Indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell’economia internazionale.

Secondo il rappresentante di Casartigiani, Beniamino Pisano, la situazione economica italiana è di grande disagio, in quanto la crisi non è solo economica, ma anche finanziaria e presenta connotati diversi a seconda dei comparti produttivi. Sottolinea, tuttavia, che il principio ispiratore dell’attività quotidiana degli imprenditori associati a Casartigiani è quello di andare avanti, nonostante tutte le difficoltà, cui si accompagna una precisa volontà di conservare comunque nella propria azienda le risorse umane, e di tutelare le capacità anche relazionali dei propri dipendenti o dei propri collaboratori che non si vogliono perdere. Un’ulteriore constatazione riguarda la solitudine di molti associati – nonostante l’assistenza dell’organizzazione e delle strutture territoriali – di fronte alle problematiche che si incontrano nella vita aziendale, a livello di rapporti sia con il mondo creditizio che con le pubbliche amministrazioni.

Sollecita l’approvazione di provvedimenti volti ad agevolare le filiere produttive, ricordando che alcuni comparti, quali ad esempio il tessile-abbigliamento-calzaturiero, risentono di situazioni di crisi «settoriali» precedenti a quella internazionale iniziata nella seconda metà del 2008. Sottolinea, inoltre, l’esigenza di maggiori iniziative a tutela delle risorse umane il cui valore è pari, se non addirittura maggiore, a quello delle risorse tecnologiche o comunque materiali, adottando opportuni provvedimenti che in qualche modo possano premiare non solo le aziende che assumono, ma soprattutto quelle che mantengano inalterati i livelli occupazionali.

Con riferimento all’accentuarsi della crisi nel corso del 2009, le imprese hanno dimostrato la positiva volontà di trasformare la difficoltà in opportunità di sviluppo sia in termini di idee sia in termini di agevolazioni finanziarie e fiscali destinate alle nuove idee che possano costituire una sorta di volano a livello produttivo, ma anche una difesa del patrimonio delle imprese italiane e del made in Italy.

Riassumendo, nonostante l’attuale situazione di disagio, si è potuta constatare sul territorio una grandissima volontà di continuare a fare impresa e di salvaguardare le risorse umane delle aziende. Pisano ha quindi sottolineato la necessità di provvedimenti legislativi e interventi coordinati tra loro al fine di ottimizzare gli sforzi compiuti a livello governativo per sostenere le imprese, evitando il più possibile la dispersione di energie e di idee.

Infine, rispondendo ad uno specifico quesito sul dumping ambientale e sociale praticato da alcuni Paesi, il rappresentante di Casartigiani ha affermato di non essere favorevole all’ipotesi di introduzione di dazi su determinate merci, ritenendo che tali misure non avrebbero un’incidenza favorevole sulle imprese artigiane.

Il direttore della divisione economica e sociale di CNA, Enrico Amadei, ha sottolineato che le imprese di piccole e piccolissime dimensioni sono maggiormente colpite dalla crisi internazionale a causa sia di maggiori difficoltà nell’accesso al credito e nei pagamenti sia per un cambiamento nelle modalità produttive che, nel caso della piccola impresa, sono sostanzialmente fondate sul decentramento. Sollecita quindi interventi più incisivi per il sostegno alle piccole imprese. La situazione di grande difficoltà si registra soprattutto nelle aree più forti del Paese, nelle aree della Pianura Padana, in Lombardia, in Piemonte, in Emilia Romagna. È una difficoltà che deriva dal mondo della finanza; è partita, cioè, circa un anno fa dal settore del credito di non più facile accesso, ma che in tempi rapidissimi, intorno a dicembre 2008 e gennaio 2009, è diventata una crisi produttiva, una crisi di ordini e una crisi di pagamenti. L’impresa manifatturiera di piccola e piccolissima dimensione sta vivendo difficoltà più elevate rispetto ad altre tipologie di impresa, sia quelle dei servizi, sia quelle della grande impresa manifatturiera. A carico di queste imprese si stanno scatenando criticità derivanti da una maggiore difficoltà dei pagamenti e da una modifica che sta avvenendo – e che ancora stiamo analizzando – che riguarda il sistema di produzione. Inoltre, queste imprese hanno fino ad oggi mantenuto l’occupazione grazie agli interventi degli ammortizzatori sociali, del Governo e delle regioni. La crisi dell’occupazione, però, avrà una ricaduta ritardata rispetto all’andamento della crisi. La manifattura, in particolare, è quella che sta vivendo, almeno nel comparto dell’artigianato e delle piccole imprese, le difficoltà più grandi. La piccola impresa, quella manifatturiera in particolare, necessita di incentivi, di un potenziamento delle sue capacità di produzione. Occorrono interventi che vadano, da un lato, verso un aumento dei consumi e, dall’altro, che affrontino le difficoltà di accesso al credito che sono ancora rilevanti perché si intrecciano con la difficoltà dei pagamenti; devono inoltre essere realizzati interventi a sostegno dell’innovazione, della ricerca e degli investimenti, in modo più massiccio rispetto a quello che è stato fatto fino ad oggi.

Vi sono molte imprese che non sono in grado di continuare a produrre dal momento che gli ordini sono il 40 per cento, il 30 per cento più bassi rispetto all’anno precedente, perché i costi generali non sono comprimibili. Il rischio, al termine di tale congiuntura economica sfavorevole, è quello trovarci di fronte ad un sistema produttivo diverso rispetto a quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi.

Sul versante della fiscalità si è sottolineata l’importanza di intervenire sull’IVA dei contratti di subfornitura che dovrebbe essere applicata per cassa, gli sgravi fiscali per gli investimenti sui beni strumentali compresi la ricerca e l’innovazione e, più in generale, per garantire l’accesso al credito delle piccole imprese, una rivisitazione dell’accordo di Basilea 2, l’accelerazione dei tempi di pagamento della pubblica amministrazione e l’allentamento del Patto di stabilità interno per rilanciare in particolare il settore dell’edilizia.

Confcooperative, Legacoop e Federchimica

Il Vicepresidente di Confcooperative, Maurizio Ottolini, ha rilevato che i dati sull’occupazione rappresentano un parametro di assoluto rilievo per comprendere il grado di superamento della crisi, traguardo ritenuto ancora lontano dal momento che si continua a chiudere imprese e a licenziare e che si raggiungerà quando si rimetterà in moto il circolo virtuoso fra occupazione, consumo, export e produzione.

La Confcooperative tutela e rappresenta circa 20 mila imprese cooperative, con 3 milioni di soci e oltre 500 mila addetti, che sviluppano un fatturato di 62 miliardi di euro. Tra queste le imprese manifatturiere non sono moltissime (meno di mille), presenti per circa il 40 per cento al Nord, il 38 per cento al Sud e il 22 per cento al Centro, e tuttavia costituiscono un parametro importante per dare la misura della crisi anche in questo settore dell’economia.

L’appartenenza all’Unione europea, pur rappresentando un’opportunità, talvolta è fonte di preoccupazione a causa della concorrenza sleale attuata da taluni Paesi europei che hanno una burocrazia meno opprimente rispetto a quella italiana e costi del lavoro inferiori; ciò si traduce in un gap competitivo per le nostre imprese.

È stata sottolineata l’importanza strategica dello sviluppo della ricerca, che in Italia ormai da tempo segna il passo non solo per la debolezza delle risorse finanziarie pubbliche messe a disposizione, ma anche perché le emergenze inducono spesso le imprese a indirizzare le risorse sulle esigenze più immediate.

A proposito del sostegno alla politica di esportazione senza la quale è impensabile una ripresa stabile, si sottolinea la necessità di puntare sull’eccellenza della produzione manifatturiera italiana dimenticando di rincorrere la concorrenza di Paesi extraeuropei, nei quali il costo del lavoro e lo sviluppo delle conquiste sociali è così basso da far risultare assolutamente non competitiva la nostra manifattura.

Per quanto riguarda il sistema produttivo italiano, fondato sulla piccola e media impresa, si auspica un impegno più forte a sostegno di queste realtà da parte del sistema creditizio, pur nella consapevolezza delle difficoltà che anche il settore bancario vive in questa stagione. A tale proposito, si segnala che le banche di credito cooperativo, che con la loro rete diffusa sono presenti su tutto il territorio italiano, hanno «fatto più banca» di altri istituti di credito. Si segnala altresì l’impegno, attraverso il sistema delle banche di credito cooperativo, nel progetto della Banca del Sud, dal momento che anche nella fase di crisi il Paese procede a velocità differenziate tra settentrione e meridione.

Per quel che riguarda i rapporti intercorrenti tra sistema produttivo e sistema del credito, Confcooperative avverte l’esigenza di un forte richiamo della politica al sistema del credito, anche perché le relazioni più recenti dell’ABI non hanno dato il segno di una benché minima autocritica.

In conclusione, si segnala che il sistema delle imprese cooperative procede nell’opera di razionalizzazione del sistema produttivo e nel campo dell’internazionalizzazione, evidenziando la necessità di sostenere le imprese italiane all’estero attraverso adeguate politiche di marketing e non soltanto attraverso gli uffici di rappresentanza. Quanto alle risorse, pubbliche e private, a sostegno dell’internazionalizzazione, che pure non mancano, si sottolinea come spesso esse si disperdono in mille rivoli, e non siano adeguatamente utilizzate e mirate secondo una strategia ben definita. Quanto alla formazione, si ritiene che essa sia importante forse più della ricerca e dello sviluppo tecnologico, se si intende puntare prioritariamente sulla qualità dei prodotti e non sui costi, terreno sul quale è difficile poter vincere la battaglia della ripresa produttiva e industriale del nostro Paese.

Da ultimo, si sottolinea la necessità di procedere sulla via della semplificazione normativa e amministrativa. Si ritiene che vi siano troppe leggi e, al contempo, manchino alcune norme indispensabili, come ad esempio una legge-quadro per il settore agroalimentare di recepimento delle direttive comunitarie in materia di prodotti di origine. Si avverte altresì l’esigenza di integrare le politiche economiche di sostegno allo sviluppo con adeguate discipline legislative. A tale proposito, si segnala una sorta di rilancio della «legge Marcora» recante norme di sostegno alla trasformazione di imprese in crisi in cooperative. Si sottolinea, infine, come il mondo delle piccole e medie stia mettendo in atto diverse sperimentazioni per continuare l’attività, garantendo il livello occupazionale.

Il rappresentante di Legacoop, Mauro Gori, ha evidenziato che il mondo cooperativo comprende sia imprese che leader nell’industria manifatturiera, nell’impiantistica, nella meccanica di precisione, nell’industria delle ceramiche, sia imprese che si occupano di produzione decentrata. Si tratta di imprese di piccole dimensioni, che lavorano in conto terzi, spesso su segmenti poveri del mercato. Nel primo semestre di quest’anno, il 57,5 per cento delle cooperative manifatturiere con fatturati inferiori ai 15 milioni di euro ha registrato un calo, il 30 per cento un andamento stabile e il restante 12,5 per cento ha marcato addirittura una crescita.

L’andamento delle cooperative di maggiori dimensioni è stato, invece, notevolmente diverso. Il 71,4 per cento ha perso fatturato, il 23,8 per cento ha mantenuto i livelli dell’anno precedente, solo il 4,8 per cento ha manifestato trend di crescita. Mediamente, il calo di fatturato è stato tra il 18 e il 30 per cento, con punte ovviamente oltre il 50 per cento. Le previsioni di peggioramento, invece, riguardano soprattutto le attività manifatturiere che sono legate al comparto delle costruzioni, per le quali si teme un forte rallentamento. L’elemento di maggiore preoccupazione non è, però, il calo della domanda o la riduzione della marginalità, bensì l’aumento consistente, in alcuni casi esponenziale, degli insoluti, che stanno determinando gravi difficoltà nel circolante e che mettono in discussione la continuità aziendale. Oltre il 50 per cento delle nostre cooperative lamenta che una quota tra il 15 e il 50 per cento dei crediti che vanta è potenzialmente nella condizione di trasformarsi in insoluto.

Il secondo semestre indica un andamento diverso. Secondo Legacoop dovrebbe essere terminata la fase del peggioramento, anche se non è ancora iniziata la fase del miglioramento. Il timore è che la spirale perversa, che parte dai ritardi di pagamento e che arriva al default dell’impresa, possa registrare accentuazioni a partire dai prossimi mesi.

È certamente vero che il rischio di credit crunch è stato evitato, ma il credito bancario destinato al complesso del settore privato, è ulteriormente diminuito e i problemi di liquidità per le imprese, come per le famiglie, continueranno a permanere. La necessaria ristrutturazione degli istituti di credito non può, però, andare a scapito delle imprese. La riduzione del volume dei crediti è iscritta de facto nel percorso di riposizionamento degli istituti di credito. È per questo che le iniziative del Governo e del Parlamento per fronteggiare i problemi di liquidità del sistema devono avere efficacia.

Per quanto riguarda gli strumenti a sostegno del reddito, come agli ammortizzatori sociali, è stato evidenziato che più della metà delle nostre cooperative manifatturiere ha fatto ricorso alla cassa integrazione ordinaria, seppure in modo non massiccio. Di queste, il 65 per cento ha coinvolto più della metà delle maestranze. Si è fatto di tutto per evitare licenziamenti e in moltissimi casi, grazie a forme di solidarietà volontaria e spontanea da parte dei soci e dei dipendenti rimasti al lavoro nei confronti di quelli che, invece, del lavoro erano privi e con integrazioni di carattere economico da parte della cooperativa, è stato possibile attenuare i disagi conseguenti alla riduzione del reddito di coloro che erano andati in cassa integrazione. L’obiettivo è stato quindi di conservare la risorsa lavoro legata alla cooperativa, anche nelle fasi negative del ciclo: in questo senso infatti circa il 70 per cento dei contratti a tempo determinato sono stati rinnovati dalle cooperative del comparto manifatturiero che è il più colpito dalla crisi economica. L’indicazione circa la priorità da assumere per uscire dalla crisi e per affrontare la ripresa riguarda senza dubbio la formazione delle persone impegnate nel ciclo produttivo.

Il 70 per cento delle nostre cooperative manifatturiere ha attivato forti iniziative per ottimizzare gli acquisti e per contenere i costi. Oltre il 40 per cento sta operando diversificazioni produttive, promovendo nuovi prodotti e reinvestendoli in ricerca, conseguendo fra l’altro risultati incoraggianti. Il 15 per cento ha dato priorità alla ricerca di nuovi mercati. Infine, oltre il 40 per cento punta a soluzioni aziendali più complesse, ampliando gli spazi di collaborazione fra imprese, non necessariamente cooperative, ricercando forme di integrazione con altre cooperative.

Legacoop ha lanciato un progetto, «Mille Cooperative», che si propone di promuovere, con adeguate garanzie alle banche, la nascita di mille nuove cooperative in 3 anni e di sostenerne la crescita con adeguati strumenti professionali. Una quota di queste nuove cooperative sarà certamente afferente nel settore manifatturiero. Si registra la costituzione di nuove cooperative industriali, a fronte di situazioni di grave difficoltà e di default conclamati di imprese del settore. Sta avvenendo in Friuli, in Emilia-Romagna, in Toscana, in Veneto, nelle Marche, in misura minore in Lombardia e in Basilicata. I comparti maggiormente interessati sono il metalmeccanico, il mobile, il chimico plastico.

Il presidente di Federchimica, Giorgio Squinzi, ha richiamato le conclusioni dell’High Level Group sulla competitività dell’industria chimica europea promosso dalla Commissione europea. Sono emerse essenzialmente due considerazioni di base. È emerso il ruolo chiave della chimica per lo sviluppo economico e per il benessere, poiché dalla chimica sono rese disponibili in continuazione sostanze, prodotti, materiali innovativi e nuove soluzioni tecnologiche per tutti i settori economici. L’Unione europea ha ritenuto, quindi, indispensabile promuovere un’industria chimica orientata alla sostenibilità. Per conseguire questo obiettivo, ci si deve orientare su due versanti: innovazione e ricerca, da un lato, qualità delle normative e una loro corretta implementazione e applicazione, dall’altro.

Ricorda che la struttura della chimica italiana comprende imprese estere, con produzione e ricerca in Italia; molte centinaia di medie e piccole imprese non marginali e non solo dipendenti in maniera diretta dalle grandi, ma con una propria capacità di fare innovazione e di coprire specifiche nicchie di mercato; il terzo pilastro è, infine, rappresentato delle imprese medio-grandi e dalle grandi imprese a capitale italiano fortemente specializzate, innovative, internazionalizzate. Per la chimica di base è opportuno sottolineare che sussistono forti difficoltà, non solo a livello italiano, ma anche europeo. In Italia è stata incrementata decisamente tutta la chimica fine, la chimica delle specialità, la chimica di formulazione, che sono fondamentali, perché sono le più vicine al mercato, in cui si sono sviluppate vere e proprie eccellenze. La chimica, peraltro, è un settore molto adatto a un Paese come l’Italia, per la qualità e la formazione – l’incidenza dei laureati in chimica è molto superiore alla media degli altri comparti manifatturieri – e per la produttività degli addetti: il valore aggiunto per addetto, secondo le stime di Federchimica, è del 50 per cento superiore alla media del valore aggiunto prodotto per addetto dagli altri settori manifatturieri.

La chimica italiana si caratterizza inoltre per gli alti livelli di esportazione.

Ritiene necessario intervenire su alcuni condizionamenti che pesano sulla chimica italiana per restituire competitività alle imprese, con una politica industriale che innanzitutto porti normative meno penalizzanti e in linea con le quelle europee. Si deve inoltre intervenire sull’elevato costo dell’energia, sulle infrastrutture e sul sostegno alla ricerca. Pur in presenza di accordi con il CNR, si registra una difficoltà enorme nell’avviare progetti di ricerca. Altro nodo fondamentale è la semplificazione normativa e burocratica del Paese. Questo è il punto sul quale la chimica sente la più forte penalizzazione. Vi sono centinaia di casi di aziende che non hanno potuto realizzare per nulla, o comunque con ritardi clamorosi, i loro programmi a causa della complicazione normativo-burocratica del Paese. La semplificazione in Italia rappresenta la prima leva della politica industriale.

Seconda audizione di Confindustria

Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha sottolineato che la crisi finanziaria globale ha evidenziato le gravi problematiche connesse alla restrizione del credito. Uno dei punti fondamentali per migliorare questa situazione è la revisione degli accordi di Basilea 2, rispetto ai quali si deve evitare un’applicazione rigida, slegata dal contesto economico e tale da aggravare la già complicata situazione delle imprese. Le banche sono in questa fase determinanti per rendere la crisi meno profonda e duratura, conciliando l’obiettivo dell’equilibrio economico e patrimoniale con il necessario sostegno finanziario alle imprese.

Il tasso di crescita dei prestiti si è ridotto di 10 punti nel giro di un anno. Siamo passati da una situazione in cui i prestiti alle imprese salivano del 10,9 per cento a una situazione, risalente al luglio 2009, in cui la crescita si è sostanzialmente azzerata. È evidente che, in un momento in cui la produzione industriale cala, è difficile aspettarsi un aumento forte del tasso di crescita dei prestiti.

Confindustria ha sottoscritto il 3 agosto 2009 la cosiddetta «moratoria dei crediti», insieme con le altre associazioni di categoria e di imprese, con l’ABI e con il supporto del Governo.

Una migliore applicazione di Basilea 2 può rappresentare l’occasione per rendere più moderne e trasparenti le relazioni tra banche e imprese, consentendo alle singole aziende di beneficiare di condizioni dipendenti dalla propria qualità creditizia, senza dover scontare inefficienze di altri.

Occorre anche aggiungere che l’introduzione del rating – che è contenuto all’interno di Basilea 2 – impone anche alle piccole e medie imprese uno sforzo di informazione verso le banche. Si tratta di uno sforzo positivo che va sostenuto anche dal punto di vista culturale contribuendo a questo processo di maggiore trasparenza, fondamentale per tutto il sistema delle imprese e, nello specifico, delle piccole e medie imprese.

La critica più frequente che le imprese hanno rivolto ai sistemi di valutazione basati sul rating è la rigidità con cui le banche li utilizzano. Le imprese lamentano l’eccessiva meccanicità con cui le banche esaminano i dati di bilancio, non dando, tra l’altro, il giusto peso alle informazioni di tipo qualitativo. Inoltre, secondo le imprese, le modalità di attribuzione del rating risultano a volte oscure. Le banche devono integrare le risultanze dei modelli di rating, senza però adottare rigidi automatismi, avvalendosi delle informazioni anche di tipo qualitativo, quali la storia dell’imprenditore, il piano e la strategia aziendale, che sono assolutamente fondamentali.

È importante sottolineare come il Comitato di Basilea 2 stia elaborando proposte correttive in tema di gestione del rischio di liquidità, del rischio di mercato e di prociclicità, l’aspetto che maggiormente interessa il mondo delle imprese. L’obbligo per le banche di effettuare aggiustamenti più stringenti sul capitale proprio, nei momenti in cui sarebbero invece necessari interventi espansivi, è un limite noto e messo in evidenza già durante i lavori per la definizione dell’accordo di Basilea 2. Il Comitato di Basilea sta lavorando sull’ipotesi di introdurre meccanismi che favoriscano l’accumulo di riserve nei periodi di ciclo economico positivo e l’utilizzo delle riserve in eccesso per fronteggiare la crescita dei crediti non performing nelle fasi di ciclo negativo. È evidente che il lavoro di modifica dell’accordo non si può concludere in poche settimane. Si tratta di un percorso lungo: devono essere individuati gli elementi da modificare e devono essere effettuati studi di impatto sul capitale delle banche e i conseguenti aggiustamenti. Tuttavia, l’attenuazione degli effetti pro ciclici è un obiettivo sostanzialmente a medio lungo termine.

Il presidente Marcegaglia ha invece sottolineato la necessità di interventi urgenti a favore delle imprese e ha ricordato che insieme alla Confindustria tedesca (BDI) ha chiesto al Presidente della Commissione europea un intervento immediato per alleggerire i vincoli patrimoniali delle banche nella valutazione del rischio.

Per contrastare gli attuali effetti negativi del ciclo economico sull’offerta di credito, in attesa del completamento delle modifiche strutturali all’accordo, è necessario rendere meno stringenti i vincoli patrimoniali e consentire alle banche di effettuare minori accantonamenti a fronte dei crediti erogati alle piccole e medie imprese che sono state colpite più intensamente dal credit crunch rispetto alle altre. Sarebbe, quindi, necessario un intervento, anche concertato con i partner europei, che preveda, per un tempo limitato – circa 18 mesi – e con riferimento specifico alle piccole e medie imprese, la riduzione della ponderazione del rischio di credito che determina il livello di accantonamento delle banche.

Naturalmente, ciò presuppone che il minor vincolo patrimoniale si rifletta interamente sull’offerta di credito da parte delle banche. Quindi, la maggiore liquidità, di cui le banche disporrebbero, deve trasformarsi in una maggiore erogazione proprio alle piccole e medie imprese. Peraltro, va ricordato che, sebbene le piccole e medie imprese presentino spesso un rischio di insolvenza più elevato rispetto alle grandi imprese, il fallimento di una piccola impresa ha un impatto sistemico molto circoscritto, e ciò giustificherebbe un trattamento meno rigido ad esse riservato. La stessa esigenza è molto sentita anche in Germania, per questo la Confindustria tedesca, ha già formalmente richiesto un allentamento temporaneo delle norme sui requisiti patrimoniali delle banche. A questo riguardo, il Consiglio Ecofin ha convenuto sulla necessità di elaborare misure a breve termine.

Tuttavia, la solidità patrimoniale delle banche, da cui dipende il buon funzionamento del mercato del credito resta una priorità anche per le imprese. Quindi, la maggiore elasticità nell’applicazione dei coefficienti patrimoniali si dovrebbe accompagnare a misure fiscali che consentano alle banche di compensare, almeno parzialmente, i maggiori rischi e i costi assunti. In particolare, è stato proposto di prevedere un aumento del limite percentuale annuo di deducibilità delle svalutazioni e una riduzione dei periodi di imposta a cui è consentita la deduzione delle svalutazioni eccedenti il limite stesso. Inoltre, sarebbe opportuno che fosse garantita, in via automatica ed immediata, la deducibilità fiscale delle perdite su crediti, nei casi in cui si utilizzino i nuovi strumenti di composizione concordati dalla crisi d’impresa. Un tale intervento sarebbe opportuno ed auspicabile, poiché avrebbe effetto anche per il settore industriale in relazione ai crediti vantati verso la clientela.

ABI

Il presidente dell’ABI, Corrado Faissola, ha sottolineato preliminarmente che la crisi finanziaria internazionale ha soltanto sfiorato le banche italiane e questa situazione è stata fortemente determinata dall’attivo delle nostre banche, dalla mission che esse hanno sempre realizzato. Essendo le nostre banche orientate tradizionalmente a finanziare le imprese, avevano, e hanno tuttora nel proprio attivo, una quantità di crediti piccoli e medi, soprattutto nei confronti delle imprese che nella fase di crisi finanziaria non avevano evidenziato situazioni di particolare criticità.

Quando la crisi si è trasformata e ha toccato l’economia reale, anche il sistema bancario ne ha risentito e nei primi sei mesi dell’anno, le perdite si sono attestate tra gli 8 e i 9 miliardi di euro, con proiezioni, a livello di anno, del doppio e tali, quindi, da sfiorare quasi i 20 miliardi.

I punti più critici sono innanzitutto quantità di credito che attualmente viene allocata sull’economia reale, soprattutto sulle medie e piccole imprese e anche sulle famiglie, e il costo di tale credito. Tuttavia, di fronte a una situazione economica in cui tutte le grandezze sono cadute in maniera molto elevata e alla caduta delle esportazioni e della domanda di investimenti che si è radicalmente fermata, il sistema ha mantenuto nel luglio 2009 una quantità di crediti all’economia superiore a quella che avevamo ad agosto dell’anno scorso.

Il presidente dell’ABI ritiene inappropriato parlare di credit crunch non solo in Italia, ma nemmeno in Europa, anche se la situazione delle banche italiane è migliore rispetto a quella delle banche europee. I finanziamenti alle famiglie e alle imprese sono di 1 miliardo 332 milioni, con una crescita, in cifra assoluta, di 30 miliardi rispetto a un anno fa, in una situazione in cui, da un punto di vista scientifico, gli impieghi avrebbero dovuto scendere anche notevolmente.

Secondo i dati della Banca centrale europea e della Banca d’Italia, le banche italiane hanno un tasso medio del 3,31 per cento, a fronte del 3,72 per cento delle banche europee. Non si registravano tassi così bassi a livello mondiale probabilmente da oltre un secolo e questi dati dimostrano che le banche italiane non sono più esose nei confronti dei clienti. I dati della Commissione europea mostrano inoltre che nelle imprese manifatturiere italiane il rapporto tra debiti bancari e capitali è doppio rispetto a quello che si registra nelle imprese spagnole, che sono le più vicine a noi, e di quattro volte superiore a quello delle imprese francesi e tedesche.

Sul tema del contributo alla capitalizzazione delle imprese, ritiene assolutamente logico che la banca chieda all’imprenditore alternativamente di immettere capitale di rischio nell’impresa oppure di offrire garanzie personali.

Riguardo al problema del trattamento fiscale delle perdite su crediti, nel primo semestre di quest’anno, le banche un tax rate superiore al 50 per cento. Si tenga conto anche che le banche hanno un trattamento fiscale in Italia, anche per quanto riguarda l’imposta IRES, assolutamente assurdo, perché non possono dedurre immediatamente più dello 0,30 per cento delle perdite stesse. Prima la percentuale era dello 0,50, poi è stato portata allo 0,40 perché la situazione economica era particolarmente positiva. Quando, però, la situazione diventa come l’attuale, in cui le perdite su crediti superano l’1 per cento del totale dell’attivo, evidentemente la situazione diventa difficilmente sostenibile. Le perdite che non si deducono immediatamente vengono spalmate su diciotto anni. Dal punto di vista finanziario, sia pure in presenza di tassi bassi, la situazione diventa insostenibile.

Il presidente Faissola ha altresì evidenziato la necessità che le banche siano vicine al territorio sia attraverso la piccola dimensione sia attraverso modelli cosiddetti federali, in cui esiste una banca capogruppo che ha lasciato vivere sul territorio alcune altre banche. Tuttavia, i gruppi che hanno questa struttura sono penalizzati per decine e decine di milioni dall’IVA infragruppo, che era stata deducibile fino allo scorso anno e adesso non lo è più. A livello europeo, quasi tutti i Paesi hanno adottato il modello che prevede l’IVA di gruppo e questo onere non esiste.

Esprime apprezzamento per gli interventi normativi del Governo nell’autunno 2008, come l’assicurare, al di là dei limiti del fondo di tutela dei depositi, gli strumenti di garanzia potenziali per le banche che non potessero raccogliere fondi a livello dei mercati internazionali (cosiddetti Tremonti bond), che hanno dato serenità in primo luogo ai risparmiatori, ma anche ai responsabili delle politiche delle banche. Le banche hanno compiuto, insieme al Governo e al Parlamento, scelte per costruire strumenti che potessero essere utili ai fini di un loro sostegno, in modo da potersi oggi rivolgere al mercato.

Sottolinea, quindi, l’importanza dell’ultimo accordo sulla cosiddetta moratoria, strumento necessario per un numero rilevante di imprese. Si tratta di lasciare nelle casse delle imprese una cifra che oscilla intorno ai 40 miliardi, senza necessità di attivare una nuova istruttoria di affidamento. Nel riconoscere questa dilazione si è introdotto il principio del silenzio-assenso: se entro trenta giorni, la banca, a fronte di una richiesta che le pervenga dall’impresa, non ha istruito la pratica e non spiega il motivo per cui non può concedere la dilazione, essa è fornita automaticamente.

Il presidente Faissola ha osservato che le regole di Basilea 2 prevedono che gli attivi delle banche siano ponderati a seconda della loro vischiosità. Basilea 2 è entrata in vigore dal 2008 e l’Italia, grazie ai Governi che si sono succeduti, alla Banca d’Italia e alla nostra industria, ha ottenuto che i crediti nei confronti delle piccole e medie imprese avessero una ponderazione privilegiata, cioè che pesassero di meno e quindi richiedessero meno patrimonio per essere erogati.

Eventuali modifiche a tale regime possono essere utili, fermo restando che i regolatori internazionali, la Commissione europea e il consesso dei governatori, prevedono per il prossimo futuro situazioni di irrobustimento patrimoniale di tipo generale. L’ABI ritiene che il trattamento di favore di cui oggi godono le piccole imprese debba essere assolutamente mantenuto – se non migliorato – con un’eventuale moratoria iniziale, e che il principio che ai rischi correlati a questi tipi di finanziamenti debba corrispondere un minor assorbimento di patrimonio.

Organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL e UGL

Il rappresentante della CGIL, Salvatore Barone, ha sottolineato che il dato più significativo della crisi è quello relativo al ricorso alla cassa integrazione guadagni: si è registrato un aumento del 222 per cento dal settembre 2008 all’agosto 2009. I dati disaggregati dimostrano che la cassa integrazione ordinaria è aumentata, nello stesso periodo, del 409,38 per cento, quella straordinaria del 86,68 per cento. Nel settore metalmeccanico, sempre nello stesso periodo, si è registrato un incremento del 376 per cento. I lavoratori coinvolti sono circa un milione, e negli ultimi otto mesi, da gennaio ad agosto 2009, 800 mila. L’esigenza più avvertita dalle aziende coinvolte è di aumentare (se possibile raddoppiare da 52 a 104) le settimane di ricorso alla cassa integrazione straordinaria.

Fra gli interventi necessari, si sottolineano quelli a sostegno della domanda pubblica, con un allentamento del patto di stabilità interno. Dal punto di vista dei settori da sostenere vengono indicati prioritariamente quelli del cosiddetto made in Italy, la chimica, l’elettronica e l’high tech. A livello europeo, si sollecita un intervento pubblico per tutelare le produzioni strategiche che hanno reso grande l’industria italiana e quella europea nel mondo.

Il segretario confederale della CISL, Gianni Baratta, ha ricordato preliminarmente che il Rapporto Industria 2008 della CISL aveva previsto uno scenario di crisi dell’industria di particolare gravità. La misura di ciò che poi è accaduto si può sintetizzare nel dato relativo all’indice della produzione al luglio 2008 rispetto al 2007, che equivale a 20,7 punti di produzione persi in un anno e a 23,3 punti nel biennio. Nello stesso periodo, il fatturato nazionale si è ridotto del 21,2 per cento, quello estero invece del 26,4, con una riduzione complessiva del 22,7 per cento.

Una lettura di sintesi dei vari indicatori articolati per settore evidenzia una crisi a vari livelli. In particolare, i settori più in difficoltà sono quelli delle produzioni di base (metallurgia e prodotti chimici), dei beni di investimento (macchinari e attrezzature), della fabbricazione dei mezzi di trasporto, comprensivi di auto e motocicli, e in misura minore gli articoli di gomma-plastica. Sono anche in difficoltà settori come legno e carta, tessile e abbigliamento, ma con una caduta di ordinativi meno drammatica e capacità di rispondere alla sfida competitiva riducendo i prezzi. Anche il settore elettronico è in una situazione di sofferenza. Il settore alimentare, pur in contrazione, regge bene l’impatto della congiuntura. Il settore farmaceutico, pur con una produzione in aumento, riduce il fatturato generale, riducendo i prezzi e l’occupazione nelle grandi imprese.

Molte imprese, fino ad ora, hanno preferito operare con livelli di produttività negativi in attesa di tempi migliori, pur di evitare duri impatti sui livelli di occupazione aziendale. Su questo comportamento hanno sicuramente influito il clima di concertazione sociale e le molte iniziative, anche istituzionali, delle regioni, dei comuni e delle camere di commercio.

Dal punto di vista dell’occupazione e della cassa integrazione, come effetto della contrazione delle attività, l’occupazione del secondo trimestre 2009 rispetto al primo del 2008 è scesa del 3,4 per cento nell’industria e del 3,9 per cento nell’industria manifatturiera. Ciò significa una iduzione di 238 mila posti di lavoro nell’industria nell’arco di un anno, fra lavoratori dipendenti e indipendenti, di cui 197 mila nella manifattura e 41 mila nelle costruzioni. In termini relativi, l’impatto sull’occupazione ha colpito nella manifattura più il lavoro indipendente, la piccola impresa, specialmente nel sud (meno 17,1 per cento). L’edilizia ha perso, nel complesso, circa 45 mila posti di lavoro (meno 2,1 per cento). Le ore totali di cassa integrazione autorizzate, ordinarie più straordinarie, fra gennaio e agosto 2009 sono più che triplicate rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tenendo conto di un «tiraggio» della cassa del 60,4 per cento su indicazione dell’INPS, si tratta di un numero equivalente a circa 540 mila lavoratori a rischio occupazionale per 16 settimane di lavoro medio.

La forte riduzione dei volumi produttivi, se protratta nel tempo, potrebbe costringere alla chiusura le imprese più in difficoltà dal lato della domanda e delle condizioni finanziarie. In linea di massima, viene considerata attendibile l’analisi del Centro studi di Confindustria, per il quale la recessione è ormai alle spalle, ma l’uscita dalla crisi sarà lenta e lunga e, perciò, insidiosa. È importante un sostegno della domanda interna di consumo attraverso un’ampia defiscalizzazione dei redditi di lavoro e del salario di produttività.

Altro fattore che viene considerato cruciale è quello del credito alle imprese e della capacità delle banche di selezionare il merito creditizio. Per queste imprese, se l’azione delle banche dovesse rivelarsi inadeguata, occorre pensare, compatibilmente con la normativa europea, ad azioni e strumenti istituzionali di sostegno temporaneo e ristrutturazione, ad esempio rafforzando la normativa nazionale per le imprese in regime di commissariamento.

Più in generale occorre un progetto nazionale innovativo per il medio termine, nell’ambito del quale sono stati individuati tre filoni principali di intervento trasversali ai settori. Il primo filone è quello della qualità, intesa come qualità del prodotto percepita dai clienti effettivi e potenziali in rapporto al prezzo richiesto. Un progetto sulla qualità implica investimenti per accumulare competenze distintive difficili da replicare, nuove idee per nuovi mercati, ricerca su tecnologie e materiali, sia nelle imprese, sia nelle reti di impresa collegate nei sistemi a filiera. Un secondo filone è quello del sostegno alle piccole imprese per favorire aggregazioni e alleanze in grado di ridurre il gap dimensionale che pesa nell’accesso al credito, nei processi di innovazione, nel condurre i relativi business con abilità manageriale. Un terzo filone, infine, è quello del collegamento dell’intero sistema produttivo con i circuiti della scienza e della ricerca, particolarmente vitali in settori connessi con la salute e la vita, con l’energia pulita e l’ambiente, con l’intelligenza artificiale e lo spazio.

Il segretario confederale della UIL, Paolo Pirani, ha sottolineato nell’attuale congiuntura sfavorevole si considera prioritario evitare che le imprese coinvolte dalla crisi adeguino in maniera automatica gli organici ai volumi produttivi e agli ordinativi. Una delle priorità, almeno nel corso degli ultimi mesi del 2009, ma probabilmente anche del 2010, deve essere quella di mantenere il rapporto di lavoro attraverso un utilizzo degli ammortizzatori sociali. Sottolinea la necessità di politiche efficaci, come il potenziamento di Industria 2015, nonché interventi di incentivazione che dovrebbero essere concertati anche a livello europeo. Occorre altresì garantire un flusso costante di finanziamento alle imprese.

Sul versante della domanda, occorre intervenire sulla leva fiscale con una politica di riduzione delle tasse, soprattutto quelle sul lavoro. Vengono avanzate in particolare alcune proposte, come la detassazione anche della tredicesima, o del salario di risultato, in sostanza interventi di natura fiscale che favoriscano il lavoro e contemporaneamente tonifichino i consumi. È stata altresì sottolineata la carenza delle infrastrutture e la necessità che le risorse stanziate allo scopo vengano effettivamente spese in infrastrutture.

Vi sono poi questioni che riguardano aspetti decisivi dell’apparato industriale italiano. La politica energetica non è secondaria ai fini del superamento della crisi e, quindi, una scelta più decisa sul nucleare può rappresentare una delle strade concrete per assicurare anche un’energia accessibile all’impresa, in maniera tale da lanciarla. È inoltre necessario potenziare le telecomunicazioni: l’avvio della banda larga come elemento di servizio universale rappresenta una priorità per le imprese.

Il segretario confederale dell’UGL, Cristina Ricci, richiamando i dati di alcuni autorevoli istituti, come l’International Labour Organization, ritiene che siano necessari almeno cinque anni dalla fine della crisi per poter assistere alla ripresa di nuova occupazione. Ammesso, quindi, che la crisi possa terminare definitivamente nel 2010, dovremo aspettare il 2015 per vedere effetti positivi sull’occupazione. Il tasso di disoccupazione è al 7,4 per cento secondo gli ultimi dati e, benché migliore rispetto ad altri Paesi europei, è comunque elevato e preoccupante. Esprime apprezzamento per gli interventi del Governo di sostegno all’industria automobilistica, per gli incentivi alle ristrutturazioni edilizie e per l’efficienza energetica, per il rinnovo degli elettrodomestici, in linea con scelte ecologiche. A sostegno dell’economia industriale sono necessari due interventi: la salvaguardia dei posti di lavoro e la garanzia del mantenimento delle sedi ubicate sul territorio nazionale. Un altro aspetto prioritario è l’attenzione al potere di acquisto sui redditi da lavoro e da pensione. Si avverte l’esigenza di una riforma fiscale dell’imposizione sul reddito. A questo proposito, l’adozione del quoziente familiare, rappresenta uno strumento socialmente più equo dal punto di vista fiscale.

Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, è stato rilevato un forte incremento del ricorso alla cassa integrazione. I settori più interessati sono il metalmeccanico, il tessile, ma anche la ristorazione, colpita da crisi indotta, soprattutto per ciò che attiene le mense aziendali che servono le grandi fabbriche del settore metalmeccanico. Non sfuggono alla crisi neanche il comparto dell’elettricità e degli elettrodomestici, nonostante l’adozione delle misure intraprese dal Governo, né il settore dell’editoria e della carta stampata.

Si ritiene necessario prolungare i periodi di cassa integrazione e mettere a punto una riforma strutturale degli ammortizzatori sociali, che coinvolga anche i lavoratori che hanno contratti cosiddetti flessibili. Si avverte la necessità di un rilancio industriale nel nostro Paese, anche perché la cassa integrazione è uno strumento a termine che, se non intervengono provvedimenti diversi di rilancio, rischia di rappresentare solo un rinvio dello spettro della disoccupazione.

Occorre, infine, modernizzare il sistema produttivo con lo sviluppo, ad esempio, delle tecnologie ambientali, o dei servizi sociali che possono offrire interessanti sbocchi occupazionali.

Le banche che dovrebbero impegnarsi maggiormente nel sostenere le imprese sane per superare le difficoltà dovute alla crisi. Nonostante gli interventi effettuati in loro favore, si è registrata una stretta sul credito che ha avuto conseguenza particolarmente pesanti sulle piccole imprese.

Sono infine necessari maggiori interventi a favore dei giovani alla prima occupazione, del reimpiego di chi ha perso il lavoro, soprattutto attraverso iniziative per la formazione. Non si dovrebbero escludere infine ipotesi di aumentare il deficit per consentire alle fasce sociali più deboli di superare la crisi, evitando il rischio di una rottura della coesione sociale nel Paese.

Prof. Riccardo Pietrabissa, Prorettore del polo regionale di Lecco del Politecnico di Milano

Il tema relativo al ruolo che la ricerca può avere nel rilancio economico del settore industriale è affrontato da Riccardo Pietrabissa seguendo due filoni: il primo relativo alla valorizzazione della ricerca universitaria; il secondo relativo al Piano nazionale delle ricerche, in fase di stesura presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, con particolare riferimento al trasferimento tecnologico e ai rapporti pubblico/privato nella ricerca.

NETVAL (Network per la valorizzazione della ricerca universitaria) è un’associazione di 45 università, cui si aggiunge il CNR, avente come scopo principale quello di individuare ruolo, obiettivi e strumenti che consentano ai risultati della ricerca scientifica pubblica di avere ricadute di valore economico nel settore industriale del Paese. NETVAL pubblica annualmente un Rapporto in cui sono contenuti i dati che documentano l’azione dell’università nel trasferimento di tecnologia; nel corso dell’audizione sono stati illustrati i dati relativi all’anno 2007.

Un dato particolarmente utile è quello del numero di università aventi strutture dedicate alla selezione dei risultati della ricerca per trasferirli al mondo dell’impresa. Nel 2002 ne esistevano 28, nel 2007 il loro numero è raddoppiato nonostante la negativa congiuntura economica. È cresciuto anche il numero di addetti da 49 a 201, ma dal momento che sono formati specificamente per selezionare e trasferire i risultati, sono quasi tutti a contratto e, quindi, con gli attuali tagli alla ricerca pubblica, saranno i primi a uscire dall’attività. Risulta invariato il budget medio per il trasferimento tecnologico stanziato dalle università: è cresciuto il numero di atenei che hanno un budget specifico da 9 a 32, ma esso mediamente si è attestato dai 150 ai 200 mila euro, una cifra decisamente molto limitata.

Dal 2002 al 2007 le università hanno notevolmente incrementato la capacità di selezionare risultati e il numero di brevetti depositati per anno è cresciuto da 113 a quasi 250. Dal 2002 al 2007 è inoltre cresciuto di cinque volte il portafoglio brevetti (che indica quanti brevetti hanno le università italiane, fra quelli che hanno ancora nel cassetto e quelli che sono stati trasferiti): da 354 brevetti a oltre 1770, nonostante nel 2001 sia stata tolta alle università la titolarità della proprietà industriale, conferendola ai ricercatori. È cresciuta anche la capacità di licenziare i brevetti. Infatti, con riferimento ai brevetti licenziati con contratto di licenza in Italia, si è passati mediamente da 28 a 301.

Sul fronte della creazione d’impresa, si segnala il censimento di 762 imprese nate dalla ricerca pubblica in Italia, molte delle quali – si osserva – sono legate ancora strettamente all’università e quindi vivacchiano. Un buon 50 per cento è costituito da imprese sul mercato, dove hanno portato tecnologie nuove, basate sulla ricerca. Si tratta di un trend in crescita e questo è un sintomo anche della volontà di operare in questo settore. Dalla loro distribuzione geografica emerge che le regioni più prolifiche, ossia le università e i centri di ricerca più attivi, sono Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana e Piemonte e poi gli altri, ovviamente, a scendere.

In merito alla divisione per settore si osserva che il settore ICT è quello maggiormente frequentato, essendo gli investimenti iniziali più alla portata di tutti rispetto ad altri settori. Seguono energia e ambiente, scienze della vita, elettronica. Si tratta dei settori in cui l’Italia, dal punto di vista della ricerca scientifica, è ancora sicuramente in grado di rappresentare una qualità elevata.

Il secondo punto affrontato dal prof. Pietrabissa riguarda la stesura del Programma nazionale della ricerca 2009-2013, all’interno del quale sono stati individuati sedici settori su cui focalizzare l’analisi. Tra questi rientra anche il «trasferimento tecnologico e interazione pubblico-privato» sul quale verte l’intervento.

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