Bernardo Giorgio Mattarella intitolato “Le regole dell’onestà”15.

Si tratta di un’analisi molto condivisibile, e convergente su diversi temi con queste pagine, sui doveri dei funzionari pubblici, di carriera e politici, amministrativi, magistrati, arbitri, componenti di authorities, non solo per prevenire la corruzione, su cui pure l’Italia mantiene un discredito internazionale16, ma anche per dare un senso all’art. 54 Costituzione che afferma che le funzioni pubbliche debbono essere esercitate “con disciplina e onore”.

Vengono dunque in evidenza questioni diverse: dalla separazione tra politica e amministrazione, ove alla prima spetta indirizzo, programmazione e controllo dei risultati e alla seconda la gestione tecnica, amministrativa e finanziaria (ma non sempre avviene), all’esperienza dei codici di comportamento dei dipendenti pubblici, dalla deontologia professionale, non sempre ben amministrata dagli ordini, ai doveri dei magistrati.

“Gli uomini sono troppo egoisti o cattivi o ignari perché, trovandosi a capo di un’organizzazione potente, non soccombano alla tentazione di trarne profitto per sé, a danno dei propri rappresentati”17. Ma non occorre necessariamente essere a capo di organizzazioni potenti per cadere in tentazione.

La prevenzione della corruzione, la promozione dell’etica pubblica e della cultura del dovere e del merito, efficaci misure di repressione dei comportamenti illeciti, riguardano non solo la “casta dei politici” ma la società intera che ha necessità di credere in se stessa, nelle proprie leggi, nella democrazia, nell’idea dell’interesse pubblico.

La travolgente affermazione della lex mercatoria e del diritto della globalizzazione non può prescindere da questi valori.

Quando la fiducia illimitata nella “giuridicità del risultato”, che ha nei futures e nella tecno-finanza il suo paradigma, prevale sul principio pacta sunt servanda (e sulle relative dicotomie adempimento/inadempimento e responsabilità/sanzioni) è chiaro che lo Stato di diritto declina e con esso anche le virtù pubbliche.

La globalizzazione economica e sociale porta molte opportunità ma anche problemi seri che vanno governati (aumento dei prezzi delle materie prime, concorrenza sleale, global warming, crescita del divario ricchezza-povertà e diritti-libertà …) e non si deve rinunciare ad attingere dagli strumenti conosciuti: Stato nazionale, diritto internazionale, non sono nozioni superate da abbandonare ma, al contrario, elementi da aggiornare per promuovere forme di governo adeguate ai problemi contemporanei.

Solo la piena fiducia nella democrazia, nelle sue regole e nel suo sviluppo, può dare risposte convincenti alla “paura” e sostenere la “speranza”18 e, naturalmente, costituire il presupposto per condotte virtuose degli attori politici.

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