Indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell’economia internazionale.

DM 18 gennaio 2010 del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, che invita alla presentazione di progetti di ricerca industriale, nell’ambito del Programma operativo nazionale «Ricerca e competitività 2007-2013». Tale Programma promuove iniziative e progetti nei campi della ricerca scientifica, della competitività e dell’innovazione industriale nelle Regioni meno avanzate, comprese nell’Obiettivo Convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia). I progetti dovranno essere sviluppati nei nove ambiti strategici di riferimento previsti dagli accordi di programma e riguardare lo sviluppo della ricerca industriale, di attività non preponderanti di sviluppo sperimentale e le connesse attività di formazione di ricercatori e tecnici di ricerca. Il bando scade il 9 aprile 2010;

DM 22 dicembre 2009 del Ministro dello sviluppo economico, che indice un bando per il finanziamento di progetti di diffusione e trasferimento di tecnologie al sistema produttivo e creazione di nuove imprese ad alta tecnologia nell’ambito del Programma RIDITT (Rete italiana per la diffusione dell’innovazione e il trasferimento tecnologico alle imprese). I termini di presentazione dei progetti sono fissati a novanta giorni dalla data di pubblicazione del decreto.

Grandi imprese in crisi

Il Governo è intervenuto sulla disciplina relativa all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi con il decreto-legge n. 134/2008 (noto anche come «decreto Alitalia») che ha esteso l’ambito di applicazione del decreto-legge n. 347/2003 («legge Marzano») – che già disciplinava la procedura di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di insolvenza finalizzata alla ristrutturazione industriale delle stesse sotto la supervisione del Ministro competente – anche alle imprese che intendono avvalersi, piuttosto che delle procedure di ristrutturazione economica e finanziaria, delle procedure di cessione di complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa di durata non superiore ad un anno.

Il «decreto Alitalia» ha anche individuato una specifica disciplina dell’amministrazione straordinaria per le grandi imprese operanti nei settori dei servizi pubblici essenziali volta a garantire la continuità nella prestazione di tali servizi.

Il Presidente del Consiglio dei ministri oppure il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto:

 accordano l’ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria delle imprese in crisi operanti nei servizi pubblici essenziali;

 nominano il Commissario straordinario;

 possono prescrivere specifiche attività per il raggiungimento dell’obiettivo di risanamento.

Le finalità conservative dell’azienda possono essere realizzate attraverso la cessione dei complessi aziendali. Il Commissario straordinario individua l’acquirente mediante trattativa privata tra i soggetti che garantiscono la continuità del servizio nel medio periodo e la rapidità dell’intervento, e fissa il prezzo di cessione ad un valore non inferiore a quello di mercato.

Il decreto ha previsto inoltre misure per la tutela dei lavoratori, estendendo la durata massima dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria e di mobilità per il personale dei vettori aerei e delle società derivate da questi ultimi, e benefici per i piccoli azionisti o gli obbligazionisti di Alitalia – Linee aeree italiane S.p.A. Infine, per garantire la continuità aziendale di Alitalia, sono state introdotte limitazioni alla responsabilità degli amministratori, dei componenti del collegio sindacale, del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari.

In materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza è intervenuto anche il citato decreto-legge n. 185/2008 («decreto anti-crisi»), che ha integrato la «legge Prodi-bis» (D.Lgs. n. 270/1999) in merito alle operazioni di cessione previste dal commissario straordinario nel programma di salvataggio dell’impresa.

Made in Italy e lotta alla contraffazione

La legge n. 55/2010 reca disposizioni in materia di commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri (anche con riferimento alla riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani).

In particolare la legge istituisce, in tali settori, un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti, che evidenzi il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione assicurando così la tracciabilità dei prodotti stessi.

Inoltre si consente l’uso dell’indicazione «Made in Italy» esclusivamente per i prodotti dei citati settori (oltre che per i prodotti conciari e del settore dei divani, come disposto dal Senato) le cui fasi di lavorazione, come individuate dallo stesso provvedimento, abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano.

Infine, si prevedono sanzioni amministrative pecuniarie e il sequestro e la confisca delle merci nel caso di violazione delle disposizioni del provvedimento, che se reiterata o commessa mediante attività organizzate è soggetta a sanzione penale.

Il decreto-legge n. 135/2009 era già intervenuto, con l’articolo 16, a tutela del made in Italy.

In particolare, i commi 1-4 hanno introdotto una regolamentazione dell’uso di indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia, quali «100 per cento made in Italy», «100 per cento Italia», «tutto italiano» o simili, prevedendo una sanzione penale per l’uso indebito di tali indicazioni di vendita ovvero di segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione.

Invece, con i commi 5-8 è stata sanzionata la condotta del produttore e del licenziatario che maliziosamente omettano di indicare l’origine estera dei prodotti pur utilizzando marchi naturalmente riconducibili a prodotti italiani, a tal fine modificando la precedente disciplina in materia. Le modifiche così introdotte da una parte sono volte a superare i limiti interpretativi e applicativi posti dalle disposizioni previste dall’articolo 17, comma 4, della legge n. 99/2009 – a sua volta intervenuto a modificare la disciplina contenuta nell’articolo 4, comma 49, della legge n. 350/2003 (finanziaria 2004) – specificando la condotta sanzionata e qualificando la violazione come illecito amministrativo, mentre dall’altra si sono rese necessarie per evitare possibili profili di contrasto delle stesse disposizioni con la normativa comunitaria. Con riferimento alla norma in esame il Ministero dello sviluppo economico ha emanato una circolare esplicativa.

La legge n. 99/2009 contiene numerose norme che mirano a rafforzare la tutela della proprietà industriale e gli strumenti di lotta alla contraffazione, anche sotto il profilo penale.

Come già ricordato con esse sono state rese più stringenti, a tutela del made in Italy, le sanzioni in caso di mendace indicazione di provenienza o di origine.

L’azione di contrasto alla contraffazione e alle frodi è stata potenziata anche per i prodotti agroalimentari ed ittici.

Alle indagini per i delitti di contraffazione è stata estesa la disciplina delle «operazioni sotto copertura», consistenti in attività di tipo investigativo affidate in via esclusiva ad ufficiali di polizia giudiziaria, infiltrati sotto falsa identità negli ambienti malavitosi al fine di reperire prove e accertare responsabilità.

Inoltre, si è disposto che i beni mobili registrati sequestrati (automobili, navi, imbarcazioni, natanti e aeromobili) nel corso dei procedimenti per la repressione di tali reati siano affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi di polizia o ad altri organi dello Stato o enti pubblici non economici per finalità di giustizia, protezione civile o tutela ambientale.

Si è stabilito, altresì che, salvo che il fatto costituisca reato, si proceda a confisca amministrativa dei locali ove vengono prodotti, depositati, detenuti per la vendita o venduti i materiali contraffatti, salvaguardando il diritto del proprietario in buona fede.

Presso il Ministero dello sviluppo economico è stato istituito il Consiglio nazionale anticontraffazione, con funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento delle azioni intraprese da ogni amministrazione, al fine di migliorare l’azione complessiva di contrasto della contraffazione a livello nazionale.

Più in generale, la legge n. 99 ha introdotto modifiche al Codice della proprietà industriale (D.Lgs. n. 30/2005) incidendo su profili sia di natura sostanziale sia processuale. Per quanto riguarda i profili sostanziali le modifiche riguardano, tra l’altro, il diritto di priorità per i brevetti di invenzione e per i modelli di utilità e i limiti alla protezione accordata dal diritto d’autore ai disegni e modelli industriali. Con riferimento ai profili processuali si segnala, tra le altre modifiche, l’eliminazione del riferimento all’applicazione del rito societario per i procedimenti in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale e l’ampliamento delle controversie devolute alle sezioni specializzate. Inoltre, la legge delega il Governo ad adottare disposizioni correttive o integrative del richiamato Codice, anche con riferimento ai profili processuali. A tale previsione, acquisiti i pareri parlamentari sullo schema di decreto iniziale (atto n. 228), è stata data attuazione con il decreto legislativo n. 131/2010.

Nella seduta del 13 luglio 2010 la Camera ha approvato, con limitate modifiche, il testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare Doc. XXII, n. 12 e Doc. XXII, n. 16 (Doc. XXII, n. 12-16-A), che istituisce una Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale. La deliberazione di inchiesta parlamentare è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 167 del 20 luglio 2010.

Incentivi per il rilancio dei consumi

Il decreto-legge n. 40/2010, all’articolo 4, comma 1, istituisce un Fondo per il sostegno della domanda finalizzata ad obiettivi di efficienza energetica, ecocompatibilità e miglioramento della sicurezza sul lavoro, con una dotazione di 300 milioni di euro per il 2010. Come stabilito dal DM 26 marzo 2010, con cui sono state definite le modalità di erogazione mediante contributi delle risorse del Fondo, beneficiano degli incentivi gli acquisti di: motocicli, elettrodomestici a basso consumo, cucine componibili complete di elettrodomestici efficienti, rimorchi, gru per l’edilizia, macchine agricole, motori nautici, componenti elettrici ed elettronici per l’efficienza energetica industriale, internet veloce per i giovani. I consumatori e le imprese possono acquistare i prodotti con gli incentivi a partire dal 15 aprile 2010. È previsto inoltre un contributo per l’acquisto di immobili di nuova costruzione ad alta efficienza energetica da adibire a prima abitazione, nel limite massimo di 7000 euro. Nel corso dell’esame parlamentare, i contributi per le gru a torre sono stati riconosciuti anche per gli acquisti tramite locazione finanziaria e quelli destinati ai motocicli sono stati estesi anche alle biciclette a pedalata assistita.

SINTESI DELLE AUDIZIONI EFFETTUATE NEL CORSO DELL’INDAGINE

Distretti industriali

Nel corso delle audizioni di alcuni dei distretti industriali più rappresentativi del territorio nazionale sono state evidenziate alcune criticità e conseguentemente sono stati suggeriti sia interventi urgenti ed immediati, sia interventi strutturali a medio-lungo termine.

Per quanto riguarda gli interventi del primo tipo, è stato sottolineato da più di un interlocutore che, al fine di garantire, nell’attuale congiuntura economica, un livello soddisfacente di liquidità delle imprese sembrerebbe rendersi necessario un allentamento dei parametri imposti dagli accordi di Basilea 2 per permettere alle aziende di superare l’attuale momento di difficoltà e rimanere sul mercato, mantenendo gli attuali livelli occupazionali. Inoltre, sempre per favorire la liquidità delle imprese, si è suggerito lo spostamento in avanti delle scadenze di pagamento di imposte e contributi. Gli auditi hanno inoltre proposto interventi urgenti sul piano della riduzione del carico fiscale e contributivo, con l’abolizione dell’IRAP che paradossalmente colpisce anche le aziende in perdita o, in subordine, la diminuzione della percentuale di acconto dell’IRAP, una deducibilità totale degli oneri finanziari ai fini IRAP, la previsione della deducibilità totale dell’IRAP dall’IRES e dall’IRPEF ovvero almeno l’aumento del limite di deducibilità della stessa imposta attualmente fissato al 10 per cento. Inoltre si è proposto l’aumento della deducibilità degli interessi passivi ai fini IRES. Per quanto riguarda gli studi di settore, pur rilevando che rispetto alla loro prima introduzione sono stati fatti dei correttivi, si è proposto di ridimensionarne realmente la portata sia stabilendo a livello normativo – azione che è già stata, in parte, intrapresa a livello giurisprudenziale – che gli studi di settore non possano da soli giustificare un accertamento, ma che debbano concorrere con altri elementi, sia rivedendo i metodi di calcolo ed i moltiplicatori per tener conto del peggioramento dell’andamento dell’economia.

Per quanto riguarda gli interventi strutturali a medio-lungo termine per sostenere lo sviluppo e la competitività del sistema produttivo, si è da più parti sottolineato la necessità di interventi di sostegno al made in Italy con l’introduzione di un sistema di etichettatura obbligatoria per i prodotti commercializzati nell’Unione europea e di incentivi all’aggregazione di impresa al fine di intervenire sull’assetto dimensionale del tessuto produttivo.

Sul tema dei dazi d’ingresso si è sottolineato che mentre nella UE sono indiscutibilmente bassi, esistono mercati primari che mantengono barriere quasi impenetrabili per i nostri prodotti. È quindi considerato necessario che tutti gli stati membri del WTO rimuovano le barriere non tariffarie che ostacolano l’accesso ai mercati. Occorre inoltre insistere affinché la UE promuova a livello mondiale l’adozione di standard di reciprocità a livello sociale e ambientale, per evitare fenomeni di dumping, nonché il divieto di quelle forme di sussidi alle imprese che rappresentano uno dei maggiori fattori distorsivi della competizione internazionale.

Secondo i soggetti auditi, in particolare i rappresentanti del distretto della ceramica di Sassuolo, il recupero della competitività passa sicuramente attraverso il problema dell’energia e in particolare del gas naturale (metano), il cui differenziale di costo in Italia rispetto ai competitori europei – con tariffe del 30 per cento più alte rispetto ai nostri concorrenti – penalizza pesantemente le imprese industriali energivore. Occorrono quindi politiche a sostegno della concorrenzialità nel mercato del gas, dell’accesso alle reti, del potenziamento della capacità di stoccaggio (a vantaggio non solo dei clienti domestici ma anche dei clienti industriali), per garantire una maggiore pluralità e differenziazione sul lato dell’offerta in modo da ridurre il costo del gas, principale materia prima di molte industrie manifatturiere (e in particolare di quella delle ceramiche). Il costo dell’energia è stato segnalato come elemento strutturale di debolezza anche del mercato dei filati e delle calze laddove in Italia si paga circa il 20-30 per cento in più degli altri concorrenti e rispetto alla Francia quasi il doppio.

Un contributo decisivo per lo sviluppo e la competitività dei distretti è dato dagli investimenti in ricerca e innovazione. Per quanto riguarda i distretti del tessile è stato messo in evidenza che per innovare questo settore bisogna andare, innanzitutto, verso un tessile «etico». Per esempio, da tempo è stata avviata la produzione di tipi di tessuto senza emissione di gas ad effetto serra. L’innovazione sui tessuti vuol dire tessuto tecnico e non solamente tessuto per abbigliamento. Per quanto riguarda i distretti del settore forbici e coltelli si è evidenziato che gli investimenti in ricerca e innovazione, mentre negli anni dal 2001 al 2004 sono stati molto esigui, negli anni più recenti sono aumentati considerevolmente per evitare una altrimenti inevitabile decadenza e hanno riguardato sia il design sia la tecnologia. Per quanto riguarda il distretto della ceramica (di Sassuolo) si è evidenziato che competitività significa anche innovazione, e al riguardo di notevole rilievo è la realizzazione dei «tecnopoli» di Civita Castellana e Sassuolo, due interventi molto importanti per dare un segnale della volontà di superare questo momento di crisi attraverso l’innovazione e soprattutto la formazione.

Un discorso a parte va fatto per l’occupazione e il sostegno al reddito in caso di perdita del lavoro. Ferma la priorità di cercare di evitare licenziamenti e disoccupazione – anche garantendo una adeguata liquidità alle imprese – si è quasi unanimemente osservata la necessità di maggiori risorse finanziare da destinare agli ammortizzatori sociali con particolare riferimento ad interventi di prolungamento della CIG ordinaria e straordinaria, alla cassa integrazione in deroga (soprattutto per le imprese artigiane) e ai contratti di solidarietà, nonché la necessità di rendere più spedite le procedure di accesso da parte delle imprese a questi strumenti di sostegno del reddito.

Autorità garante della concorrenza e del mercato

Il presidente Catricalà ha sottolineato che l’industria manifatturiera già da lungo tempo è più esposta di altre alla concorrenza internazionale. Non esiste, infatti, alcun monopolio naturale che possa proteggere le imprese italiane. Già nel 1947 con il GATT (General agreement on tariffs and trade) e poi con l’Organizzazione mondiale del commercio del 1994, si è assistito a una progressiva caduta dei dazi, che ha comportato una piena e assoluta concorrenza a livello globale e una crescita del prodotto interno lordo di tutti i paesi industrializzati.

L’Italia mostra una peculiarità: ha qualche grande azienda, ma a reggere la struttura produttiva sono le piccole e medie imprese, che trovano nei distretti industriali un terreno favorevole per lo sviluppo. Vi sono grandi aziende, alcuni big players nel settore della meccanica, dell’aeronautica, nel settore militare, nell’ottica e nell’alimentare, nonché nella moda e nelle costruzioni. Però, sia che si parli di grandi imprese oppure di piccole e medie imprese, il modello italiano è fondato sulle esportazioni. In questo ambito, si registrano realtà eccellenza, in particolare il tessile, la ceramica, le calzature, il pellame, la moda in generale e la meccanica di precisione che, tuttavia, hanno risentito della crisi internazionale. È peraltro vero che le aziende italiane soffrono più di altre aziende europee di un deficit di sistema dovuto soprattutto a inefficienze della produzione, che dipendono dagli eccessivi costi dell’energia, da una burocrazia eccessiva e lenta, da un sistema fiscale particolarmente farraginoso, dalla insufficiente dotazione infrastrutturale (con riguardo sia al trasporto, sia alla logistica), dalla mancanza di una rete di collegamento tra formazione, ricerca e imprese. A ciò si deve aggiungere il costo elevato dei servizi bancari e delle assicurazioni nonché quello delle professioni e dei servizi in genere: tutti oneri che costituiscono costi di produzione tali da non consentire alle nostre imprese di competere efficacemente, sulla scena europea. In realtà, per un lungo periodo, l’Italia è riuscita a compensare questi svantaggi utilizzando il meccanismo di svalutazione compensativa della lira che metteva le nostre imprese in grado di esportare a prezzi competitivi. Questa situazione è – per fortuna – cambiata, ma di fatto le esportazioni, nella quota dei volumi di esportazioni mondiali, si sono ridotte. Sono poi entrati nuovi protagonisti sulla scena mondiale del commercio, quali l’India, il Brasile e la Cina. Esaminando le bilance commerciali, si può osservare che in realtà pareggiamo con quasi tutti gli Stati ma, rispetto alla Cina, importiamo molto più di quanto esportiamo. Questi Paesi hanno, purtroppo, la possibilità legale di imporre tariffe all’importazione più alte di quelle che possiamo imporre loro e ciò perché vengono ritenuti Paesi emergenti dall’Organizzazione Mondiale del Commercio. Hanno quindi la possibilità di creare all’Italia questo ulteriore svantaggio, oltre al ben noto dumping sociale che deriva dal sistema meno garantista dal punto di vista sia del costo del lavoro sia della sicurezza e dell’ambiente.

Le nuove economie emergenti detengono, dunque, due vantaggi rispetto all’Italia: la possibilità di imporre dazi, ma anche quella di tenere bassi i propri costi. Ciò non è invece possibile per le economie più avanzate. Al riguardo l’Antitrust ha quindi espresso l’auspicio che non si ricorra a forme protezionistiche, nemmeno nei confronti di questi Paesi, poiché l’interesse nazionale alla libertà dei mercati è molto più importante rispetto all’interesse verso singole protezioni. Semmai sono le condizioni di accesso al mercato che avrebbero dovuto essere discusse prima, nel momento in cui questi Stati sono entrati nel mercato mondiale. A giudizio dell’Antitrust, l’Italia non dovrebbe sollecitare misure protezionistiche, trattandosi di un paese che, senza assoluta libertà di commerci, soffrirebbe in termini di ricchezza e benessere per tutti i cittadini.

Le strategie che l’Antitrust suggerisce, pertanto, sono in primo luogo, la riallocazione delle energie lavorative sui livelli più alti della filiera produttiva e sui livelli più raffinati dal punto di vista tecnologico; in secondo luogo, se e quando possibile, la delocalizzazione della produzione che finora ha prodotto buoni risultati. Esiste una parte vitale della nostra industria in grado di reggere il confronto, che deve servire da traino anche per le altre industrie manifatturiere che soffrono maggiormente la competizione.

Un dato che oggi, occorre sottolineare è che le concentrazioni, cioè gli investimenti di imprese su imprese, si sono fortemente ridotte. L’Antitrust dispone infatti un sistema di rilevazione molto efficiente del fenomeno degli investimenti di acquisti di imprese rispetto ad altre imprese – sia che si tratti di acquisizione oppure di fusioni – e ha potuto paragonare i quattro mesi di quest’anno rispetto agli stessi quattro mesi dell’anno scorso. Quest’anno c’è stato un calo numerico delle concentrazioni pari al 50 per cento. È un dato essenziale, dal quale si può dedurre quanto oggi sia bassa la propensione delle imprese ad acquistarne altre. Il calo unitario in valore arriva, addirittura, al 70 per cento: ciò significa che si è di fronte a un decremento molto forte della ricchezza delle imprese, anche perché, effettivamente, le imprese quotate in borsa, rispetto all’anno precedente, valgono circa la metà nel 2009. Negli ultimi mesi del 2009 si è rilevata una lieve propensione ad aumentare le concentrazioni e, inoltre, il decremento per il settore manifatturiero appare minore. Le imprese manifatturiere, quindi, hanno certamente subito una diminuzione, inferiore però a quella delle altre imprese, poiché in termini di valore – quindi non in numero – sono diminuite «solo» del 58 per cento, rispetto al 70 per cento citato. Ciò si spiega anche con il fatto che le piccole e medie imprese hanno continuato ad aggregarsi in qualche modo e oggi seguono la generale ripresa dell’aggregazione.

Un dato positivo è che, nell’ultimo mese (maggio 2009), sono ripresi gli acquisti nella grande distribuzione. Ciò fa pensare che in qualche modo stiano risalendo i consumi ma, naturalmente, è troppo presto per fare un’affermazione ottimistica. È chiaro che, se ci saranno nuove aggregazioni, si creerà quell’efficienza di rete che l’Antitrust ha sempre richiesto alle piccole e medie imprese di perseguire, in quanto attualmente caratterizzate da una forse eccessiva polverizzazione sul territorio, anche per quanto riguarda l’acquisizione delle risorse e la non capacità di fare sistema rispetto ai fornitori delle materie prime e dell’energia. Purtroppo, chi non riesce a crescere e a stimolare maggiore produttività nella propria azienda, non riesce neanche a conferire maggiore qualità al prodotto e si trova in grande difficoltà per quanto riguarda sia la vera e propria attività commerciale, sia la possibilità di consolidarsi attraverso piccole acquisizioni. Il sistema del credito, infatti, è restio a concedere qualsiasi forma di aiuto ad aziende che non appaiano profittevoli. D’altra parte, gli interventi pubblici selettivi di sostegno, già in passato, si sono dimostrati inappropriati. Quello che rimane da fare è una politica di sistema, che crei certamente una rete di protezione per i lavoratori, ma che soprattutto affronti una volta per tutte e mantenga la riduzione dei costi di produzione.

Sulla politica energetica, che rappresenta un dato essenziale, l’Autorità lamenta la mancata proroga dei «tetti» sul gas. L’Antitrust ha proposto una proroga flessibile, che potesse tener conto – a discrezione del Governo o dell’Autorità preposta alla vigilanza sul settore – di «tetti» variabili in ragione dell’effettiva quantità di gas che entra in Italia, soprattutto dopo l’entrata in funzione del rigassificatore appena costruito a Rovigo. In particolare, si sta studiando anche la possibilità di suggerire una forma diversa di tariffazione per gli energivori, cioè per quelle imprese che spendono per l’energia un buon 20 per cento (alcune addirittura il 30, o il 35 per cento) del costo unitario di produzione del bene. Si tratta ad esempio, delle imprese del vetro, della ceramica, ma anche delle acciaierie. Si tratta di grandi consumatori di energia e soprattutto di gas, il combustibile più appropriato all’uso, anche perché, probabilmente, è quello che ha avuto la maggiore possibilità di essere trasportato in Italia.

È stata quindi evidenziata l’opportunità di prevedere una tariffa del gas (al momento uguale per tutti) che, per una parte, vada al mercato libero e rechi una parte dei costi di sistema. Sarebbe altresì auspicabile che i grandi energivori possano godere di una forma di decremento della tariffa al crescere del consumo di energia. Naturalmente, tali costi non devono essere sostenuti dai consumatori più piccoli perché si danneggerebbe il sistema nel suo complesso.

L’industria nazionale della distribuzione, altro aspetto da esaminare, non è stata in grado di penetrare i mercati esteri, a causa di gravi resistenze interne. Per favorire i piccoli commercianti, la grande distribuzione nazionale ha subito importanti blocchi in Italia, mentre i commercianti stranieri sono penetrati nel nostro Paese con i loro supermercati e centri commerciali. Si registra, inoltre, anche la difficoltà, da parte della nostra distribuzione, di promuovere il made in Italy nei Paesi nei quali si intende esportare.

Il presidente Catricalà ha poi sottolineato la necessità di uno snellimento burocratico in un contesto caratterizzato da un eccesso di leggi, di duplicazione dei controlli, di sovrapposizioni di competenze. Non può realizzarsi uno snellimento burocratico efficace, se nell’attività procedimentale della pubblica amministrazione, che ormai vede intervenire più autorità a giusto titolo, non si prevede un momento finale in cui qualcuno si deve assumere la responsabilità della decisione – qualunque essa sia – anche contro le indicazioni provenienti da altri enti. Neppure ci saranno pratiche amministrative efficienti, fino a che il meccanismo dello spoil system creerà una stretta dipendenza dell’alta dirigenza dal potere politico, con una deresponsabilizzazione del potere politico stesso, in quanto oggi vige la separazione tra responsabilità politica e responsabilità amministrativa.

Più in generale, sul tema della struttura del sistema produttivo italiano e su un suo rafforzamento e allargamento della base dimensionale, l’Autorità ritiene che i distretti siano una buona esperienza di avvio per processi volti alla realizzazione di reti di imprese.

Compagnia delle Opere

Il presidente della Compagnia delle Opere, Bernhard Scholz, ricorda che la Compagnia delle Opere è un’associazione di professionisti e imprenditori nata 22 anni fa, composta da 34 mila soci e con 41 sedi in Italia e 10 mila soci nel settore manifatturiero. La composizione dei soci rispecchia quella delle aziende in Italia, quindi per la maggior parte si tratta di piccole e medie imprese.

Osserva che l’origine della profonda crisi economica è da imputare, più che al sistema finanziario, alla cultura che lo ha generato che ha privilegiato l’obiettivo del guadagno immediato e la gestione finanziaria rispetto all’economia reale e, quindi, al lavoro. In questo momento di crisi la funzione dell’associazione è stata principalmente quella di sostenere la fiducia degli imprenditori, di ricostituire una rete di relazioni, un’amicizia operativa a sostegno dei singoli. La Compagnia si è prodigata anche in funzioni di assistenza alle imprese al fine di facilitare i loro rapporti con gli istituti di credito, istituendo a questo fine la figura professionale del tutor delle PMI. È stato dato anche notevole impulso alla formazione con l’avvio di una scuola di impresa che nello scorso anno ha visto la partecipazione di 1.200 imprenditori, registrando un inaspettato incremento in un periodo di crisi.

Altro elemento cruciale per il rilancio del sistema produttivo è stato individuato nella internazionalizzazione delle imprese. A questo fine, la Compagnia delle Opere ha favorito occasioni di incontro tra gli imprenditori per alimentare meccanismi di cooperazione e, in particolare, le reti di imprese.

Dal punto di vista degli interventi più urgenti a sostegno del tessuto industriale manifatturiero sono stati indicati la riduzione della pressione fiscale (in particolar modo intervenendo sull’IRAP), la semplificazione amministrativa con la creazione dello sportello unico affinché le imprese abbiano un interlocutore unico per tutti gli adempimenti amministrativi loro richiesti.

Confapi

L’economista Stefano Fantacone ha sottolineato che la crisi internazionale ha colpito duramente il settore manifatturiero senza offrire meccanismi di correzione automatica cui ricorrere per sperare in un recupero spontaneo. Nel Documento di programmazione economico-finanziaria, il Governo ha quantificato a meno 5,2 per cento la contrazione attesa del PIL per il 2009. Sostanzialmente, la perdita del prodotto del 2009 è pari alla perdita accumulata di prodotto registrata nelle tre recessioni precedente (negli anni Settanta, negli anni Ottanta e negli anni Novanta).

Molto più significativi i dati che riguardano il settore manifatturiero. A maggio 2009 la situazione era la seguente: meno 23 per cento per la produzione del fatturato, meno 31 per cento per gli ordinativi, meno 25 per cento per le esportazioni; tutto ciò va poi inserito in un contesto di deflazione per cui i prezzi alla produzione nel settore manifatturiero scendono nell’ordine del 6 per cento. In sostanza, per effetto della crisi nel breve volgere di un anno, il settore manifatturiero si è trovato nella necessità di mettere a riposo oltre un quarto della sua capacità produttiva. Il livello di produzione industriale è del 25 per cento inferiore a quello di inizio decennio.

In questa situazione, un problema ulteriore è dato dal fatto che è molto aumentata la difficoltà di accedere al credito inasprendo la crisi di liquidità in cui le imprese si sono trovate a causa del crollo verticale di fatturato.

Si intravedono segni di ripresa, ma la velocità con cui si sta uscendo dalla recessione è del tutto inadeguata per recuperare il terreno perduto in questo anno. Si possono fare varie elaborazioni per dimostrare questo dato. In base a studi effettuati da Confapi occorrerebbe aspettare dicembre 2012 per ritornare ai livelli di produzione del gennaio 2008. Pertanto, «il trascinamento», l’eredità con cui occorre confrontarsi è talmente pesante che occorre un orizzonte pluriennale per tornare ai livelli di produzione che avevamo già raggiunto. Molte analisi indicano che il panorama economico post-crisi sarà molto diverso dal panorama economico pre-crisi, soprattutto perché il potenziale di domanda sviluppato dagli Stati Uniti d’America, sarà chiaramente minore del potenziale di domanda espresso a partire dagli anni Novanta fino all’esplodere della crisi. Vi saranno probabilmente saggi di crescita dell’economia internazionale e presumibilmente del commercio mondiale più bassi di quelli a cui siamo abituati.

La crisi colpisce inoltre nel momento sbagliato. Nel caso specifico dell’industria, le recessioni del passato erano sempre intervenute in situazioni di perdita di competitività ed avevano costituito l’occasione per indurre le imprese ad adottare politiche di ristrutturazione che restituissero la competitività perduta. Al contrario, gli studi attuali dimostrano che il sistema manifatturiero italiano ha compiuto negli ultimi anni importanti sforzi di ristrutturazione e di adeguamento alle nuove condizioni della moneta unica e della globalizzazione, non riuscendo tuttavia a ottenere ritorni dei propri investimenti e, dal punto di vista dell’analisi economica, questo è un elemento di grande rischio.

I dati di contabilità nazionale dimostrano che nel primo trimestre del 2009 il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato nell’industria del 10 per cento: è un valore mai registrato in precedenza ed è effetto di una caduta della produttività industriale del 6 per cento, anch’essa senza precedenti. Il motivo di tale caduta risiede nel fatto che le imprese hanno conservato il proprio capitale umano pur in presenza di un crollo degli ordinativi. Oltretutto, non si ravvisano meccanismi spontanei di aggiustamento, perché lo strumento del cambio sta acquisendo nuovi vantaggi per i sistemi Paese dell’area asiatica, che una volta usciti dalla recessione troveremo ancora più competitivi di quanto non lo fossero ad inizio della crisi. È la prima volta che all’industria italiana si chiede di uscire dalla recessione senza ricorrere alla svalutazione del cambio; nei passati episodi di recessione, infatti, la svalutazione era sempre stata un pezzo della manovra di rilancio del ciclo economico. Pur nella consapevolezza che il meccanismo degli aggiustamenti rappresenta uno strumento che produce benefici di breve termine e costi di lungo periodo, è importante sottolineare il fatto che in altri Paesi nostri concorrenti è ancora ampiamente utilizzato.

Il responsabile delle relazioni industriali di Confapi, Armando Occhipinti, dopo aver richiamato i dati allarmati del fatturato nel 2009, ha sottolineato la difficoltà di accesso al credito e la conseguente scarsa liquidità delle imprese. Tra le cause del peggioramento dei rapporti fra aziende e istituti di credito si segnalano il blocco dei nuovi finanziamenti e l’ingiustificato aumento degli spread del costo del denaro accanto al preoccupante aumento di richiesta di garanzie reali.

Le richieste di Confapi riguardano misure eccezionali volte a garantire la sopravvivenza delle PMI: la sospensione degli acconti fiscali, il versamento dell’IVA a fattura incassata, la detraibilità dell’IRAP, la deducibilità degli interessi passivi e la sospensione del Patto di stabilità interna al fine di liberare risorse per gli investimenti degli enti locali. Si sottolinea infine l’urgenza di un provvedimento che obblighi le pubbliche amministrazioni a saldare le fatture delle aziende in tempi ragionevoli e prestabiliti e il rilancio del settore dell’edilizia. Si considera infine necessaria la sospensione dell’applicazione degli accordi di Basilea 2.

Riguardo ai cosiddetti Tremonti-bond, è necessario monitorare i comportamenti delle banche, così come sulla commissione di massimo scoperto andrebbe effettuato un costante monitoraggio. Sulla patrimonializzazione dei confidi, è necessario un intervento di sostegno. È necessario continuare a lavorare sulla semplificazione amministrativa, sulle agevolazioni fiscali mirate agli investimenti pubblici e sulla domanda pubblica.

Confindustria

Il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli, ha sottolineato che, pur in presenza di una gravissima crisi internazionale, si rileva qualche segnale di stabilizzazione e, in alcuni casi, di ripresa dell’attività.

Negli ultimi quindici anni l’Italia ha avuto un tasso di crescita del prodotto interno lordo fra i più bassi delle maggiori economie. Il Governo e il Parlamento hanno avviato una serie di misure importanti in materia di pubblica amministrazione, istruzione, giustizia, e si ritiene necessario dare forte priorità al tema delle infrastrutture e alla semplificazione del rapporto fra pubblica amministrazione e imprese.

L’azione di Confindustria ha sempre preso le mosse dalla piena consapevolezza che l’azione di politica economica italiana è fortemente vincolata dall’alto debito pubblico. Si è quindi cercato di individuare azioni finalizzate a dare liquidità alle imprese, a far ripartire la produzione, a sostenere il reddito dei lavoratori. La prima azione è stata di potenziare gli ammortizzatori sociali per la coesione sociale.

Sulla questione del credito alle imprese, sottolinea le perduranti notevoli difficoltà di accesso al credito pur in presenza di numerosi provvedimenti del Governo in materia di Cassa depositi e prestiti, SACE, fondo di garanzia, Tremonti-bond e così via.

Nell’ambito di una concertazione in sede europea, si ritiene necessario rivedere l’accordo di Basilea 2 e in collaborazione con l’ABI e con il Ministero dell’economia e delle finanze si sta lavorando per adottare misure che consentano di sospendere per un periodo predeterminato le rate di finanziamento per mutui, leasing e altre tipologie di credito bancario.

Richiama quindi la questione dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese: si tratta di circa 60 miliardi di euro, risorse cruciali in un momento di grave crisi. Occorre fare in modo che le amministrazioni interessate provvedano quanto più celermente possibile all’emissione dei mandati di pagamento, possibilmente entro il 31 dicembre 2009.

Confindustria ha posto grande attenzione al sostegno degli investimenti e ha considerato molto positivamente la cosiddetta detassazione degli utili investiti anche se è purtroppo rimasta esclusa una parte degli investimenti in macchinari e attrezzature.

Un’altra misura di rilievo assolutamente strategico è il credito d’imposta in ricerca e sviluppo. Inizialmente era previsto un plafond al credito di imposta per chiunque svolgesse una documentata attività di ricerca e innovazione. Ora si è invece adottato un sistema di assegnazione dei fondi, il cosiddetto click day, che è un sistema aleatorio e scarsamente trasparente. Sarebbe opportuno ripristinare l’automaticità del credito e integrare la dotazione finanziaria per garantire l’agevolazione. Altro tema di assoluto rilievo è quello delle infrastrutture e dell’immediata apertura dei cantieri.

In base ai dati disponibili dell’Eurostat nel periodo da maggio 2008 a maggio 2009, sul totale del manifatturiero, l’Italia perde il 20 per cento con una percentuale non molto diversa dalla media dell’Unione europea a quindici, che si attesta al 18 per cento. Nonostante gli incentivi, il settore dell’automobile, rimane tra i più penalizzati, anche se vi sono settori (macchinari, apparecchiature e metallurgia) che registrano un calo di produzione ancora peggiore che si attesta attorno al 40 per cento.

I distretti che tradizionalmente hanno reagito meglio nelle situazioni di congiuntura avversa, sono stati colpiti come il resto del sistema. I dati dell’osservatorio di Intesa San Paolo, mostrano una riduzione delle esportazioni da parte dei distretti del 20 per cento. Le maggiori perdite si sono avute nei mercati di Stati Uniti, Spagna, Regno Unito e Russia. I distretti rappresentano uno dei contesti importanti di innovazione e valorizzazione dei sistemi di impresa. Per la pianificazione territoriale appare utile potenziare il contratto di rete e di filiera che non necessariamente corrisponde alla dimensione geografica del distretto. Il contratto di rete è una libera associazione di imprese, senza strutture o burocrazie pubbliche, che possono unirsi per partecipare, ad esempio, ai bandi di Industria 2015, oppure per lavorare sull’internazionalizzazione o presentare progetti di mercato, superando in tal modo la limitazione della piccola dimensione. Confindustria ritiene quindi che la linea da seguire sia quella del contratto di rete e della filiera; ciò anche perché l’information technology crea più facilmente di prima nuove strutture di rapporti.

Il Rapporto Unioncamere-Mediobanca ha dimostrato che le medie imprese manifatturiere italiane sono cresciute moltissimo negli ultimi anni in termini di fatturato, valore aggiunto, esportazioni e investimenti. L’Italia conferma un ruolo di primo piano nella competizione internazionale: è il terzo Paese in Europa, il quinto nel mondo per numero di addetti nelle scienze della vita; un risultato di eccellenza è rappresentato dalla crescita dei brevetti nella biotecnologia. Si deve fare in modo che questi processi di sviluppo tecnologico si estendano anche ad altri settori; è necessario adottare strumenti di politica economica che puntino a fare massa critica e a creare collaborazioni tra imprese e fra imprese e settore pubblico, attraverso piattaforme tecnologiche nazionali ed europee, distretti tecnologici e strumenti di incentivazione orizzontale.

Un altro aspetto di rilievo per il made in Italy, ad avviso Confindustria, è la crescita del settore definito affordable luxury che occupa ormai il 31 per cento del fatturato, con punte che raggiungono il 40 per cento nella moda e nell’arredamento. Si tratta di produzioni di qualità destinate ai Paesi emergenti. Si stima che, nei prossimi anni, circa 500 milioni di nuovi consumatori potranno accedere a questa tipologia di beni e l’80 per cento di questi sarà collocato nei Paesi emergenti, quali Russia, Cina, India, Brasile. Attualmente il 40 per cento dell’export italiano è destinato a Paesi extra UE; si tratta, quindi, di una quota superiore a quella della Germania. Quando ci si sposta verso i Paesi emergenti, diventano particolarmente importanti gli strumenti di incentivazione o di assicurazione dell’export; sarà quindi necessario prestare la massima attenzione a realtà come SIMEST e SACE.

Confindustria sottolinea l’importanza dell’appartenenza all’Unione europea, sia sotto il profilo della moneta unica, sia per la questione degli aiuti di Stato, rispetto ai quali auspica un ripristino, ragionato e su basi diverse rispetto alle precedenti, di regole per evitare distorsioni alla concorrenza nel mercato unico. Il dr. Galli ha manifestato molta preoccupazione sulla questione dei sussidi che l’Italia, a differenza di altri Paesi europei, non può assicurare alle imprese; sottolinea altresì l’importanza dei fondi strutturali. Sottolinea, infine, positivamente gli ambiziosi obiettivi europei individuati nel pacchetto clima-energia e l’impatto significativo che avranno nella politica industriale dei Paesi membri.

Confartigianato, Casartigiani e CNA

Il segretario generale di Confartigianato, Cesare Fumagalli, ha sottolineato che la crisi non colpisce in egual misura tutti i settori. Nella produzione di macchinari si riscontra una flessione della domanda di oltre il 16 per cento, mentre nelle costruzioni la situazione è migliore, in quanto si prevede un calo della componente di PIL per quest’anno intorno al 6 per cento. I settori che afferiscono invece al commercio e ai servizi rivolti alle famiglie rilevano un calo sensibilmente inferiore rispetto a quelli che ho citato, che si attesta al 2,2 per cento.

Peraltro si conferma, sulla base di dati OCSE, che proprio i Paesi a maggior vocazione di manifatturiero e di esportazione sono quelli che hanno sentito maggiormente la crisi. La riduzione e le maggiori tensioni provocate dalla recessione sono state avvertite proprio in Giappone, Germania e Italia.

Per quanto riguarda il comportamento delle PMI, si sottolinea che quasi il 33 per cento e, quindi, un terzo delle piccole imprese, ha un atteggiamento offensivo di fronte alla crisi, articolato su quattro modalità: ingresso e ricerca di nuovi mercati, investimenti per innovazione, miglioramento dei processi e ampliamento di linee di produzione.

Dal punto di vista degli strumenti di intervento da utilizzare è stata sottolineata l’importanza di garantire il credito alle imprese, la tempestività dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni nonché lo sblocco dei fondi relativi alla legge n. 488 del 1992.

Per quanto riguarda le misure a sostegno della domanda, è stata avanzata la proposta, sulla scorta dell’esperienza statunitense, di prevedere una riserva degli appalti per forniture di beni e servizi nei confronti delle piccole imprese, gare per appalti riservate a fornitori locali nei piccoli comuni. Sul versante della fiscalità è stata posta la questione della revisione degli studi di settore, che non devono essere però utilizzati come strumento accertativi automatico ma come indicatore dei ricavi della detassazione degli investimenti in macchinari includendo la generalità dei beni e non solo quelli compresi nella c.d. tabella 28 e prevedendo un tetto per ogni singola impresa.

Le ultime due questioni affrontate sono state quella del contratto di rete tra imprese giudicato idoneo per fare fronte alle attuali difficoltà del mercato ma tenendo presente che forse il nostro Paese ha resistito meglio rispetto ad altri proprio per il grado di diffusione sul territorio e di articolazione del proprio sistema produttivo e di servizi.

Infine, è stato evidenziato come, all’interno di un Paese che già soffre di un gap per l’elevato costo dell’energia rispetto ad altri competitori europei, le micro e piccole imprese abbiano un ulteriore svantaggio nei confronti delle altre imprese italiane a causa di una legislazione che impone una fiscalità sull’energia con la formula regressiva: per alcune tipologie di imposta sull’energia, superata la soglia dei duecentomila kilowattora/mese, scompare l’imposizione fiscale, che ovviamente è pagata da tutti coloro che ne restano al di sotto. Salutando positivamente la differenziazione delle fonti energetiche recentemente inaugurata, è stata però stigmatizzata l’esistenza di condizioni di disparità che pesano ulteriormente sul sistema delle piccole imprese, e, poco comprensibilmente, a favore dei sistemi energivori.

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